sabato 6 settembre 2014

Il mare è un barile da raschiare



Clementina ha un chiosco di proprietà in Rue de Cochillages a Tulear, ma ciò nonostante deve pagare al Comune una tassa annuale di 150.000 ariary, 46 euro. A Clementina ho prenotato una statuetta raffigurante un boloko, cioè un parrocchetto nero, che il suo scultore di fiducia ha preparato in un paio di settimane. In tutta la via delle conchiglie – e Clementina non fa eccezione – vengono vendute uova ricostruite dell’uccello elefante, estinto in tempi storici a causa della caccia da parte degli indigeni. Per una volta tanto, non c’entrano i marinai europei, come nel caso del Dodo delle isole Maurizio. Clementina chiede 50.000 ariary per un uovo gigante, pari a 15 euro, ma considerato che ne è vietata l’esportazione bisognerebbe sapere se quando si trova di fronte un turista sprovveduto la donna ha l’onestà di avvisarlo che non può portare l’uovo fuori dal Madagascar e che all’aeroporto glielo sequestrerebbero facendogli pagare una grossa multa. In tal caso, lei perderebbe un affare, ma farebbe un giusto servizio al turista non informato sulle leggi vigenti. 


Sugli altri chioschi c’è di peggio: tartarughe marine imbalsamate, tridacne e strombi, tutte specie protette di cui è vietata l’esportazione. Per non parlare delle ossa di dinosauro, che non sono esposte sui banchi ma che, chiedendo con discrezione, potrebbero saltare fuori. Uova, tartarughe e conchiglie protette vengono comprate da proprietari di ristoranti e alberghi, da tenere nella reception per sbalordire i turisti. Anche i vazaha residenti le comprano, per adornare con macabri soprammobili, almeno nel caso delle tartarughe, le loro abitazioni. I Karana non sono da meno e nel giardino di uno di essi una volta ho visto una capra imbalsamata, perché siamo sul tropico del Capricorno e una capra ci sta bene. Non cadendo quasi mai pioggia, la capra non si deteriora, o lo fa molto lentamente. Discorso analogo si potrebbe fare per tutte le altre conchiglie, i cui legittimi proprietari vi sono stati ammazzati dentro. Non si tratta di conchiglie gettate a riva dalle mareggiate, che sono quasi sempre rotte, ma di molluschi viventi che vengono pescati appositamente per il mercato dei turisti. Per fortuna, con questi tempi di crisi, la via delle Conchiglie di Tulear non è molto frequentata da turisti e di affari se ne fanno pochini. Resta il fatto che non essendoci educazione ambientale nelle scuole, né attraverso i mass-media, nessun malgascio arriverà mai ad acquisire la coscienza del danno arrecato ai fondali marini portando via le loro gemme più preziose e si rischierà di raschiare il fondo del barile. Cioè, del mare. Se già non lo stiamo facendo. Il mare come un enorme barile a nostro uso e consumo. Alla fine qualcuno dovrà pagare il conto.

Nessun commento:

Posta un commento