giovedì 6 giugno 2013

Gaia si sta ribellando




Al movimento contrario alla megadiga di Belo Monte ora si sommano le comunità indigene che occupano le terre dalle quali sono state cacciate dalle multinazionali e dai latifondisti. Chiedono la riforma agraria ma il governo, per ora, risponde con la repressione.
Si stanno estendendo a tre Stati del Brasile le azioni di protesta delle comunità native per rivendicare il loro diritto alla terra: dopo aver invaso sette proprietà rurali a Sidrolandia, nel Mato Grosso do Sul, comunità indigene hanno organizzato manifestazioni anche a Curitiba, nel Paranà, e a Porto Alegre, nel Rio Grande do Sul. Nelle ultime ore sono state occupate le fazendas (i latifondi) Cambarà e Lindoia, che sommate alle aziende agricole di Esperanca, assaltate venerdì scorso, portano a quattro in meno di una settimana le aree del Mato Grosso in mano agli indigeni.


La rabbia sta ora montando anche nei confronti del governo della presidente Dilma Rousseff, oggetto di pesanti critiche da parte del Consiglio indigenista missionario (Cimi): ''Le demarcazioni sono paralizzate dal governo federale e dai ruralisti'', accusa in una nota l'organo legato alla Conferenza episcopale brasiliana. I popoli originari del Paese sudamericano, stanchi di attendere invano la realizzazione di una riforma agraria più volte promessa ma mai varata, hanno nei giorni scorsi  deciso di scendere in piazza, con archi e frecce, per chiedere indietro i possedimenti che gli sono stati sottratti negli ultimi anni. Nella zona del Mato Grosso do Sul, in particolare, la situazione continua a rimanere molto tesa.

A metà maggio, infatti, un consistente gruppo di indigeni Terena aveva occupato un’enorme fazenda di 12mila ettari di proprietà di un politico locale, la “Esperança” ad Aquidauana nello stato del Mato Grosso, una delle maggiori aree per la produzione della soia di tutto il Brasile, non distante dal confine con Paraguay e Bolivia. L’occupazione è durata per due settimane, ma giovedì della scorsa settimana la polizia è intervenuta con violenza per eseguire un’ordinanza del Tribunale che intimava agli indios di abbandonare le terre: di fronte al loro rifiuto sono esplosi duri scontri in cui la polizia è ricorsa a violenze spropositate per allontanare gli indigeni e ha causato la morte di uno di loro, un uomo di 35 anni colpito da un proiettile di gomma, oltre che diversi altri feriti.

Ma il clima é infuocato anche altrove: gli indigeni che vivono sulle rive del fiume Xingu, in Amazzonia, sono tornati infatti ad occupare il principale cantiere della mega-diga di Belo Monte, sempre più determinati ad andare fino in fondo in assenza di risposte concrete da Brasilia sui gravi effetti collaterali provocati nella regione dalla costruzione del gigantesco impianto.

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