domenica 29 ottobre 2023

Migrazioni


Sto leggendo il libro che la mia morosa ha lasciato da me. Per quando tornerà la prossima volta l’avrò finito di leggere. Una delle cose che mi hanno colpito riguarda un fenomeno che sta accadendo ai giorni nostri, ma che per certi versi si era verificato anche nel XIX secolo. Tralasciando le grandi migrazioni che portarono gli italiani a recarsi nei più sperduti angoli del mondo, c’è stata una migrazione tipicamente friulana che si è verificata nella seconda metà dell’Ottocento e che riguardò circa 20.000 miei corregionali. Le grandi migrazioni di italiani verso le Americhe o i paesi industrializzati d’Europa, o verso l’Australia, o quella particolare di cui voglio parlare, avevano un movente economico, cioè le persone espatriavano per cercare un lavoro. Rispetto alle ondate di migranti provenienti dalle regioni subsahariane, che solo ufficialmente vengono in Europa per lavoro, i 20.000 friulani che partirono dalla pedemontana del Friuli occidentale, erano diretti verso Budapest, all’epoca in piena espansione edilizia. Si trattava di manodopera di cui la città danubiana aveva bisogno. Erano lapicidi, scalpellini, muratori, terrazzieri, mosaicisti, ma anche manovali, cuochi e macellai. Del resto, non era una novità, in queste contrade, e già dal XVI secolo dalla Carnia partivano i Cramars, specializzati nelle spezie e nelle stoffe, dirigendosi non solo verso l’Ungheria ma verso tutta Europa.



I giovani africani che arrivano quotidianamente da noi non sanno da che parte dirigersi e si lasciano condurre come greggi di pecore. Non hanno pianificato niente. I miei corregionali sapevano dove andare. Di lavoro ce n’era a Budapest e, anche se non parlavano la stessa lingua, erano sotto lo stesso impero austriaco e per comunicare usavano metodi che anche nel mondo antico venivano usati dai mercanti: se non c’erano interpreti, ci si capiva ugualmente, facendo di necessità virtù, sotto la spinta del business. Il gruppo dei pordenonesi partiva la primavera per fare ritorno in inverno, a differenza dei Cramars carnici che partivano d’inverno per far ritorno nella primavera successiva.


I giovani di colore che arrivano da noi in tutte le stagioni, non fanno alcuno sforzo per imparare la nostra lingua, vuoi perché hanno in mente di andare in Germania, senza sapere che la Germania non li vuole, vuoi perché ci considerano infedeli con cui non amano mescolarsi, finendo inevitabilmente per formare dei ghetti separati dagli indigeni e abitati solo da loro. In Francia è così. I miei antecessori, invece, grazie alla dignità del lavoro e al rispetto reciproco, trattandosi da entrambe le parti di genti cristiane, non avevano motivo di lamentarsi, se non quello di lasciare le loro famiglie in Friuli per molti mesi all’anno.



I giovanotti africani che arrivano non sembrano aver voglia di tornare tanto presto nei loro paesi, tanto più che in Italia trovano comode situazioni di tipo assistenziale, dettate dalla carità cristiana, e tutt’al più mandano alle famiglie, tramite Western Union, quel po’ di denaro che riescono a racimolare. Se poi finiscono nelle grinfie della mafia nigeriana, non solo non vogliono, ma probabilmente non possono neanche andarsene, perché sottoposti a minacce da parte di affiliati all’organizzazione mafiosa, rimasti in Africa, minacce dirette verso le famiglie lasciate laggiù. Il lavoro è fatica anche se fatto vicino casa, se non addirittura dentro le mura domestiche, ma andare a farlo a centinaia di chilometri di distanza è una vera avventura, piena di rischi. A quelli che arrivano dal sud del mondo, visto che lavoro non ce n’è e ce ne sarà sempre di meno, l’unica cosa che resta è l’avventura, un’avventura di tipo parassitario, che lascia malcontenti loro, che si accorgono di non essere ben voluti, e malcontenti noi, che li dobbiamo subire. A differenza di ciò che dicevano tre anni fa gli ottimisti, a proposito del Covid, con gli stranieri in casa non andrà tutto bene.

3 commenti:

  1. Nel bellissimo "I ragazzi della via Pal" di Ferenc Molnar, si fa spesso riferimento all'omino italiano col carretto che vende il torrone vicino alla scuola. Forse friulano?

    Pezzo interessante, istruttivo. Ben scritto.

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    1. Se vendeva torrone forse era di Cremona. Se gelato forse era del Cadore. (Freeanimals)

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