lunedì 29 settembre 2014

Le cattive maestre


Imputata: Emilie Filou, collaboratrice della Lonely Planet. Frase incriminata (pag. 241): “Il Madagascar ha sviluppato un’originale haute cuisine che fonde influenze malgasce e francesi traendo il meglio dagli ingredienti locali. Tra i nostri piatti preferiti ci sono la bistecca di zebù con salsa di peperoni verdi e patate fritte, il pollo arrosto con puré di patate alla vaniglia e la cernia in salsa di grani di pepe rosa con patate saltate. Tra gli antipasti figura, naturalmente, il patè di fegato d’oca”.


Come le guide religiose, di qualsiasi religione, sono le principali responsabili del mantenimento dell’umanità su un basso livello di consapevolezza, così le guide turistiche tascabili sono responsabili della conferma delle logiche speciste applicate ai rapporti tra uomo e animali. La francese Emilie Filou, come sicuramente tutti gli altri collaboratori della più prestigiosa edizione di guide turistiche del mondo, la Lonely Planet, ha dato il suo inconsapevole contributo alla formazione del codice etico più diffuso nel mondo, che è già in partenza specista e che conferma ciò che il turista medio vuole veder confermato: il pieno dominio dell’uomo sulle altre creature. Dunque, nessun accenno alla crudeltà a cui sono sottoposti gli zebù prima di essere macellati, ai maltrattamenti a cui sono sottoposti i polli prima di fare la stessa fine, né tanto meno alcun sentimento di pietà verso i muti pesci, pescati in quantità enormi in Madagascar, che sono muti solo per chi ha il cuore indurito da anni di educazione scolastica specista.

Il culmine dell’indifferenza verso il dolore altrui, la Filou, da brava francese, lo raggiunge quando ammette che il patè di fegato d’oca è il suo antipasto preferito, di modo che, ciò che per una pasciuta femmina umana è un semplice antipasto, per migliaia di oche e anatre è una tortura dolorosissima. Non credo che l’autrice si sia mai documentata su come il suo antipasto preferito venga prodotto. Se fosse originaria delle isole danesi Faer Oer, avrebbe scritto che la caccia al globicefalo è il passatempo entusiasmante preferito dei suoi compaesani isolani, consigliando la partecipazione alla mattanza agli eventuali turisti; se fosse originaria della Spagna avrebbe tirato in ballo l’antica tradizione della tauromachia, invitando calorosamente i lettori ad assistere a una corrida almeno una volta nella vita; se fosse turca avrebbe detto che la zuppa d’occhi di pecora è la soupe più saporita che esista al mondo, esortando a superare l’occidentale prevedibile ribrezzo per una minestra che guarda chi la mangia, ma siccome è una francese mangiaranocchie, non può evitare di lasciare la sua peculiare impronta specista in una guida per turisti desiderosi di scoprire le piacevolezze gastronomiche del Madagascar.

Anche se so che questo messaggio non ti arriverà, gentile signora Filou, ti spiego lo stesso come si ottiene il fegato d’oca. Intanto, va detto che questo tipo di pietanza rientra nel novero delle cosiddette efferatezze alimentari, giacché implica prolungata sofferenza negli animali che ne sono vittime. Un altro caso appartenente a tale categoria sono le aragoste bollite vive, appena estratte dall’acquario. In Cina, e in modo particolare a Canton, come testimoniato da Tiziano Terzani, in certi ristoranti si mangia il cervello di scimmia viva, in cui una scimmietta immobilizzata in un buco in mezzo al tavolo, viene dapprima fatta ubriacare dagli avventori, lasciando poi a un abile cameriere il compito di scoperchiare la calotta cranica, messa così a disposizione dei voraci cucchiaini dei clienti. In altre parti della Cina si gettano nell’acqua bollente cani ancora vivi, anch’essi destinati al consumo alimentare e ciò ci fa capire che se in Occidente parliamo di efferatezze alimentari, in Estremo Oriente non esiste nemmeno tale concetto. Lo specismo ha radici antiche e planetarie.

Gettare crostacei intelligenti e sensibili in acqua bollente è paragonabile a quel passatempo dell’antichità, in auge presso tiranni particolarmente feroci, laddove i prigionieri venivano spinti all’interno di un simulacro cavo di bovino in metallo. Indi, gli inservienti accendevano un fuoco sotto la statua e quando il metallo cominciava a diventare rovente, la vittima emetteva urla di dolore che all’esterno suonavano come muggiti, con grande sollazzo del crudele despota e della sua corte. Ci sono stampe che testimoniano tale orribile supplizio, ma altro non so sulla biografia di simili mostri che provavano diletto a tormentare così i loro prigionieri o avversari politici. Io semplicemente li definisco predatori psicopatici e la Storia purtroppo ne è piena. Naturalmente, la signora Filou, se anche è al corrente delle torture inflitte ad esseri umani rinchiusi in un bue di metallo, non arriva ad associare la cosa alle aragoste, alle cicale di mare e ai granchi gettati nella pentola bollente, che manifestano la loro sofferenza dando forti colpi al coperchio, per altro ben serrato, nell’inutile tentativo di scappare.

