Fonte: La giusta distanza
A Hard Rain’s Gonna Fall: fu la voce profetica di Dylan
ad annunciare al mondo la possibile apocalisse. Era il 1963. E mezzo
secolo dopo, quel boia che sembrava ben nascosto, si affaccia sulla
terra e agita la scure. Piovono bombe d’acqua, si desertifica la
terra, l’acqua da bere scompare e quella dei mari s’impenna a
dismisura. Fa più caldo, c’è più fame, sempre più gente deve
partire da lande inospitali. «Sapevamo che il clima stava
cambiando da almeno trent’anni, ma non abbiamo fatto niente per
impedirlo», ammonisce il climatologo Luca Mercalli. «La conseguenza
è che il Pianeta è ammalato e non possiamo più salvarlo. Le
temperature aumenteranno di cinque gradi. E noi non possiamo far
altro che alleviare l’entità dei danni. Se non lo facciamo, la
Terra diventerà un pianeta per dinosauri», chiosa il presidente
della Società Meteorologica Italiana.
Il clima mostra inequivocabili segnali di mutamento. Che cosa sta
accadendo?
«I pericoli del surriscaldamento sono noti da una trentina di
anni. Il primo accordo internazionale sul clima risale alla
Conferenza delle Nazioni Unite che si tenne a Rio de Janeiro nel
1992. Ma da allora abbiamo perso molto tempo utile: tante
chiacchiere, poche decisioni. Non fa eccezione neanche il protocollo
di Kyoto, un piccolo esperimento diplomatico che non ha certo
lasciato il segno nella riduzione delle emissioni. Il risultato è
che oggi ci troviamo a dover mettere una pezza su un problema ormai
irrisolvibile. La Conferenza che si terrà a Parigi dall’1 al 12
dicembre, è l’ultima chiamata. Ma dev’essere chiaro. Il Pianeta
è ormai ammalato: non possiamo far altro che tentare di ridurre
l’entità dei danni».
Quali rischi corriamo, se non si prendono provvedimenti?
«Se a Parigi si firma e ci si decide a fare qualcosa, possiamo
cercare di contenere l’aumento della temperatura globale entro due
gradi da qui al 2100. In assenza di provvedimenti, il clima
registrerà viceversa un surriscaldamento di cinque gradi. Se così
fosse, i siciliani si troverebbero a fronteggiare temperature estive
che sfiorano i cinquanta gradi, per fare un esempio. Molti luoghi del
mondo diverrebbero invivibili: un pianeta per dinosauri, inadatto al
genere umano».
Continuerebbe il processo di desertificazione, ad esempio.
«Proprio così. Abbiamo già registrato in tutta la Terra aumenti
di temperatura di un grado. La desertificazione delle zone calde,
dove già adesso l’acqua è in fase di esaurimento, proseguirà
inesorabile. Ma il surriscaldamento accelererà anche la fusione dei
ghiacciai nelle zone di montagna e nelle regioni polari. Nessuno le
vede perché in quei luoghi non ci sono le redazioni dei giornali. Ma
se il New York Times avesse una redazione in Groenlandia, saremmo più
preoccupati. Nell’Artico e in Antartide, è in corso una
preoccupante accelerazione dei processi di scioglimento. Oggi le
acque salgono di livello al ritmo di tre millimetri all’anno. Ma
fra un secolo ci troveremo a dover gestire due tipi di scenari: uno,
con un mondo a due gradi in più, dove le acque sono cresciute di 40
centimetri. O un altro, ben più devastante, che vedrebbe il livello
del mare cresciuto di un metro nell’arco di un secolo».
Quali conseguenze sulle ondate migratorie?
«Il problema è già oggi di grande attualità, anche a causa dei
mutamenti climatici. Ma nel prossimo futuro gli effetti saranno
dirompenti. Pensate ad esempio al Bangladesh, un Paese che si trova a
un metro dal livello del mare ed è popolato da 100 milioni di
abitanti. Se il Paese dovesse divenire inabitabile, saremmo di fronte
a un esodo di dimensioni bibliche. Ma se il mare non si alza in una
notte, ancora più allarme devono destare gli eventi intensi. Uragani
e siccità producono fame. E la gente scappa in quel caso nel giro di
un mese. Viviamo in un mondo popolato da 7 miliardi e 300 milioni di
abitanti. Ma nel 2050 diventeremo nove miliardi. Dovremo fronteggiare
emergenze epocali. Gli sbarchi a Lampedusa, in confronto, saranno
ricordati come sporadici tour di poche migliaia di persone».
