Oggi è il primo anniversario della prematura morte di Petunia, nata Maddy. Andai a prenderla a Campolongo Maggiore nel 2018, perché i suoi proprietari avevano deciso di non usarla più come fattrice e infatti mi fecero pagare solo i 200 euro del costo della sterilizzazione. Prima di metterla nel trasportino, la proprietaria le diede un tranquillante, che la fece dormire per tutto il viaggio fino a Codroipo. Appena saliti al secondo piano del miniappartamento, senza degnare di uno sguardo Pupetta, la carlina ivi residente, Petunia andò di filato a continuare la dormita nella prima branda che trovò libera e solo dopo qualche ora tornò in sé. Quando la vidi espellere il contenuto dell’intestino sul pavimento, dissi tra me: “Oddio, ecco un problema a cui non avevo pensato!”. E subito dopo: “Come farò ad insegnarle a chiedere di uscire?”. Maddy, che aveva un pedigree lungo un chilometro, probabilmente non era mai stata portata a passeggio, era sempre vissuta in un cortile cementato e non aveva mai imparato che in casa non si fanno i bisogni. Le mammelle pendule testimoniavano la sua trascorsa attività di genitrice di cuccioli, che era il business della famiglia presso la quale era vissuta fino a quel giorno.
O al Tagliamento, quando d’estate vi piantavo la tenda per passare una notte in mezzo alla natura. Ricordo che una volta, distesa davanti all’ingresso della tenda, sentì abbaiare una volpe e….le rispose! In un’altra occasione, o forse era sempre la stessa notte, lasciò il suo posto davanti alla tenda e si diresse verso casa. Il caso volle che io uscissi proprio in quel momento, perché volevo accendere un altro zampirone, per tenere lontane le zanzare. Mi accorsi che lei non c’era, a differenza della piccola carlina che dormiva dentro la tenda, e mi diressi verso la macchina parcheggiata poco distante. Nella luce lunare vidi Petunia che trotterellava sul sentiero da dove eravamo arrivati, poiché probabilmente si era messa in testa di tornare a casa e l’istinto le diceva di andare in quella direzione. Anche in quel caso, le corsi dietro, in ciabatte, acciuffandola. La riportai verso la macchina, alzai il portellone posteriore e ve la misi di peso dentro il trasportino, che poi altro non era che una grossa conigliera. Ivi si addormentò beatamente, e chiusi perfino il portello, lasciando aperti i deflettori. Durante la notte, almeno per un paio di volte, andai a controllare che stesse dormendo. Quella infatti era la soluzione, ciò che lei voleva. Lì si sentiva al sicuro.
Ma quella sua tentata fuga al Tagliamento non fu l’unica volta che rischiai di perderla. Anche in montagna, in tempi diversi, durante la notte, quando le due brachicefale chiedevano di uscire per i loro bisogni, Petunia, dopo un po’, volendo rientrare, stava sbagliando sentiero, che l’avrebbe portata lontano dalla baita dove eravamo alloggiati. Aveva, dunque, scarso senso dell’orientamento, non come quei cani viaggiatori che fanno centinaia di chilometri per tornare a casa. Tale mancanza di orientamento, scusabile in una cagnetta che non era mai stata a passeggio nei primi tre anni della sua vita, non era il suo unico difetto. Oltre ad essere paurosa, non era molto intelligente. Per esempio, non imparò mai a servirsi della gattaiola, comprata su misura per lei, quando finalmente lasciammo il miniappartamento per trasferirci in una casa di campagna con cortile recintato. Fu questa sua incapacità di capire che i bisogni, sia liquidi che solidi, dovevano essere fatti sull’erba, all’aperto, e non sulle mattonelle del pavimento di casa, che fu parte in causa della sua prematura dipartita. Lei, proprio perché andicappata, è stata la cagnetta che ho amato di più, un po’ come succede a certi genitori che vogliono più bene a un figlio “diversamente abile” che non ad uno normodotato.
Petunia visse tre anni a mezzo nel miniappartamento, svegliandomi di notte dopo che aveva fatto le sue deiezioni, chiedendomi in un certo senso di alzarmi per pulire. Vissi tre anni e mezzo come suo servo, tenendo sempre il mocio a portata di mano. Tra l’altro, finché si trattava di urina, il problema era tosto risolto, ma scoprii che soffriva di diarrea cronica, e pulire deiezioni liquide è tutto un altro discorso rispetto a quelle solide. Questo malanno non fu l’unico che mi venne taciuto all’atto della consegna di Maddy, poiché il giorno prima che morisse seppi dalla veterinaria che era anche cardiopatica (come me) e anche questo non mi era stato detto dalla ex proprietaria. La diarrea cronica, presumo, le impediva di essere una brava e pulita madre di cuccioli preziosi, e che fosse anche cardiopatica forse non lo sapeva neanche la proprietaria, che ora pare abbia cessato l’attività di allevamento di bulldog inglesi.
