L’altro giorno stavo lavoricchiando in stalla. C’è scarsa illuminazione e di recente ho fatto aprire una seconda porta nel muro, che dà su un cortile, circondato da orti e vigne, a cui prima non avevo accesso, benché annesso alla proprietà. La nuova porta la lascio sempre aperta. A un certo punto, sento russare sommessamente. Il respiro è regolare, ma non appartiene né a un essere umano, né a un cane brachicefalo, ovvero alla mia carlina. Mi fermo ad ascoltare. Mi avvicino alla fonte del suono, sollevo un telo di nylon nero e, appallottolato nella sua beata innocenza sonnolenta, trovo un riccio. E’ entrato dalla porta che dà sul retro. E’ il secondo insettivoro che trovo in stalla. Il primo era un toporagno. Metto il riccio in un secchio e lo porto in laboratorio.
Sul fondo della conigliera distendo la sabbia dell’acquario che avevo rimosso in quanto piena di impurità. Come tana vi sistemo la corteccia di un albero ricurva, non prima di aver scattato al nuovo ospite alcune foto. Il riccio non è a suo agio, così allo scoperto, e ovviamente cerca di arrampicarsi sulle pareti della conigliera. Una volta sistemata la corteccia, delle sue misure, vi si rifugia, portandovi dentro anche un po’ d’erba che gli avevo messo in sovrappiù. Una vaschetta d’acqua completa la temporanea prigione. Poi si presenta il problema del cibo, a cui do facile soluzione: le limacce rosse, abbondantissime sia in giardino che lungo la capezzagna che porta al fiume Stella. In serata vado a farne incetta e trovo anche una cavalletta egiziana investita dalle auto, un lombrico e una larva di maggiolino. Bottino abbondante, ma la larva la metto da parte, per le foto di rito con successiva liberazione. La mattina dopo, vedo che c’è stato movimento dentro la conigliera. La maggior parte dei molluschi è finita nello stomaco del riccio, come pure il lombrico e l’egiziana. Idem nella seconda notte e allora capisco perché lo chiamano anche porcospino: perché è solito mangiare come un porco! La terza notte predispongo la fototrappola, su un treppiede che guarda, dall’alto, in direzione della conigliera. Il mattino dopo vedo che c’è stato ancora movimento e un po’ d’erba era finita nella vaschetta dell’acqua. Nella Card della fototrappola non c’è niente: qualcosa non ha funzionato.
Decido di ridargli la libertà. Che vada a caccia da solo e si rimpinzi il più possibile di prede, così che metta su il grasso necessario a passare l’inverno in letargo. Lo porto in stalla, con solo la base della conigliera e senza la parte metallica superiore, nello stesso posto dove l’avevo trovato. Nel frattempo, il vicino che mi ha regalato due pesci pulitori mi informa che ha visto quel riccio molte volte e che probabilmente ha eletto la sua vigna come proprio territorio. Oggi sono due notti che non dorme nella tana che gli avevo predisposto, sotto la corteccia dell’albero. Fra qualche giorno, per non tenere la conigliera inutilmente occupata, metterò direttamente sul pavimento della buia stalla la scorza dell’albero, circondata dall’erba e lascerò la porta aperta in modo che sia lui a decidere se passare l’inverno in stalla o se scavarsi una tana sotto terra in qualche altro angolo del mio terreno o della vigna del vicino. Se non si allontanerà da qui, ridurrà il rischio di finire investito dalle macchine, un infausto evento a cui i ricci vanno particolarmente soggetti.
Il vicino, mentre mi consegnava i pesci pulitori, mi ha raccontato un aspetto etologicamente interessante dei ricci. Una specie di esperimento empirico. Suo padre anni addietro aveva legato un nastro alla zampa posteriore di un riccio, non quello della nostra storia, ma un altro, e lo aveva deportato a Rivarotta, qualche chilometro lontano da Flambruzzo. Dopo qualche giorno, se l’era ritrovato nell’orto. Lo aveva ripreso e, sempre con il nastrino legato alla zampa, lo aveva portato a Flambro, che dista anche in questo caso circa cinque chilometri da Flambruzzo. Vi lascio già immaginare il finale. Dopo qualche tempo se l’era ritrovato di nuovo in giro nel cortile. Queste storie si sentono a proposito di cani e gatti, ma di un insettivoro, che è un mammifero primitivo, non l’avrei mai immaginato. Come minimo, bisogna riconoscere che gli animali sanno sempre stupirci.
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