Alla
fine sono riuscito a sapere di che morte devo morire. Passato attraverso una
serie di errori e di autodiagnosi errate, mercoledì 24 settembre ho posto la
parola fine agli interrogativi riguardanti la mia malattia, che mi avevano
assillato nelle due settimane precedenti. L’ho fatto grazie a una persona
straordinaria, una piccola grande donna che conobbi nel 2008 e che ho rivisto
dopo sei anni in un contesto completamente diverso e, come un angelo
rassicurante e materno, mi ha posto nelle migliori condizioni psicologiche per
affrontare il viaggio di ritorno a casa. Non alla casa del Padre, ma a quella
avita delle mie origini. L’angelo in questione è suor Clemenza, di etnia
Merina, che un giorno del 2008 si presentò al Longo Hotel di Tulear chiedendo
se c’era un italiano disposto a tenerle un corso del nostro musicale idioma
italico, giacché dopo qualche settimana una comitiva di sorelle, lei in testa,
sarebbe stata ricevuta da Papa Ratzinger in Vaticano e Clemenza voleva almeno essere
in grado di presentare i saluti al Santo Padre nella maniera più corretta.
Paolo Tartari, all’epoca proprietario dell’hotel, sentita la richiesta della
suorina, mi guarda, mi indica e le dice: “Lui è un insegnante!”. Mi sedetti al
suo tavolo e concordammo le modalità del corso, che sarebbe andato avanti quasi
due mesi, due volte la settimana, per 5.000 ariary (2 euro) all’ora, da tenersi
presso l’ospedale di Tulear dove Clemenza faceva la suora infermiera. Fu
contenta di me, alla fine le diedi un diplomino e lei volle regalarmi una
camicia bianca, che mi faceva assomigliare a un vero monpere, come vengono chiamati i sacerdoti in Madagascar.
Ma prima di raccontare come ci siamo incontrati dopo sei anni, lei leggermente
più paffuta e io sicuramente più invecchiato, mi corre l’obbligo di
ricapitolare le tappe della mia infausta malattia, contratta per una serie di
cause concomitanti, principalmente la scarsa igiene ambientale, in quel di
Tulear. Dapprincipio, provando febbre e debolezza, pensai a malaria. Feci le
tre iniezioni di chinino di rito, ma senza successo. Veleno introdotto nel mio
corpo per niente. Allora, mi feci fare un esame del sangue, nella casa di Tina
dove ero alloggiato ad Ambolanahomby, dal paramedico suo parente, il signor Francois.
Esito: positivo alla febbre tifoide. Inizio di terapia antibiotica. Dodici
pastiglie di Ciprofloxacina in tre giorni. Altro veleno introdotto nel mio
corpo forse per niente. Come in seguito mi spiegherà suor Clemenza,
nell’ospedale dove lavorava emettono sempre un risultato di positività al tifo
addominale, per scarsa preparazione o negligenza. Tuttavia, ci ha tenuto a
precisare che anche quando si presentava da lei un paziente con i miei stessi
sintomi, per prima cosa ordinava un breve ciclo di antibiotici, che a suo dire
male non fanno. Mi è stato detto però che sul piano fisico……”buttano giù”.
Così, se al momento ho ancora qualche dubbio, è dovuto al fatto che non so se
avevo l’intestino intasato dai batteri del tifo e se l’antibiotico li ha eliminati,
magari insieme ai microrganismi buoni, oppure se non c’erano batteri e la
Ciprofloxacina ha solo ritardato la mia guarigione. Fatto sta che, in
condizioni di estrema spossatezza, ho intrapreso il viaggio di due giorni da
Tulear a Tananarive, commettendo l’errore di cedere al peccato di gola
mangiando cubetti di tofu dorée
al Dragon d’Or di Fianarantsoa e bevendoci sopra succo d’uva di frigo. Il mio
stomaco è andato fuori di testa. Cosa che sarebbe impossibile invertendo le
parti corporee.
Su consiglio di masera Clemenza,
che avevamo sentito per telefono nei giorni precedenti, martedì 23 sono andato
a farmi visitare presso la clinica delle suore di Tanà, nel quartiere di
Ankadifotsy. Pagando in anticipo un ticket di 9.000 ariary, siamo stati accolti
dal dottor Ndimbiarivola, un vecchietto sbrigativo come un contabile, con
occhialini e capelli tagliati corti, con stetoscopio d’ordinanza al collo e un
martelletto per i riflessi appoggiato vicino al barattolo delle penne biro. Una
piccola televisione a schermo piatto e un computer di vecchia generazione
completavano il quadro della sua scrivania. Più che darmi risposte mi ha fatto
domande, anche abbastanza insignificanti. Mi ha fatto stendere sul lettino, mi
ha misurato la pressione, mi ha auscultato, mi ha fatto tossire e respirare a
fondo, palpandomi l’addome e i reni per sapere se provavo dolore. Gli ho dovuto
anche mostrare la lingua, mentre le sclere gialle dei miei occhi non sembravano
interessarlo più di tanto. In breve, ci manda a fare gli esami di sangue e
urine all’esterno, da un suo amico medico, facendoci anche un disegnetto su
dove si trovasse il laboratorio e dove avremmo dovuto andare a ritirare gli
esiti dopo tre giorni. La clinica in cui operava era quella delle suore di San
Francesco, dotata di tutto ciò che serve e quando masera Clemenza l’ha saputo, che ci aveva mandato
all’esterno, si è arrabbiata. Chissà perché io non mi sono stupito.
