venerdì 10 maggio 2013

Matti per i gatti

  
Così s’intitolava un’intervista a Giorgio Celli, noto entomologo bolognese e divulgatore scientifico televisivo, amante dei gatti, ma l’espressione può essere estesa anche a tutte le gattare, o gattofile che dir si voglia.
Spesso, come provocazione retorica, diciamo agli onnivori che se proprio gli scappa di mangiare carne di macellare gli animali con le proprie mani, e portiamo come prova della nostra non idoneità al consumo di carne l’assenza di zanne e di intestino corto.
Eppure, che l’Homo sapiens abbia una parte di ferinità è altrettanto vero e ciò che è successo in Brasile ne è la testimonianza.
Vedere un uomo che mette in pratica il nostro invito retorico e uccide a morsi un gatto, così, tanto per passare il tempo, ci fa capire non solo che abbiamo a che fare con uno psicopatico, ma che l’essere umano ha tutte le potenzialità per tornare al cannibalismo com’era nei tempi andati.

Probabilmente, in una situazione di “day after”, quello psicopatico brasiliano riuscirebbe a sopravvivere meglio di chiunque altro, vista la disinvoltura con cui riesce ad addentare un mammifero, vivente, a sangue caldo. Mi ricorda quegli scimpanzè che in un famoso documentario diedero la caccia a piccole scimmie, riuscendo a catturarne alcune e a sbranarle sul posto, in cima agli alberi della foresta. Il documentarista voleva sfatare il mito del primate nostro cugino come di scimmia vegetariana e pacifica. Chissà cosa voleva dimostrare quel signore che, forse con un telefonino, ha filmato il “pazzo” che sbranava il gatto?
In quel caso, con uno spettatore che invece d’intervenire a salvare l’animale si limita a riprendere la scena, non è scattato il meccanismo dell’induzione a delinquere in qualità di attori in un’improvvisata recita - come avviene spesso nei teatri di guerra in presenza dei fotoreporter - dal momento che il “pazzo” non si era neanche accorto d’essere filmato e lo avrebbe fatto indipendentemente dai presenti.

I quali non si sono premurati di togliere dalle mani del minorato mentale quel gatto che avrebbe potuto subire danni, come poi è regolarmente avvenuto. Trattandosi di una piccola comunità forestale, presumo che il pazzoide era ben conosciuto per le sue intemperanze, eppure nessuno si è premurato di togliergli di mano il gatto, ma se si fosse trattato di un bambino le cose sarebbero andate diversamente.
La scena dunque va contestualizzata e stiamo parlando di una società rurale in cui gli animali vengono abitualmente macellati sulla pubblica via, nessuno si scompone per le loro urla di dolore e i cugini selvatici di quelle persone, gli indios che vivono nella selva, mangiano anche i ragni giganti, oltre a uccidere scimmie e tapiri con la cerbottana.
Quando vedo scene di guerriglia tra indios, che si oppongono allo sfratto impostogli dalle autorità brasiliane, e soldati, ovviamente sto dalla parte dei primi, ma se penso che tutti loro, per cultura e tradizione, hanno comportamenti crudeli verso gli animali, mi viene da considerare che essere allontanati dalla foresta è solo ciò che si meritano. Una specie di Nemesi.
O karma se si preferisce.
Ma tornando al divoratore di gatti (che poi non l’ha neanche mangiato), vanno dette anche altre cose. La barbarie che si palesa con quel preciso comportamento passa attraverso il non uso di utensili. La nostra idea di civiltà c’impone di macellare gli animali con strumenti da punta e da taglio. Da qui la proposta retorica degli animalisti fatta ai carnivoristi. Il pazzo brasiliano usa i suoi denti, mentre tutti i macellatori del mondo usano coltelli affilati, protesi dei denti stessi e degli artigli che non abbiamo.
A una coscienza desta anche la “normale” macellazione provoca ribrezzo, mentre per le persone “normali” diventa accettabile. Qui, nel caso brasiliano, c’è un sovrapporsi di sdegni. Allo sdegno di uccidere un animale che per milioni di persone è un pet, un compagno di giochi e di vita, si aggiunge l’inutilità del gesto, lo spreco di proteine abbandonato come un rifiuto e sputato via, insieme alla modalità di esecuzione.
Siccome l’idea che non si debba far soffrire le bestie è stata propugnata anche dai padri della Chiesa, come sant’Agostino, e ha fatto presa nella religione cattolica che bene o male è stata insegnata anche in Brasile, l’uccisione odontoiatrica di quel gatto suona stonata anche agli astanti. Tanto è vero che il tizio con il cellulare - o la videocamera - ha filmato la scena, considerandola interessante.

