Testo di Andrea Mavilla
Cari amici, è
proprio vero che in Italia riuscire ad avere un processo
imparziale e corretto – soprattutto quando si tratta di valutare
presunte azioni illegali di appartenenti alle forze di polizia – è
un’impresa ardua. Per chi non fosse
informato, l’8
settembre, durante un
diverbio avvenuto in provincia di Roma – Anzio
– un giovane, Stefano
Brunetti, viene fermato e
portato all’interno della Questura di Anzio. Una volta giunto in Questura, Stefano Brunetti viene rinchiuso
all’interno di una delle tre camere di sicurezza. Secondo la
versione rilasciata dai poliziotti, Stefano
Brunetti, una
volta rinchiuso all’interno della camera di sicurezza, si
rende protagonista di atti di autolesionismo
tanto da costringere gli agenti a chiamare il medico di guardia per
sedarlo.
Stefano, intorno alle
due di notte viene condotto nel carcere di Velletri, ma il
giorno dopo viene ricoverato in pronto soccorso per le gravi
condizioni riportate.
”Ragazzo –
esclama il Dott. Claudio Cappello – chi ti ha ridotto
così?”.
A questo punto
Stefano Brunetti risponde:
“Mi hanno
menato le guardie del commissariato di Anzio”.
Stefano Brunetti,
qualche ora dopo questa affermazione – confermata dal Dott.
Claudio Cappello – muore per le gravi lesioni riportate.
Il Pm Dott. Luigi
Paoletti a seguito della
denuncia avvia un’indagine che dura due anni, rinviando a
giudizio Salvatore Lupoli,
Massimo Cocuzza, Daniele Bruno e Alessio Sparacino. Tutti Poliziotti
presso la Questura di Anzio:
“Gli imputati sono
accusati di aver cagionato in concorso tra loro la morte di Brunetti
Stefano tratto in arresto dai medesimi e trattenuto presso le camere
di sicurezza del commissariato fino all’accompagnamento in carcere,
con atti diretti a commettere il delitto di percosse o lesioni
personali, segnatamente colpendolo più volte con un mezzo
contundente naturale o non naturale… con l’aggravante di aver
commesso il fatto con abuso di poteri o comunque violazioni di doveri
inerenti a una pubblica funzione”.
Il dott. Marella
consulente medico legale della procura di Velletri che effettua
l’autopsia rileva che le lesioni
sono state prodotte nelle 18-20 ore precedenti il decesso ovvero
nell’arco di tempo della sua detenzione nella camera di sicurezza
del commissariato. La morte è stata
causata da una emorragia
interna provocata dalla rottura di due costole. Il processo si è
concluso con l’assoluzione dei quattro agenti di Polizia – per
non aver commesso il fatto – e confermando quindi la tesi
dell’autolesionismo. D’altronde,
sono centinaia i casi in cui appartenenti alle Forze
Dell’Ordine – inquisiti, condannati e poi arrestati – per
svariati reati, non solo non sono stati rimossi dal servizio, ma in
certi casi han fatto addirittura carriera.
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