Nei musei della civiltà contadina delle mie parti, insieme ad erpici ed aratri, si trovano spesso imbuti chiusi superiormente da una lamiera scorrevole, da cui fuoriesce, al centro, una manovella. Al loro interno, una vite infinita s’incarica di far entrare nel gozzo dell’oca il granoturco o le altre granaglie destinate a far ingrossare il fegato dei malcapitati pennuti. Nei tempi di miseria, certi contadini, forse avendo come clienti i borghesi del paese, lasciavano che il compito d’immettere granaglie nello stomaco di oche e anatre, in quantità eccessive, fosse lasciato ai bambini, che così imparavano che degli altri animali si può fare ciò che si vuole. Se poi quei bambini, e stiamo parlando ancora degli anni di miseria in Friuli e altrove, avevano la fortuna di andare a scuola, sentivano la maestra dire che la mucca ci dà il latte, la gallina le uova e il maiale tanti buoni salamini, di cui almeno uno doveva essere messo da parte per lei, da consegnarsi a fine anno scolastico. Di modo che, giorno dopo giorno, con attività pratiche d’ordinaria ferocia, indotte dai genitori, e attività teoriche impartite dalla brava maestrina dalla penna rossa, si “fabbricava” il perfetto cittadino specista, convinto che Dio ci abbia dato il potere sulle bestie, rispettoso della monarchia e pronto a farsi carne da cannone se il re lo comanda.

Siccome la violenza sugli animali è propedeutica alla violenza sugli uomini, principio mai abbastanza pubblicizzato, anche nel caso dell’ingrassamento forzato degli anatidi, che ora è fatto a livello industriale lontano da occhi indiscreti, c’è un corrispettivo nelle crudeltà che la Storia ha registrato ai danni di esseri umani. Si tratta della tortura dell’acqua. Anticamente era per esempio la Sacra Inquisizione a praticarla su eretici, streghe e stregoni. In anni più recenti sembra sia stata fatta anche dagli americani ad Abu Grahib e a Guantanamo. Non posso escludere che in questo momento quegli altri predatori psicopatici saliti alla ribalta della cronaca e che sono conosciuti come ISIS, lo stiano facendo ai danni di qualche loro prigioniero. Nell’antichità al prigioniero disteso su un tavolaccio veniva fatta bere a forza una grande quantità d’acqua, tanto che nelle stampe che ritraggono la scellerata infamia si vede il poveraccio con un ventre enorme, mentre la versione moderna prevede che una garza venga posta su bocca e naso del prigioniero e che vi  venga versato sopra lentamente dell’acqua, a più riprese. Il senso di soffocamento è atroce, ma è proprio ciò che i torturatori vogliono ottenere. Infatti, sia gl’inquisitori domenicani, che i militari aguzzini non mirano tanto ad estorcere informazioni o confessioni, ma il loro obiettivo inconscio, da bravi predatori psicopatici, era ed è di infliggere sofferenza a esseri umani, con la certezza dell’impunità.

Tutti i produttori vecchi e nuovi di patè di fois gras, non vogliono ottenere informazioni dalle oche, ma appropriarsi del loro fegato malato, dato che nelle oche vedono solo la fonte del loro disumano profitto, nello stesso modo in cui chirurghi di pochi scrupoli, complici di accaparratori di bambini del Terzo Mondo, non vedono un essere umano in fieri, strappato magari ai suoi affetti familiari, ma un contenitore d’organi da salvaguardare quel tanto che basta per farlo arrivare nella sala operatoria dove gli verrà tolto l’organo da trapiantare sul ricco, sfatto e troppo pasciuto committente. Anche in questo caso, l’eterea signora Filou, collaboratrice di Lonely Planet, non riuscirà a fare il collegamento tra il fegato d’oca che le piace tanto, portato a uno stadio patologico di steatosi, e le cornee o i reni del bambino rubato alla famiglia in Sudamerica e i suoi organi “donati” al ricco cliente nordamericano. La signora Filou, giornalista freelance, ama il fegato d’oca. Io non amo per niente la signora Filou e tutte le altre superficiali, speciste, cattive maestre sue pari. E non smetterò mai di condannarle moralmente.  

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