In
questi giorni mi sono fatto un’abbuffata dei commenti di Luogo Comune,
sulla presunta decapitazione del giornalista americano James Foley. Poi, tanto
per restare in tema, Francesco Spizzirri mi manda un sito in cui c’è una
discreta collezione di teste mozzate in Siria e infine Tina mi legge la notizia
del Gazetiko su un uomo di 50 anni di Andapa, nel nord del Madagascar, che il
14 agosto scorso è stato scoperto dalla moglie insieme alla sua amante, molto
più giovane, e per questa ragione la moglie voleva chiedere il divorzio. Preso
da un raptus, con il timore di essere abbandonato, il cinquantenne l’ha
pugnalata e, già che c’era, ha ucciso anche il cognato giunto in soccorso.
Entrambi, poi, sono stati fatti a pezzi. In questo caso, essendosi l’episodio verificato
in un paese del Terzo Mondo, è difficile parlare di omicidio dovuto a microchip
cerebrale o ad altre diavolerie tecnologiche azionate da remoto, ma si deve
parlare di pura e semplice perdita del lume della ragione. Se non che, appena
accortosi del macello che aveva combinato, l’uomo si è dato alla fuga,
raggiunto però in breve dalla folla inferocita che non ha mancato di linciarlo
a forza di botte. Sopraggiunti i due figli adulti dell’uomo, questi hanno
provveduto a spiccargli la testa dal busto e, avendolo fatto a sangue freddo, a
differenza del padre che aveva agito sotto l’influsso della collera, a me fanno
ancora più paura, trattandosi oltre tutto dei figli stessi, e mi viene il
sospetto che il germe della follia, in quello specifico caso, fosse ereditabile.
Sul luogo dove l’uomo è stato decapitato, poi, si è debitamente provveduto a
sacrificare un omby, affinché il
sangue dell’animale sacro per eccellenza in Madagascar purificasse il terreno.
Anche lo zebù è stato decapitato.
Di femminicidio si è parlato molto in Italia nel 2014, e anche l’anno prima, ma
in nessun caso si è giunti alla decapitazione della vittima. Qui ad
Ambolanahomby, un quartiere periferico di Tulear, al massimo viene rubato del
pollame, benché Tina sia convinta che ci potrebbe essere un salto di qualità e
dal pollame si potrebbe passare al vazaha e alla sua compagna. Per fortuna, la casetta in cui siamo alloggiati ha
le inferriate alle finestre e la sera chiudiamo anche la porta di ferro che
permette l’accesso all’abitazione. Per accedere al cortile c’è un portone di
metallo che la sera viene chiuso con un grosso lucchetto e un’altrettanto
robusta catena. Tuttavia, qui come altrove in Madagascar, i litigi e la
violenza domestica non mancano e sabato 30 agosto io e Tina abbiamo assistito a
un pestaggio da parte di un uomo nei confronti di sua moglie, entrambi di etnia Masikoro. Erano ubriachi e sono giunti a questo epilogo, con l’uomo che ha rincorso la moglie
picchiandola con calci e pugni anche quando era a terra, dopo che la donna gli
aveva rivolto brutte parole del tipo: “Mangia merda!”, oppure “Mi pulisco il
culo con la tua testa!”. Come ho avuto modo di appurare con un conducente di
ciclo-poussy, preso a pugni da un automobilista perché gli aveva detto:
“Scopati tua madre”, i malgasci sono molto suscettibili alle offese verbali.
Quindi, non c’è da stupirsi se il nostro vicino di casa ubriaco ha malmenato la
donna, che aveva cercato scampo nella fuga infilandosi nello stretto corridoio
tra la nostra abitazione e il recinto in legno di katrafay di una casa in costruzione, ma che era stata
raggiunta all’interno di un cortile. Dalla casa annessa però è uscito un
giovane che li ha spinti fuori gridando all’uomo: “Vai fuori di qui se devi
ammazzare tua moglie”. Ed è per questo, perché la scena si è spostata proprio
fuori dal nostro recinto di lamiera, che io e Tina abbiamo potuto osservare il
pestaggio, non visti, da una fessura del recinto. Mentre, con Tina al mio
fianco, trattenevo il respiro osservando i calci che l’uomo elargiva
gentilmente a sua moglie, mi sono chiesto quale fosse il mio dovere in un
simile frangente. Intervenire o non intervenire? Tra moglie e marito non
mettere il dito è un proverbio che Tina non conosceva, ma anche senza
conoscerlo, poco prima, quando mi aveva visto uscire frettolosamente da casa
con la macchinetta digitale in mano, mi aveva imposto di non uscire
assolutamente sul viottolo. Siccome ho la tendenza a fidarmi di mia moglie, che
meglio di me conosce l’ambiente in cui è nata e cresciuta, non mi è stato
difficile obbedire alle sue ingiunzioni di non intervenire. Giacché, se da una
parte si trattava della violenza di un uomo verso una donna a terra, come fanno
spesso in Italia i poliziotti con i manifestanti, dall’altra avrei potuto
andare incontro alla reazione inconsulta di un uomo imbestialito, per non
parlare delle conseguenze legali che, se fosse stata chiamata in causa la
polizia, sarebbero state tutte a mio sfavore, con i poliziotti a cui non
sarebbe parso vero di trovare un vazaha in difficoltà e di metterlo ancora di più sotto pressione per
estorcergli denaro.
Indi per cui non ho fatto niente, nemmeno una foto attraverso la fessura tra le
lamiere, che con il flash automatico avrebbe potuto attirare l’attenzione su me
e Tina, dall’altra parte della “barricata”. Non sapevo, in quel momento, se il
portone d’ingresso fosse chiuso con la catena o meno e non potevo sapere se
l’uomo, dopo aver massacrato di botte la moglie, si fosse messo a massacrare di
botte anche il nostro non certo robusto recinto di lamiere. In quel caso sarei
andato incontro, come minimo, alle spese per la riparazione. Perciò, ho lasciato vigliaccamente che
una donna ubriaca venisse colpita mentre era a terra da un uomo altrettanto
ubriaco. E’ la disperazione dei poveri, che li porta a stordirsi nei fine
settimana, grazie principalmente al toakagasy, il rhum artigianale, che costa poco e la cui
gradazione è così alta che in ospedale lo usano come disinfettante al posto
dell’alcol. E’ proprio per non finire in ospedale che mi sono comportato da vigliacco,
come già mi era successo quando un collega manifestante, a Pordenone, fu
malmenato dai circensi sotto i miei occhi, facendomi capire che la mia indole
più profonda e vera è quella del pavido. Qui in Madagascar, comunque, sono
convinto di aver agito per il meglio, non mettendomi di mezzo, e per questo ora
sono qui a scriverne senza essere aggravato da conseguenze fisiche o legali.
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