Fonte: Corriere del Ticino
I video di Al
Qaeda? Così falsi da sembrare veri e commissionati non da Bin Laden,
ma dal Pentagono, per il tramite dell'agenzia di PR britannica Bell
Pottinger che per almeno cinque anni ha lavorato in Iraq su mandato
del Dipartimento della difesa americano ottenendo un compenso di
oltre 100 milioni di dollari all'anno. Totale: 540 milioni di
dollari, una cifra esorbitante. Sì, sì, avete letto bene:
certi filmati di Al Qaeda erano "made in USA". A rivelarlo
è il Bureau of Investigative Journalism in un'ottima inchiesta
appena pubblicata sul web, incentrata sulla testimonianza di un video
editor, Martin Wells, che quei filmati li ha fatti in prima persona,
e riscontri nei documenti ufficiali.
La storia è intrigante, quasi da
film. Siamo a Londra. Wells, un video operatore free lance, nel
maggio del 2006 viene contattato con la prospettiva di un contratto
in Medio Oriente e al primo colloquio si accorge che il committente è
molto particolare. Non è la solita società di produzione ma
l'ambiente in cui viene accolto è militare; anzi di intelligence
militare. Viene scortato da guardie armate all'ultimo piano di un
palazzo. Il colloquio è breve e gli comunicano subito l'assunzione
perché hanno fatto delle verifiche sul suo conto e lo hanno trovato
«pulito». Tempo 48 ore e si trova a Baghdad in una base
ultraprotetta, una centrale dove vengono pianificate operazioni di
guerra psicologica, in gergo le psyops, alcune delle quali
tradizionali. "Dovevamo produrre filmati "bianchi"
ovvero nei quali la fonte era dichiarata, tendenzialmente si trattava
di spot contro Al Qaeda", spiega Wells.
Ma altre erano decisamente meno
trasparenti. "La seconda tipologia era 'grigia': finti servizi
giornalistici che poi venivano mandati alle Tv arabe". E poi
c'era quella "nera" in cui la paternità dei video era
"falsamente attribuita". Insomma false flag, che Wells
spiega così: "Producevamo finti filmati di propaganda di Al
Qaeda, secondo regole e tecniche precise; dovevano durare dieci
minuti ed essere registrati su dei CD, che poi i marines lasciavano
sul posto durante i loro raid, ad esempio durante un'incursione nelle
case di persone sospettate di terrorismo. L'obiettivo era di
disseminare questi video in più località, possibilmente lontani dal
teatro di guerra" perché scoprire filmati di quel genere in
località insospettabili avrebbe aumentato il clamore e l'interesse
mediatico. Dunque non solo a Baghdad, ma anche "in Iran, in
Siria (prima della guerra) e persino negli Stati Uniti".
Capito? Certi angoscianti scoop che
rimbalzavano sul web o in Tv in realtà erano fabbricati a tavolino
da una società di PR britannica all'interno di una base statunitense
in Iraq. E vien da sorridere pensando che poi erano la CIA o la Casa
Bianca a certificarne l'autenticità.
Wells conferma modalità
che gli esperti di spin conoscono bene. Il mandato viene affidato da
un governo a società di consulenza esterne per aggirare la legge,
evitare il controllo di commissioni parlamentari e proteggere le
istituzioni nell'eventualità che queste operazioni vengano scoperte
e denunciate dalla stampa, cosa che peraltro non accade quasi mai. I
fatti svelati dal Bureau of Investigative Journalism infatti
risalgono al periodo 2006-2011; nel frattempo la Bell Pottinger è
passata di mano e le truppe americane si sono ufficialmente ritirate
dall'Iraq. Lo scoop è sensazionale ma difficilmente assumerà
rilevanza internazionale perché riguarda un passato lontano e
infatti la maggior parte dei grandi media lo ha ignorato. Intendiamoci. Il fatto che in un
contesto di guerra, seppur particolare come quella al terrorismo, si
possano concepire operazioni di questo tipo non sorprende. Lo
insegnano, da secoli, Sun Tzu e Machiavelli.
Il problema è che di
solito sono limitate al teatro di guerra, mentre negli ultimi anni
hanno assunto una valenza globale. Quella propaganda non è rivolta
solo agli iracheni e agli attivisti di Al Qaeda ma anche ai cittadini
del resto del mondo, persino agli americani nonostante la legge
statunitense lo vieti espressamente. Ed è diventata sistematica.
Sappiamo che la guerra in Iraq è stata proclamata su accuse
inventate a tavolino. Sappiamo che i report sull'andamento della
lotta ai telabani in Afghanistan sono stati falsificati per anni
ingigantendo i successi dell'esercito americano, sappiamo delle
manipolazioni mediatiche di alcuni drammatici episodi del conflitto
in Siria e sappiamo anche che alcuni filmati dell'ISIS sono stati
postprodotti e manipolati, in certi casi anche con risvolti comici,
come quello in cui i terroristi scorrazzano per il deserto iracheno
su un pick-up con le insegne di un idraulico del Texas.
La
frequenza e l'opacità di questi episodi pone un problema di fondo,
molto serio: quello dell'uso e soprattutto dell'abuso delle tecniche
di psyops, che non può diventare un metodo implicito di governo
attraverso il condizionamento subliminale ed emotivo delle masse. Non
nelle nostre democrazie.
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