martedì 28 novembre 2017

Rendiamogli onore (e passiamo oltre)



Ci sono personaggi che compiono poco più di un passaggio fugace nella storia, ma che si distinguono come e più di chi al mondo c’è stato per decenni e decenni. Non aveva ancora compiuto 15 anni, Roberto Di Ferro, quando fu catturato dai nazisti, il 25 marzo del 1945. Nato in un piccolo centro dell’alessandrino, lavoratore da giovanissimo per aiutare la famiglia, Roberto scelse la via delle montagne per contribuire alla Liberazione, guadagnandosi il soprannome di Baletta, per via della sua giovane età e del suo entusiasmo nello svolgere i compiti di staffetta. Era un ragazzo, Roberto, poco più di un bambino, ma non aveva paura di fare scelte da grande. Volle combattere al fianco dei suoi compagni, e anche nelle azioni di prima linea, Baletta si distingueva. La lotta partigiana era però messa in pericolo non solo dai nazisti, ma anche dalle spie che collaboravano con i tedeschi; fu proprio a causa di una di queste delazioni, che il gruppo di Baletta fu sorpreso in un’imboscata, durante quelle che sarebbero state le ultime settimane della guerra. Dopo aver esaurito ogni possibile resistenza, dieci partigiani furono arrestati a Pieve di Teco.


Roberto fu condotto insieme ai suoi compagni al Municipio, dove venne messo davanti ad un giudice tedesco, che per tre giorni cercò di estorcergli informazioni preziose, forse confidando in una debolezza dettata dalla giovanissima età. Ancora una volta, l’adulto nel corpo del bambino Baletta tenne duro, e scelse la via più coraggiosa, quella di non rivelare nulla, anche se questo significava andare incontro alle torture, e, infine, alla morte. Nelle prime ore del 28 marzo, a Roberto venne piantata una pallottola nella nuca, e il suo corpo venne poi crocifisso; finiva così la breve vita di Roberto Di Ferro, il partigiano Baletta, tra i più giovani fucilati dai nazisti durante la Resistenza.

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