Se in Cina, in certe località, i gatti vengono mangiati, si capisce che c’è una ragione di tipo
opportunistico, esattamente come avveniva a Vicenza, sempre che non si tratti di una leggenda metropolitana ingigantita per ragioni campanilistiche interne alla cultura veneta. Ma quando veniamo a sapere che certe squadre di calcio, in ritiro in qualche pizzeria con dirigenti e sostenitori, offrono agli incauti presi di mira, per farsi quattro risate, gatto spacciato per coniglio, solo per vedere poi la faccia del consumatore che viene avvisato dell’inganno, percepiamo la stessa inutilità, la stessa mancanza di rispetto, la stessa disattenzione per il principio cattolico del non far soffrire le bestie e non sprecare il cibo.
In Cina il commercio e il consumo di carne di gatto è palese, anche se probabilmente illegale, a Vicenza e altrove nel Nord-Est - se quanto mi è stato riferito è vero - lo si fa di nascosto, ché tanto un’incursione dei NAS mentre si è al ristorante è poco probabile che si verifichi.
In Brasile è capitato, spero, un caso singolo, con un pazzo in circolazione che magari la prossima volta ucciderà un bambino – e la cosa rientrerebbe nel discorso della Nemesi.
In altre parti del mondo si prendono i gatti, come in Bulgaria si prendono i cani, e li si usa per giochi pubblici, con tanto di presenza infantile, per rimarcare la superiorità dell’uomo sulle bestie. In questo, la dottrina della Chiesa cattolica è insuperabile e, ragionando a mente fredda, è arduo supporre che i nostri missionari sparpagliatisi in giro per il mondo possano aver insegnato ai barbari indigeni qualcosa di diverso dall’antropocentrismo. Forse qualcosa sarà potuto venire dai missionari protestanti, che a differenza di quelli cattolici hanno una sensibilità diversa e migliore verso le altre creature.

Di fatto, missionari o non missionari, internet ci mette al corrente di situazioni incresciose in cui ai gatti, e a tutti gli altri animali, viene fatta ogni sorta di cattiveria, ogni genere di atto sadico, che, nel contesto in cui avviene, non è neanche percepito come tale.
Se prendiamo il caso di alcune nazioni africane, dove la stregoneria animista è ancora in auge, troviamo che a volte vengono accusate d’essere streghe perfino delle scimmiette, e arse vive com’è successo in Sudafrica. In altri posti è ancora la volta dei gatti, che con la stregoneria hanno evidentemente un rapporto millenario, di esser crocifissi e sventrati per puro diletto. O per proteggere la comunità dagli influssi maligni del felino, ché è la stessa cosa. A qualcosa, il crocifisso almeno è servito: a fornire ai sadici primitivi uno strumento di tortura in più, da aggiungersi a quelli che avevano già.

Che dire ancora dei poveri mici? Che la loro vita non è facile, come non lo è quella dei cani.
Che in certi posti vengono impiccati, bruciati vivi o sottoposti a mille altre torture, basti pensare agli studi di neurologia in molti laboratori dell’Occidente.
Con il gatto è così, almeno qui da noi: o lo si ama alla follia, o lo si odia. E infatti ci sono tra gli animalisti quelle che si potrebbero scherzosamente chiamare “scuole di pensiero”: canari Vs gattari.
Io appartengo alla prima categoria, ma ricordo che quando abitavo nella baita in montagna mi faceva piacere se Mitch veniva a sistemarsi sullo stomaco con me disteso sul divano, mentre guardavo la tivù la sera. Le sue fusa avevano un effetto calmante e terapeutico. Gli accarezzavo la “emme” che aveva sulla testa, dato che anche lui faceva parte di quel gruppo di felini che vengono, per tale ragione, chiamati “i gatti della Madonna”.
Diceria popolare.
Mitch non c’è più, da anni ormai, avvelenato da vicini crudeli che, anche se si va a vivere in una baita in mezzo ai boschi, non mancano mai.
Come una maledizione.




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