La dottoressa mi spiegò che ci sono diverse forme di edema. Quello polmonare, che ho io, implica acqua nei polmoni, ma i liquidi possono riempire varie parti del corpo, sia negli animali che negli esseri umani, e nel suo caso si erano accumulati nelle mammelle. Quella sera, la veterinaria, grazie a un drenaggio, le tolse un litro e mezzo di liquido. Petunia, subito dopo, era tutta ringalluzzita e nulla lasciava presagire la tragedia che si sarebbe consumata nella notte. Non faceva neanche particolarmente freddo, perché le stalle di una volta erano fatte a regola d’arte, con muri spessi. Quella notte, comunque, le avevo anche chiuso la porta in legno, onde non entrasse l’umidità.
La mattina, la tragica sorpresa. Il corpo era ancora caldo. Un violento senso di colpa mi lasciò tramortito e mi perseguitò nelle settimane seguenti. Non sono abituato a dare la colpa agli altri, anche se sarebbe stato meglio che la ex proprietaria mi avesse detto quali erano le patologie di Maddy. La colpa era solo mia, che non l’avevo fatta dormire in casa come Pupetta, perché non ero più disposto a starle dietro con il mocio. Che cosa conta l’essere schiavi di un animale a cui si vuole bene, a cui si è affezionati, in confronto alle deiezioni e ai laghetti di urina da tirar su? L’importante è non finirci dentro con le ciabatte, a patto di accorgersene in tempo.
Non avevo né pala, né piccone, ma la morosa che era con me in quel tragico evento, entrò in ferramenta per comprare gli attrezzi, dato che, in quanto No Mask, io non potevo entrare. La seppellimmo al Tagliamento, là dove era stata felice, là dove eravamo stati felici, una famiglia in vacanza: io, la morosa, Petunia e Pupetta, a guardare le stelle, sentendo il canto dei gufi, il latrato delle volpi e a combattere contro le zanzare. Là Petunia giace anche oggi, ma ho intenzione di farmi aiutare dalla morosa, la prossima volta che verrà a trovarmi, ad esumare ciò che resta del suo cadavere. E’ stata per un anno sepolta sulle rive del Tagliamento, proprio dove d’estate si distendeva beatamente in due dita d’acqua fresca, corrente. Fra poco tornerà a casa e la seppellirò in giardino. Tornerà nella casa dove è vissuta solo due mesi, prima che il suo cuore malandato le provocasse un edema alle mammelle. Quando scavavo la buca, un anno fa, non riuscivo a vedere quasi niente, di tante lacrime che avevo negli occhi, per tacere di quelle che avevo nel cuore. Non avevo pianto così nemmeno quando era morta mia madre.
Petunia mi aveva stregato, con il suo faccione che prendevo tra le mani, con i suoi occhi porcini così espressivi. Petunia è stata il figlio che non ho mai avuto. Un figlio che mi è costato solo duecento euro, ma anche tante bestemmie per le notti insonni che mi aveva procurato e per i suoi bisogni che spargeva sul pavimento del miniappartamento. Spero che con me sia stata felice, per quel poco che abbiamo vissuto insieme. Spero di aver reso la sua vita migliore di quella che aveva prima, in qualità di fattrice di cuccioli. Spero di poterti raggiungere presto, anche se il mio corpo non verrà seppellito né al Tagliamento, né nel giardino della casa di campagna. "La morte si sconta vivendo", disse Ungaretti. Io ho scontato la tua morte, ho pagato pegno, elaborando il lutto per più di sei mesi canonici. Ho patito dolori psicosomatici per 45 giorni, con l’infiammazione del nervo sciatico della gamba sinistra. Proprio subito dopo il tuo decesso. E non mi era mai successo prima. Non potevo camminare, non potevo stare in piedi, non potevo guidare. Quarantacinque giorni di sofferenza, per la tua dipartita e per i dolori alla gamba.
Dopo i sei mesi fisiologici di elaborazione del lutto, ho cominciato a guardarmi in giro, per un altro bulldog inglese, anche se tu sarai sempre speciale per me, un amore a prima vista, e il primo amore non si scorda mai! Non sarà facile sostituirti, primo perché eri unica, eri la mia figlia andicappata. E secondo, perché di bulldog inglesi abbandonati ce n’è pochi. Ora, da una settimana, c’è Pablo con me, un francesino dalle orecchie dritte, ma non è la stessa cosa. E’ un maschio dominante, amante delle coccole anche lui, geloso di Pupetta, ma impavido, per niente timoroso. Lui viene da una famiglia che gli voleva bene, ma che a causa di forza maggiore non poteva più tenerlo. Qui sembra si sia bene ambientato. E i suoi bisogni li va a fare fuori, se escludiamo l’istinto di marcare il territorio, anche dentro casa. Ma spero che gli passi. Ho avuto tanti cani nella vita, ma Petunia aveva qualcosa di speciale, di magico, direi. Ora c’è come un ronzio nella mia testa, nonostante la presenza di Pablo e di Pupetta, un ronzio insistente, sordo, incessante, che si chiama Assenza.
"Non avevo pianto così nemmeno quando era morta mia madre." Ti capisco, anche perchè non è detto che le madri siano sempre l'esempio migliore verso i figli.
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