Poco
dopo la mezzanotte del 15 settembre, io e Tina eravamo svegli a letto con uno
strano presentimento. E infatti, a mezzanotte e venti abbiamo sentito il primo
colpo di fucile. Poi altri tre leggermente distanziati l’uno dall’altro. Noi
siamo tranquilli perché, per accedere all’abitazione, c’è una prima porta di
ferro e poi una di legno. Tutte le finestre hanno le inferriate. Eravamo
comunque sicuri che il giorno dopo Radio Babaky avrebbe fatto il suo lavoro,
riportandoci nei dettagli l’episodio dei quattro colpi di fucile. A Tanandava,
un villaggio oltre la foresta di manghi poco distante da dove ho trovato le ossa umane, sei malaso hanno
assalito un proprietario di pecore, portandogliene via una ventina. Quando
l’uomo ha sentito un trambusto e dei belati spaventati provenire dal recinto,
benché sapesse cosa stesse succedendo, ha voluto uscire ugualmente e si è
trovato la canna di un fucile puntata addosso. Per sua grandissima fortuna,
visto che la vita umana per i malaso non vale niente, l’uomo che teneva in mano il fucile mentre i suoi
complici facevano uscire le pecore, ha sparato in aria e ha intimato alla sua
vittima di rientrare in casa. L’allevatore non ha potuto far altro che
obbedire, ma quando ha sentito che i belati si erano allontanati, è uscito di
nuovo gridando con quanto fiato aveva in gola, fischiando con il fischietto che
molti tengono in casa e chiedendo aiuto agli altri abitanti del villaggio.
Nessuno è uscito di casa.
Questo
ennesimo caso di abigeato, che va a depositarsi su uno stato d’animo
generalizzato di disperazione, ha spinto il fokontany di Ambolanahomby, cioè il capo villaggio, a decidere
di organizzare qualche forma di difesa. In un primo momento, d’accordo anche
con il vicino di casa poliziotto in pensione, monsieur Albert, il fokontany aveva pensato di arruolare dei militari in servizio,
pagati normalmente 1.000 ariary al mese a famiglia, ma data la fama di
negligenti e approfittatori, poi ha deciso di rivolgersi a gente più seria. I
militari finora utilizzati, sia qui che altrove, dopo aver riscosso i soldi
delle famiglie, compravano il toakagasy, si ubriacavano e si mettevano a dormire di notte, proprio nelle ore in
cui erano pagati per stare svegli.
Ecco
che nei prossimi giorni, il capo villaggio, insieme ad alcuni suoi
collaboratori, andrà ad Ankililoaka, circa 300 Km a nord di Tulear, un
villaggio Masikoro dove ci sono molti Jama disponibili a svolgere il compito di
guardiani notturni. Si fanno pagare, ma quando mettono le mani addosso a
qualche malaso, lo tagliano a
pezzettini. In senso letterale. La loro arma preferita, oltre al lefo, la lancia, è infatti un lungo coltello tagliente.
Fatto notare a Tina che nel confronto tra un fucile o una pistola e una lancia
o un coltello, i primi due hanno sicuramente la meglio, mi ha spiegato che
tutti o quasi i Jama sono ombiasy,
stregoni, e tutti sono muniti di protezione magica che li difende dalle
pallottole. Mi ha citato il caso di Morabe, di Besely Nord, che avendo inserita
sotto pelle una protezione magica poté aprire le manette che per ben due volte
– due manette diverse – i gendarmi gli avevano messo ai polsi. Ci vuole un atto
di fede a credere che la magia possa proteggere dalle pallottole del nemico, ma
questo è un fenomeno antichissimo, descritto da molti antropologi e riscontrato
un po’ in tutte le culture sciamaniche. Sono sicuro che anche se un Jama
dovesse essere colpito, rimanere ferito o ucciso, la convinzione del potere
degli stregoni rimarrebbe inalterata. Purtroppo, io non sarò in ogni caso presente
quando dovesse succedere, ma non invidio la sorte di questi coraggiosi Gurka
del Madagascar.
dica 33 , dica 33 , dica 33 .................
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