martedì 16 settembre 2014

E’ il pensiero che conta


A questa ragazza dagli occhi felini abbiamo prima provato a farle conoscere un vazaha e poi, dopo qualche mese, a regalarle un cellulare a cui ci teneva, magari per intessere quelle relazioni, foriere di sbocchi matrimoniali, che la ragazza povera di un villaggio di poveri pescatori ha obiettivamente difficoltà a intrattenere. Ebbene, sia col vazaha, sia col cellulare è andata buca. Non ha funzionato. Nel secondo caso proprio in senso letterale. Se Mauro Venz avesse intenzione di trovare una brava ragazza, che a Sacile non era stato capace di trovare, o di sperperare i suoi soldi con le makorele, non mi era chiaro all’inizio, quando lo mettevo in guardia sui pericoli del Madagascar. Poi, finiti i due mesi della sua permanenza, si è saputo cosa ha scelto di fare. Affari suoi! Per Natascia è stato meglio così, benché lei sia ancora in cerca di un fidanzato e, sperabilmente, di un fidanzato vazaha, che le garantisca un futuro di sicurezza economica. Per il momento, deve accontentarsi di fare la venditrice di pesce al mercato di Tulear, anche se ieri sono venuto a sapere che il pesce è merce così richiesta in città che c’è qualcuno che va direttamente in casa sua, molto spesso, a rifornirsi, così che lei non è obbligata a prendere tutti i giorni il pick up brousse da Ankilibe a Tulear, con la bacinella del pesce.


Tutti i suoi sette fratelli maschi sono pescatori. Escono in mare a tutte le ore del giorno e della notte, con le piroghe. Le sei sorelle invece si occupano della vendita del pescato. E questa è la divisione dei compiti in tutti i villaggi della costa malgascia. Quando si dice pescatori, in Madagascar, si pensa subito ai Vezo, ma Natascia è di etnia Mahafaly. Il suo vero nome è Narisoa Lucienne e qui verrebbe spontaneo pensare che Luciana sia il nome di battesimo, mentre Narisoa sia il cognome. E invece, Lucienne è il nome di sua madre, che è come un nome di famiglia, e Narisoa il suo vero e proprio nome. Natascia è solo il soprannome.

Altra curiosità: gli anni. Poiché non sa se è nata nel 1983 o nel 1984, non sa dire se ha 30 o 31 anni. Di solito, un’incertezza sull’età è comprensibile nelle persone anziane nate nella prima metà del secolo scorso, ma per la gente della brousse può succedere la stessa cosa. Se poi due genitori hanno 13 figli, non li si può criticare se dimenticano le date di nascita di alcuni di loro. Anche l’anno scorso mi era capitato di conoscere una donna di Besely Nord, madre di Efita, che non sapeva dirmi quanti anni avesse il suo bambino malato. Aggiunse che la sera lo avrebbe chiesto a suo marito, che “aveva studiato più di lei”. Io ho dei seri problemi con i numeri – e con il denaro – ma qui in Madagascar c’è chi mi batte, su questo terreno.

Dopo che il promesso fidanzato vazaha, che io e Tina volevamo farle conoscere se n’era tornato in Italia, a Narisoa è successa una disgrazia: è morto il papà. Tredici figli, tutti insieme, di colpo, orfani. E’ successo il 27 marzo scorso e si sa anche, o almeno si sospetta, chi è stato a farlo morire. Si tratta di una donna invidiosa, una certa Zahany, appartenente alla stessa comunità luterana di cui tutta la famiglia di Narisoa fa parte. Nessun provvedimento è stato preso nei suoi confronti, perché non ci sono prove, ma gli abitanti di Ankilibe sono perfettamente convinti che a fare il Gri Gri ai danni del padre di Narisoa sia stata proprio quella donna. Il movente? La pura e semplice gelosia verso una famiglia numerosa e felice. Martin Lutero, nella sua tomba in Germania, forse è un po’ triste per questi risultati. Forse, se i luterani malgasci la smettessero di pensare solo a cantare e ballare la domenica!

Avremmo dovuto andare io e Tina ad Ankilibe a portarle l’agognato cellulare e l’avremmo fatto se la malaria non mi avesse inchiodato a letto. Così lunedì 15 settembre è venuta lei da noi, come il famoso Maometto dell’ancora più famosa montagna. Ha preso appuntamento con Tina grazie al cellulare di ultima generazione che si era fatto prestare da uno dei fratelli. Si è fermata a pranzo, ha visto la televisione sdraiata sul divano, ha fatto la doccia, abbiamo fatto le foto di rito della consegna del dono, durante le quali Tina faceva la buffoncella (poi ho capito perché) e verso le quattro ci ha accompagnato a prendere il ciclo pousse. Ovviamente, noi abbiamo pagato anche il suo, essendo nostra ospite. E’ stato solo dopo che se n’era andata, quando cioè ho chiesto a Tina se Narisoa era rimasta soddisfatta del dono, che sono venuto a sapere che alla fine Tina aveva deciso di non darglielo, perché non si può regalare un cellulare che non funziona.

Infatti, quando ancora stavamo facendo le foto, mi ha chiesto se non mi vergognavo a regalare cose rotte. E’ vero, non si regalano cose rotte, ma l’idea di regalarlo alla sua amica era venuta a lei, ancora agli inizi di luglio, e la mia proposta era che lo vendesse a quei ragazzi che stazionano giornalmente sugli Arabeny di Antananarivo e che trafficano in cellulari. In Italia, ai mercatini non avrei potuto chiedere più di tre euro, essendo privo di caricabatteria. A Tanà, se anche Tina ricavava 1.000 ariary, era tutto grasso che cola. Quei ragazzi sono dei maghi in fatto di telefonini e lo avrebbero rimesso a posto, per poi rivenderlo. E invece, Tina volle fare bella figura con la sua amica Narisoa. Così dovemmo chiedere a destra e a manca, in diverse città, per trovargli il caricabatteria adatto. Dovemmo spendere dei soldi per pagare Galah, marito di Nazma, che lo mettesse in sesto, per avere poi alla fine il risultato che si è visto. Evidentemente, anche Galah, che pure aveva fatto riaccendere tutte le lucette del cellulare al punto giusto, non ha trovato la vera causa del guasto. Dalle mie parti si dice: “Lis robis lungjs deventin madracs”, le cose lunghe diventano serpenti. Dopo quasi tre mesi, quel serpentello di plastica e metallo dotato anche di coda, ha iniettato il suo veleno un po’ a tutti, a Narisoa in particolare, ma anche a me che avrei potuto venderlo a qualche marocchino sfigato per 50 centesimi, dei tre euro del prezzo di partenza.

9 commenti:

  1. Però...il Madagascar è roba per vazaha col pelo sullo stomaco... Ed io ormai mi sono rassegnato a una vita di studio e alla pace dei sensi

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  2. Almeno le malgasce LO AMMETTONO ESPLICITAMENTE che le relazioni UOMO-DONNA sono sempre e SOLO una questione economica...

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