lunedì 19 settembre 2022

Anche i mosconi vanno in pensione!


Se una mosca grigia della carne (Sarcophaga carnaria), invece di fare il suo lavoro, andando a deporre le sue larve, non uova, ma larve, sulla carne dei banconi dei macellai, si posa su una Bella di notte (Mirabilis jalapa), secondo voi che intenzioni ha? Io qualche sospetto ce l’avrei. Ha lavorato tutta l’estate deponendo le larvette sugli animali morti e, quando capitava, sul cibo abbandonato e ora, prima che arrivi il lungo sonno invernale, vuole spassarsela! 



Scherzi a parte, ho l’impressione che stiamo vivendo gli ultimi sprazzi di sole prima che i cieli si incupiscano come solo sanno fare i cieli durante le uggiose giornate d’autunno. Lo sappiamo noi umani, con corollario di angosce per lo più indotte dai manipolatori di cervelli, e lo sa la mosca carnaria, che considera conclusa la sua missione di ripulire la Terra dagli organismi morti e aspetta solo che il suo tempo di vita si concluda.



Tra tutti i ditteri musciformi, la carnaria è forse quella meno molesta. Altre, più piccole, entrano in casa e si posano con le loro zampette piene di batteri patogeni sulla nostra pelle sudata. E non c’è verso di farle desistere. La mosca grigia della carne non ha ragione di entrare in casa, a meno che non lasciamo pezzi di cadavere esposti a sua discrezione, ovviamente con le finestre aperte. Sua cugina, la mosca che tutti conosciamo (Musca domestica), è un vero tormento delle nostre estati, ma nei nostri climi possiamo anche considerarci fortunati.



In Madagascar capitava che le mosche si posassero sulla forchetta che stavo portando alla bocca con la pasta al sugo e c’era da rimanere allibiti dalla velocità e dal tempismo con cui lo facevano. Una volta mi è capitato di trovarne qualcuna congelata nelle vaschette del ghiaccio dentro il frigidaire, come mammut nei ghiacci siberiani. Come avessero fatto a finire lì è un vero mistero, spiegato però dalla loro brama di cibo.



Non avendo ancora comprato l’obiettivo macro, come mi sono prefissato di fare, ho usato anche stavolta lo zoom Nikon 28-100, ma l’ho fatto all’aperto, per cui ci vedevo bene. Al chiuso, in laboratorio, faccio fatica a mettere a fuoco il soggetto, a causa della poca luce, o forse perché la luce artificiale non è adatta all’occhio umano, a differenza di quella naturale. Per fortuna, ho in Francesco Spizzirri un valido collaboratore, per quanto riguarda l’elaborazione delle foto. E’ a lui che dobbiamo la possibilità di osservare il dittero in pensione, in cerca di forti emozioni, fin nei minimi particolari. 

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