sabato 25 novembre 2017

Un'invenzione mediatica volta a colpevolizzare il sesso forte


Testo di Paolo Sensini


Siccome il genere umano è composto da due polarità, maschile e femminile, se si parla di "femminicidio" allora si dovrebbe introdurre anche il termine "maschicidio". Ma è palesemente un assurdo, perché c'è una parola che le sintetizza entrambi: omicidio. Come tutte le morti, quella di una donna per mano di un uomo è una tragedia. Ma il "femminicidio" – termine osceno visto che scinde il valore di una persona a seconda del genere sessuale – è uno di quei crimini che è sempre esistito e sempre esisterà. Non è "eliminabile" per legge, come dimostra l’approvazione del reato servito solo a scardinare il sistema giuridico creando fattispecie ad hoc rispetto all'universalità del Diritto. Esattamente come non è eliminabile il reato di infanticidio, vecchicidio o il dramma del suicidio. I cosiddetti "femminicidi" sono stati nel 2016 poco più di 100, cioè "solo" il 30% del totale degli omicidi: significa che vengono uccisi oltre il doppio degli uomini rispetto alle donne. Il che non è strano, ma pone l’Italia ai minimi al mondo in quanto a omicidi di femmine. 


Dunque campagne mediatiche apparentemente slegate ma virali sulle cosiddette quote rosa, violenze di genere, molestie, femminicidi, discriminazioni e quant'altro sono dei grimaldelli politicamente corretti che servono per alimentare vittimismo e trarne spesso vantaggi del tutto indebiti. Se ne deduce, dai freddi numeri, che l’emergenza "femminicidio" è quindi un'invenzione mediatica creata per accalappiare fondi pubblici e posizioni di potere da parte delle associazioni boldrinesche. Insomma è solo business mediatico o, per dirla con un termine oggi molto di moda, una bufala.

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