Ed eccoci all’incontro determinante. Lungo la strada, accompagnati dal nostro
autista di fiducia Michel, ci siamo fermati a comprare una bottiglia di vino
bianco per la messa e frutta per Clemenza, in quanto, trovandosi ad
Ambohimangarova, 22 Km fuori Tanà, ha poco tempo per fare la spesa e se le
portavamo arance e banane le avremmo fatto un piacere. Non capisco perché
bianco e non nero, il vino, come si usa normalmente, però il sacerdote va
almeno una volta al mese, di venerdì, a tenere messa per lei e per la piccola
comunità che le gravita attorno. Suor Clemenza vive lì da due anni e mezzo, sta
seguendo la costruzione di un dispensario, di un centro di formazione
dottrinale e di una dependance
per gli ospiti. Quando tutto sarà finito, dovrebbero arrivare i lebbrosi e
anche altri malati. Poi, il vescovo di Tanà deciderà se mandarle altre suore di
cui avrà sicuramente bisogno, quando il dispensario comincerà a ricevere i
pazienti. Al momento, la comunità si compone di alcuni operai che costruiscono
le strutture, cinque cani da guardia, che però non possono accedere
all’abitazione di Clemenza e meno che mai nella piccola cappella adiacente.
Tutto attorno, coltivazioni di legumi, ananas, verdure e molti alberi di
papaia, coltivati da contadini gentili e amichevoli. Lei lascia sempre le porte
aperte di notte e il cellulare appoggiato sul tavolino sotto il portico. Qui
non sanno neanche cosa significhi la parola malaso.
Entrati nella saletta da pranzo, si è fatta spiegare tutto il decorso dei miei
malanni, confermando che si tratta di epatite, con annesso ittero, senza sapermi dire se la A, la B
o la C. Tuttavia, mi ha tranquillizzato dicendomi che non è grave, che non
servono medicine ma una dieta appropriata. Esattamente ciò che ci aveva detto
il nostro autista il giorno prima, che ha avuto la moglie per due mesi nelle
stesse condizioni. Chiesto a masera
se sopra il riso in bianco potevo mettere anch’io una spolverata di jamala, la marijuana locale, come ha fatto la moglie
dell’autista e come fanno tutti i malgasci in questi casi, è stata categorica:
niente droghe, perché ottundono la mente. Poi è andata in cucina a prepararmi
un piatto di sosoa, riso bollito
molto acquoso, con una cucchiaiata di latte in polvere per renderlo almeno un
po’ dolce. Mentre Tina, masera e Michel chiacchieravano sul terrazzo e io mi
godevo la piacevole sensazione di riempire uno stomaco a digiuno dal giorno
prima (non avevo fatto colazione pensando di dover fare un prelievo del
sangue), riflettevo sul fatto che mi sarebbe piaciuto passare tre mesi in quel
bellissimo posto, che fra l’altro, a giudicare dal nome, è anche considerato
sacro. Mi piace collaborare con persone di buona volontà e anche se io non sono
cattolico, credo che mi sarei trovato bene in quel piccolo angolo di paradiso,
mettendo a disposizione le mie competenze e anche facendo lavori di
giardinaggio se necessario. L’unico neo: un allevamento di 50 maiali. Come mi
comporterei durante le periodiche macellazioni? Quali meccanismi di stima tra
me e masera si romperebbero,
anche a livello inconscio, mentre assisto impotente all’uccisione dei miei
fratelli suini? Perché la religione cattolica è così attraente nei suoi singoli
rappresentanti ma anche così crudele alla prova dei fatti? Perché non possiamo
vivere in un mondo perfetto? Non ho risposte a queste domande, ma una cosa è
certa: oggi ho incontrato un angelo.
Bè....tu agli angeli hai sempre creduto...
RispondiEliminaMandi 😜
Vero!
EliminaSia quelli in spirito, sia quelli in carne e ossa, sia quelli che scodinzolano.
il riso è un cibo molto colloso per l'intestino... ma tant'è se l'ignoranza regna tra i medici occidentali, figurarsi in madacascar... Il giorno che ti affiderai a conoscere e non a prostarti agli esperti di turno, guarirari da qualsiasi sintomo...
EliminaIl corpo tende naturalmente alla salute... ma se ci buttiamo sempre dentro veleni e parlo anche di ciò che mangi e ti fanno mangiare, fermerai solo i sintomi per qualche tempo ma non risolverai la causa...
l'unica malattia è l'ignoranza...
E qui mi taccio...
http://www.arnoldehret.it/old/modules.php?name=Content&pa=showpage&pid=34
EliminaRiconosco e apprezzo la tua ragionevolezza. Tuttavia, ora e nei prossimi tre mesi mi troverò alle prese con problemi di dieta non da poco, perché le cose che mi piacevano di più saranno off limits.
EliminaL’olio per esempio, le olive, i sughi piccanti, la birra.
Nemmeno gli spaghetti ajo, ojo e peperoncino posso farmi.
Solo patate lesse scondite. Minestrine e semolino.
Riso in bianco mi dici che non va bene.
Al momento mi sento un po’ spiazzato, perché per me è la prima volta.
Vorrei evitare, una volta giunto in Italia, di fare le analisi, perché tanto a che mi serve sapere se l’epatite è A, B o C?
Quando sarò a casa, e avrò più tempo e credito telefonico, vedrò i video che mi posti sul tema.
Per ora non posso far altro che ringraziarti.
Quando sarò a casa,
RispondiElimina=====================================
bisogna vedere SE ti lasciano entrare ........
per i rimpatriati intanto vai in quarantena poi passi in osservazione ,
se ti va bene dopo 40 giorni sarai libero con obbligo di analisi
ogni tre giorni , e pagamento del ticket -
ti aspetto a Cividale !!!
Non ho una malattia infettiva.
EliminaSignor Duria,
RispondiEliminaIl suo indirizzo di posta elettronica è valido? Daniela