Testo di Alessandro Mezzano (mail)
Da sessanta anni la cultura resistenziale (che è poi l’unica cultura circolante in Italia) sta cercando di demolire il fascismo e non riuscendo e non potendo farlo attaccando frontalmente le opere, le leggi e l’integrità degli uomini (rammentiamo qui che la commissione che doveva indagare sui “profitti del regime”, istituita nel 1944, dovette chiudere i battenti dopo circa sei mesi per mancanza di materia prima e cioè dei suddetti profitti), lo fa in modo strisciante, consono alla sua natura, dileggiando, insinuando e sminuendo senza mai andare al nocciolo delle questioni e senza mai affrontare il complesso della dottrina e dell’operato, ma restando ai margini.
Si punta soprattutto sulle leggi razziali del 1938, ma si dimentica sempre di dire che tali leggi, che pure rappresentano il tallone d’Achille del fascismo e che furono senz’altro un errore umano, strategico e politico, furono applicate in Italia in modo molto blando, che i comando italiani, sino a quando ebbero la podestà di farlo e cioè sino all’otto settembre 1943, si prodigarono addirittura a salvare dalle mani germaniche non solo gli ebrei italiani, ma anche quelli dei territori occupati come Francia e Iugoslavia, come testimoniano anche moltissime fonti ebraiche.
Si dimentica di dire che in Italia non ci fu mai un solo campo di sterminio (quello della Risiera, di Trieste, che per altro non era un campo di sterminio, era sotto la podestà dei tedeschi essendo il territorio di Trieste diventato dopo l’8 settembre 1943 un protettorato del Reich).
Si dimentica di dire che i partigiani comunisti, egemoni nella resistenza, e principali esponenti dell’antifascismo, erano gli estimatori ed i fedeli seguaci di Stalin, che in quanto a stermini razzisti aveva molto da insegnare (vedi le stragi e le deportazioni dei Cosacchi, dei Kulaki e degli ebrei, i 30.000 polacchi sterminati a Katin e le decine di “purghe” che riempirono i gulag, i cimiteri e le fosse comuni e che comportarono milioni e milioni di morti) senza contare che, fino alla conferenza di Yalta del Febbraio 1945 che, in accordo con Stalin, assegnò l’italia all’influenza (dominio coloniale) degli USA, il loro obiettivo era quello di sostituire la dittatura fascista con quella comunista di stampo staliniano, dove certamente le opposizioni politiche erano trattate molto, ma molto peggio che sotto il Fascismo e dove la tanto decantata libertà era inesistente. Perciò, anche in questo campo, che ripetiamo è il tallone di Achille del Fascismo, non è certo l’antifascismo resistenziale e comunista a poter fare prediche a chicchessia!
Ma torniamo all’antifascismo.
L’unica forma che è rimasta è il dileggio e, parafrasando un vecchio proverbio, “dileggia, dileggia, qualche cosa resterà”. Così nelle scuole, sui libri di testo, nelle trasmissioni radio e TV, abbiamo assistito al tentativo di moltissimi personaggi dell’attuale potere di razionalizzare il proprio passaggio dal fascismo all’antifascismo (che è invero un gran bel salto della quaglia) con una serie di arrampicate sugli specchi degne di una colonia di ragni.
Da G. Bocca, a Montanelli, a Scalfari, a Piovene, a Moro, a Zaccagnini, e potremmo continuare a citare per pagine e pagine, che ai tempi del Fascismo scrivevano articoli non solo di elogio del regime, ma persino razzisti, che siamo in grado di citare, è tutto un susseguirsi di “antifascismo militante” che forse serve più al tentativo di rifarsi una verginità che non all’esigenza di esprimere un sentito giudizio politico e storico.
Una notazione non inutile: quasi tutti questi personaggi ebbero l’illuminazione e si convertirono all’antifascismo, guarda caso, verso il 1943, quando era evidente che le sorti della guerra erano compromesse e che restare con i perdenti avrebbe potuto rivelarsi dannoso e pericoloso per la vita e per la carriera. I Fascisti sono dipinti come qualche cosa tra il ridicolo ed il trucido in modo da fornire alla pubblica opinione e soprattutto ai giovani ignari un modello che sia facilmente esecrabile. Insomma, il fascismo ed i fascisti come vorrebbero che fossero stati e non come erano.
Per esemplificare ed andare sul terreno pratico, al di fuori della sterile polemica, vogliamo ricordare alcuni esempi delle cose positive che il Fascismo ha fatto e che mai vengono menzionate né nei libri di storia, né nelle scuole:
Istituzione dei Parchi Nazionali, Tutela del lavoro di donne e fanciulli, Assistenza ospedaliera per i poveri, Assicurazione invalidità e vecchiaia, Riforma della scuola Gentile, Acquedotti Pugliese, del Monferrato, del Perugino, del Velletrano e del Nisseno, Riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere, colonie marine e montane per i fanciulli, Opera Nazionale dopolavoro, centrali idroelettriche ed elettrificazione delle ferrovie, Bonifiche integrali dell’Agro Pontino, dell’Emilia, della bassa Padana, di Coltano, della Maremma toscana, del Sele, della Sardegna e colonizzazione del latifondo Siciliano, Opera nazionale maternità ed infanzia, Carta del lavoro, Esenzioni tributarie per famiglie numerose, Creazione delle aree industriali, Patti Lateranensi, legge istitutiva dell’INAIL, libretto di lavoro, Legge istitutiva dell’INPS, riduzione del lavoro a 40 ore settimanali, Assegni famigliari, Casse rurali ed artigiane, legge istitutive dell’Ente autonomo case popolari, riforma dei codici, legge urbanistica, legge istitutiva dell’INAM, Socializzazione delle imprese… ( per i dati esatti sulle promulgazioni di tali leggi, rimandiamo al libro “I danni del Fascismo” edito da “All’insegna del Veltro” di Parma).
Nessuna di queste leggi è mai stata citata da nessuno come opera del Fascismo, ma anzi, spesso, si millanta il merito della costituzione di uno stato sociale che invece fu opera del Fascismo e dei Fascisti. Anche perché c’è una spaventosa carenza di meriti propri da far valere! Naturalmente, ciascuno è padrone di fare le scelte morali, politiche e di vita che più gli aggradano, ma non è lecito denigrare gli altri con la menzogna, per falsità o per omissione, per giustificare la propria pochezza.
Tra un secolo o due, quando la storia avrà decantato i fatti e gli storici potranno scrivere basandosi sui documenti, sugli avvenimenti e non sugli interessi e sulle passioni, siamo sicuri che il periodo del Fascismo sarà rivalutato pur nelle sue luci e nelle sue ombre. Lo affermiamo perché già ora qualche cosa si sta muovendo in quella direzione ed i recenti libri di Pansa e di De Felice già narrano gli avvenimenti di quegli anni con maggiore e serena obiettività, facendo giustizia di alcuni preconcetti, pregiudizi e malafede.
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