Molti lo negano: è colpa dell’uomo se il clima è cambiato?
«Gli esperti di clima sono pressoché concordi: le colpe
dell’uomo sono evidenti. Chi lo nega non appartiene quasi mai al
novero di quanti studiano l’ambiente. Si tratta spesso di
“disturbatori” al soldo delle grandi società petrolifere e del
carbone che negli Stati Uniti finanziano gruppi di ricerca costruiti
ad arte per inquinare il dibattito. I “negazionisti” fanno
chiasso sui giornali, ma nei congressi scientifici non ci sono mai. E
nessuno di loro, chissà perché, mette mai a disposizione
di Science o Nature gli studi
che si vantano di aver condotto. Sanno benissimo come stanno davvero
le cose. Basti pensare alla questione dell’amianto e del tabacco:
dopo anni di dirottamenti, la verità è finalmente venuta a galla,
nonostante le loro manovre».
In vista di cambiamenti così epocali, non converrebbe anche alle
lobbies programmare il futuro invece di negarlo?
«Un uomo di grandissima autorevolezza in campo economico come
Lord Nicholas Stern, già consigliere economico del governo
britannico e docente di Economia alla London School of Economics, ha
scritto nel celebre rapporto che porta il suo nome nel 2006 che è
meglio investire in prevenzione un punto di Pil oggi, piuttosto che
dover affrontare danni economici che possono arrivare al venti per
cento del prodotto interno lordo di domani. Eppure chi fa affari
sullo status quo, non vuole mollare l’osso che rosicchia. E non
comprende che ci sono delle cose che l’economia non compra. Le
sofferenze delle persone non hanno prezzo, e non possono essere
trasformate in moneta».
E intanto caldo e bombe d’acqua, sono sempre più ingestibili
«Le ultime estati sono state le più calde degli ultimi duecento
anni. Ma per quanto riguarda le precipitazioni violente si può
parlare di un influsso. L’aumento delle piogge è sicuramente un
segnale dell’aumento dell’intensità di certi fenomeni, ma c’è
anche un’importante quota di responsabilità da attribuire
all’abuso del territorio e alla cementificazione selvaggia».
Che cosa fare per diminuire l’entità dei danni?
«La regola aurea che vale per tutto e per tutti è una sola:
abbattere lo spreco. Siamo una società che spreca cibo, energia,
risorse. Eppure, specie in tempi di grande crisi come quelli che
viviamo, l’idea fatica a trovare il favore popolare. Un vero
mistero. Puntare a una maggiore efficienza, non vuol dire tra l’altro
neanche dover fare sacrifici, ma soltanto usare la testa: possiamo
avere lo stesso livello di comfort senza particolari rinunce. C’è
ad esempio la bella possibilità del bonus fiscale del 65 per
cento per chiunque faccia un’operazione di risanamento energetico
della casa. Chi vive al Nord potrebbe isolare gli ambienti dal
freddo, e risparmiare sui riscaldamenti. E chi sta al Sud potrebbe
evitare bollette da capogiro per colpa del condizionatore.
L’opportunità è stata riconfermata dal governo anche quest’anno,
ma è stata finora poco sfruttata».
Molti criticano l’energia verde: dicono che costa troppo e ha
una bassa resa.
«Quando è in gioco la nostra salute, i soldi diventano la cosa
meno importante. E poi che senso ha parlare di convenienza, se tra
vent’anni saremo tutti sotto lo schiaffo degli estremi climatici?
Sono discorsi sterili. Quando la natura decide di prenderci a botte
sulla schiena, non può esserci calcolo economico che tenga».
Forse l’enciclica sull’ambiente di papa Francesco potrà
essere d’aiuto.
«Dal punto di vista scientifico contiene il meglio della
conoscenza scientifica attuale. Ma è anche un possente richiamo
etico alle responsabilità dell’uomo, alla solidarietà e all’amore
per il nostro Pianeta. È un’opera straordinaria che non ha avuto
abbastanza attenzione. Ma è destinata a diventare un punto di
riferimento. Per chi abita la Terra oggi e per chi ci vivrà
domani».
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