mercoledì 8 novembre 2017

Canto di un poeta disperato




Parlerò chiaro, anzi piatto. Nel parlare a volte si dissimula involontariamente; nello scrivere ancor di più. E - a volte - si legge ciò che uno scrive con una certa fretta. Con la fretta che impongono le proprie convinzioni. E si viene equivocati. Non del tutto, ma di quel filo che fa sostanza. Posso dire, in primis, che ogni mia parola, la più sciocca o la più pomposa, quella goffamente ricercata e quella quotidiana, persino le male parole e gli insulti atrabiliari, sono intrisi di un'angoscia senza redenzione. Rivendico tale disperata sincerità; e spero che me la riconosciate tutti. E poi, come diceva Totò, in secundis: siete morti e non lo sapete. Tutti. Ciò che affermo a favore della tradizione e del sangue e dell'Italia e della bellezza non lo dico solo a esclusivo beneficio dell'Italia. Ma a beneficio di islamici, calmucchi, indios, negri, ebrei e citrulli nordici. Ho passato una vita a scrivere dei "vanishing peoples": Aztechi, Patagonici. Amazzonici. E ora sarei diventato razzista?



Quando Pasolini si commuoveva di fronte agli idoletti africani lo faceva perché gli ricordavano Enea: sicuramente Enea, nel suo approdo al Tirreno, si portava appresso bambole agresti come queste, pensava. E piangeva perché sapeva, con tutte le sue contraddizioni, che un mondo finiva: quello che ricomprendeva Africani, Troiani e Italiani. Piangeva per tutti e tre poiché aveva intuito l'inumano. Egli, insomma, venerava il sangue e la cultura di ogni popolo. E se io venero Piero della Francesca o Cavalcanti o certi affreschi sperduti nelle profondità della Tuscia venero, allo stesso tempo, gli Alacaluf della Patagonia, il popolo siriano, i senegalesi, gli argentini, gli eschimesi e i siberiani. E li venero poiché intuisco che su tutti grava la cappa del nichilismo prossimo venturo. Tutti questi popoli spariranno, anche fisicamente, e spariremo pure noi, spariranno millenni di cultura e tradizione per far posto a nulla. A nulla. Cosa diavolo ci fa un un africano cencioso nella provincia profonda italiana?



Semplice: distrugge se stesso, l'Africa e l'Italia. Gli Africani vanno a cacare nel teatro di Ferento, che per loro è un ammasso di pietre insensate; poi, fuori della loro Patria, si dimenticano di essere se stessi. In un sol colpo annullano Africa e Italia. Il risultato della loro migrazione forzata non è l'integrazione, che non ci sarà mai, ma la riduzione di milioni a poltiglia manipolabile: fra venti o trent'anni tale poltiglia proletaria, né italiana né africana né umana sarà il mattone fondante del nuovo esercito di zombie. Nessuno ricorderà più niente del passato poiché nulla del passato gli è stato insegnato. Non spererà nulla del futuro perché il futuro non esisterà. Ci sarà il presente bastardo, un po' di elemosina, amoralità eccitante e inservibile e una guerriglia a bassa tensione fra minutaglie idiotizzate. Questo il mirabile nuovo mondo. E lo stanno preparando con cura. Ma c'è ancora chi parla di razza. Di fascismo. Di campi antimperialisti. Di federalismo. Di inni al meticciato. Di wikileaks.

Fra poco tempo tutti coloro ai quali tengo moriranno. Coloro che amo più di ogni altra cosa hanno gambe forti e fronti alte: gli sarei solo d'impaccio. Io devo morire poiché il conforto di mille giorni sarà nella polvere. Fra le rovine non mi verrà certo voglia di leggere, scrivere, ascoltare musica, disegnare. La cultura è fatta per essere condivisa. Se disegno un casale nella campagna romana è perché so che qualcuno, da qualche parte, ama ciò che sto facendo. Il nulla rende tutto mediocre, avanza, stritola, polverizza, ottunde. Una ex umanità languisce stolida, indifferente a tutto. Ha senso leggere? Vivere? La morte mi balla in petto da così tanto tempo.

Un mondo finisce, per sempre, e porta nella dimenticanza il senso di interi millenni. E io dovrei adattarmi ai nuovi baccanali dell'indistinto? Meglio lasciarsi andare. Per trovare una persona intelligente occorre scarpinare troppo. Non colta, intelligente.  L'intelligente lo si riconosce subito: la sua cultura è dissimulata e, prima o poi, cede il posto a una cedevole e divertita rassegnazione. Chi è intelligente sa; e sa che la morte costituisce l'unico orizzonte. L'etica delle persone intelligenti: prendere tutto sul serio, sin alla disperazione, ma vivere con leggerezza regalando l'impressione della futilità. Bene non è vivere, ma vivere bene: l'antica sentenza reclama i diritti della ragione, come sempre.


Disperdere la propria biblioteca (rammento la storia d'ogni suo libro), i quadri, gli argenti, le stampe, i dischi, le lettere (minutamente copiate, con testardaggine), i film, i piccoli oggetti in pietra giada onice marmo - se ne vada tutto alla malora! Via, in pasto alla feccia. Le variazioni a carboncino della basilica di Tuscania? Con quelle potete pulirvi il culo, naturalmente!

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