martedì 14 febbraio 2023

Api giovincelle, mandate a far gavetta



Era il 12 febbraio. Dalle mie parti si dice: “Fevrarut pies di dut!”. Tradotto: “Febbraruccio peggio di tutto!”. Ovvero, dei mesi invernali, l’ultimo, il più corto, è anche il peggiore. Del resto, storicamente è il mese delle febbri. Eppure, ci sono già delle avvisaglie nell’aria. C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico! Ci sono le cinciallegre che delimitano il territorio di nidificazione cantando. E, sempre dalle mie parti, il loro canto è rivolto ai contadini, principalmente, affinché potino bene le viti. Infatti, il canto della cinciallegra maschio si può leggere così: “Ciarpis ben, ciarpis ben!”, letteralmente “Pota bene, pota bene!”. Questo viene interpretato da chi, nella vigna, ha le forbici per potare in mano, ma se si trattasse di un carpentiere o di un idraulico, il canto della cinciallegra non direbbe niente. Anche perché carpentieri ed idraulici non sono soliti frequentare le vigne nel freddo mese di febbraio, trovandosi a lavorare altrove. C’è un’altra avvisaglia nell’aria, oltre al canto ritmato della cinciallegra, ed è il tamburellare del picchio rosso maggiore. Anche quel tamburellio è un mezzo per delimitare il territorio. “Questo pezzo di bosco è mio”, dice il picchio agli altri picchi. E prosegue: “Andate a scavare i vostri nidi da un’altra parte!”. E poi, sempre in tema di primavera incipiente, come non citare quel venticello indeciso tra la carezza tiepida dell’estate e il rasoio tagliente dell’inverno? Zefiro torna e il bel tempo rimena. Mai frase poetica fu più gradita alle orecchie di chi ha passato l’inverno al freddo, o cercando di scaldarsi presso un braciere o un caminetto acceso. E’ il mese in cui i contadini, messe da parte le forbici per potare, danno di piglio alla motosega. E piange il cuore, a noi romantici, vedere gli alberi abbattuti, destinati a diventare legna da ardere per il prossimo inverno, quello ancora di là da venire. E’ in questo contesto, quando ancora Flora si stiracchia indecisa, con le poche primule coraggiose subito decimate dalla brina notturna, che le api decidono di mettersi al lavoro. Ma senza fiori come fanno? Vanno dritte al sodo, agli amenti dell’ontano nero. Che, screpolandosi, lasciano intravvedere il polline tanto ambito da quelle api premature. Sono api giovani, mandate in avanscoperta fuori dagli alveari, al freddo, affinché facciano un po’ di gavetta. E, mettendocela tutta, se la cavano bene. Il sacchettino giallo del polline è ben ricolmo. Torneranno orgogliose a mostrare il frutto della loro azzardata fatica. Tutto questo, il 12 febbraio! Grazie Francesco per la tua ottima elaborazione digitale.

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