martedì 1 gennaio 2019

Chi cristiano si fa, il lupo se lo mangia


Fonte: Aleteia

Poco più di un mese fa, la Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre ha pubblicato il suo Rapporto annuale. Circa 300 milioni i cristiani perseguitati nel mondo e 38 i Paesi dove sono discriminati. Tanti di questi cristiani perdono la vita a causa della loro fede.
La strage in Africa
Solo nel 2018: cinque sacerdoti uccisi in Centrafrica in quattro diversi attacchi, oppure sette sacerdoti uccisi in Messico; in Nigeria c’è stato un attentato all’interno di una chiesa nel mese di aprile, dove sono stati uccisi altri due sacerdoti. In Nigeria solamente nei primi cinque mesi del 2018 quasi 500 cristiani sono stati uccisi in attacchi da parte degli islamisti fulani.
L’attentato in Egitto
Poi, veniamo ad esempio ad un recentissimo attentato, come quello in Egitto del 2 novembre, nel quale sono stati uccisi 11 cristiani che si recavano in un santuario vicino Minya. Quindi, purtroppo, le tante uccisioni registrate quest’anno confermano il dramma della persecuzione anti-cristiana (Vatican News, 26 dicembre).


La fossa comune in Libia
Intanto, proprio nel giorno di Natale, resti di 34 cristiani etiopi uccisi da combattenti dello Stato islamico nel 2015 sono stati trovati in una fossa comune in Libia. Lo ha reso noto il ministero dell’Interno di Tripoli. I jihadisti avevano pubblicato un video nell’aprile 2015 che mostrava l’esecuzione di almeno 28 uomini, descritti come cristiani etiopi. Un funzionario ha detto che i loro corpi sono stati scoperti vicino a Sirte, l’ex roccaforte del Daesh fino a quando non è stato estromesso dalla città costiera nel dicembre 2016 dalle forze fedeli al governo appoggiato dall’Onu in Libia (Avvenire, 26 dicembre).
I fratelli “blasfemi”
Altro grave episodio pre-natalizio è la condanna a morte subita da due cristiani in Pakistan. Accusati di avere postato sul loro sito Internet materiale considerato blasfemo, due fratelli, Qasir e Amoon, sono stati condannati a morte in Pakistan per il reato di blasfemia. Entrambi i condannati, sposati e il primo padre di tre figli, erano riusciti a lasciare il Pakistan dopo che nel 2011 erano emerse le accuse nei loro confronti.

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