mercoledì 1 gennaio 2014

Si scrive veterinaria, si legge zootecnia razionale

 
FONTE

Anche io, come Caterina Simonsen, sono stata studente di Medicina Veterinaria e come la sua “tutor”, Giulia Corsini, sono ora Medico Veterinario.
Mi ricordo con angoscia e con sgomento, le interminabili lezioni di Zootecnia, di Ispezioni ai macelli e l’odore mortale delle esercitazioni di Anatomia Patologica o le istruttive gite di apprendimento ai vari macelli o alle aziende in cui dovevi obbligatoriamente osservare un individuo dalla nascita sino alla sua riduzione in “derivati di origine animale” o veri e propri pezzi di cadavere.

Mentre tutto questo avveniva davanti a noi studenti, io e pochi altri definiti troppo sensibili, dovevamo trattenere a stento le lacrime e forzarci di andare avanti facendoci ricordare dalla nostra vocina interiore, che avremmo fatto altro, che eravamo lì per aiutare gli animali nello stesso modo in cui, pensavo allora (ancora illusa), un medico umano aiuta i suoi pazienti a star bene dopo una malattia o addirittura a prevenire le stesse.
Col passare degli anni, gli irriducibili romantici e troppo sensibili, sono rimasti in pochi, troppo pochi: c’era chi diceva che la scienza deve progredire, che tutto questo serviva anche agli animali, al benessere animale e con questa scusa ti ritrovavi a studiare leggi che recitano tuttora “benessere degli animali durante la macellazione”.
                                                                                                                                                                 
Nella stessa facoltà che frequentavo, ricordo, oltre ai vari animali usati per le esercitazioni di ostetricia, come vacche, arieti e cavalli, un canile, una fila di gabbie nel lato più estremo del bellissimo giardino della facoltà, in mezzo alla città: sei, sette recinti di rete metallica con un piccolo spazio esterno e con dentro Beagle, vivaci cagnetti rumorosi, piccoli Snoopy in carne ed ossa che dopo vari ripensamenti mi decisi ad andare a vedere. Ognuno di loro aveva una fistola gastrica chiusa da un tappo di plastica biocompatibile bianca come fossero delle bottiglie. Questi piccoli Snoopy, regolarmente, venivano “stappati” e da ognuno di loro si prelevava mucosa gastrica o liquidi biologici dopo aver provato vari farmaci.

Ogni giorno passavo di lì per un saluto e ogni giorno mi chiedevo cosa volevo fare e perché ero lì: il mio amore per gli animali era innato, non riuscivo a vederli come cose, miei oggetti, ma come compagni di vita e di giochi pur essendo nata in una famiglia e in una cultura dove l’animale era solo cibo o lavoro. Diventai così vegetariana, come Caterina, e ascoltavo tutti i giorni le interminabili lezioni dove l’animale era una cosa da ingrassare, da ispezionare, da curare per far produrre di più, da incrociare geneticamente, da usare per le ricerche mediche.

Ecco, dopo cinque anni passati dentro un posto così, dove chiunque tenta di purificarti la mente col sacro fuoco della scienza, mi sono resa conto che nessuno dei miei colleghi o comunque una risicata minoranza, amava la vita, qualsiasi forma di vita animale ma, se di amore si può parlare, potrei affermare tranquillamente che chiunque amava, giustamente, la propria vita e soprattutto, parlando di animali, amava il cane o gatto che possedeva, il proprio cane o gatto.

Con questo, vorrei giustificare in parte Caterina, considerandola quindi una persona che, vista la sua vulnerabilità sull’argomento, è stata strumentalizzata, che si è purificata col sacro fuoco della scienza; ma non potrei mai affermare che ama la vita perché è vegetariana, perché studia veterinaria e perché si fa ritrarre abbarbicata al suo cane personale con occhi languidi: Caterina, giustamente, ama la vita, la SUA vita e il SUO cane, non gli animali, tutti.

Cerchiamo di vedere le cose per come sono veramente e non per quello che vogliono farci credere: il veterinario, il vegetariano o POSSESSORE, solo per il semplice fatto di appartenere ad una di queste categorie, non ama gli animali e soprattutto non li rispetta.

2 commenti:

  1. C'è gente che ancora oggi crede che chi fa il veterinario sia un amante degli animali VERO.
    Che credulona l'umanità.
    Per carità, qualcuno che studia veterinaria da vero amante esiste ma è raro come una mosca bianca,
    ricordo ancora che l'ultimo anno del liceo gli unici che hanno intrapreso la facoltà di veterinaria erano due soggetti frustrati di cui uno che si era vantato di aver ammazzato e poi arso un gatto randagio.
    Non mancano poi medici veterinari di mia conoscenza che hanno trattato i miei animali come pezze da piedi sotto i miei occhi.
    In linea di massima i veterinari sono esattamente come i medici per gli umani: amano forse questi ultimi l'umanità?
    Che poi ci siano delle eccezioni è superfluo dirlo, perfino, le eccezioni ci sono in tutto, esistono anche politici onesti e poliziotti per bene, ma li conti sulla punta delle dita di una sola mano.

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    1. In letteratura abbiamo avuto James Herriot, edito da Rizzoli, e in tivù l'australiano Woobinda.

      La realtà invece ci mostra veterinari che nella maggior parte dei casi pensano ad arricchire, anche quelli che magari in ambulatorio fanno mille moine al nostro paziente a quattro zampe.

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