Testo di Adelvis Tibaldi
Le chiamano fake news e la loro diffusione offre alle lobby il
pretesto per mettere il bavaglio alla controinformazione dei social e
per continuare a gestire il consenso mediante le testate di regime. Le lobby che governano il paese attraverso i burattini della
politica, sono talmente insofferenti nei confronti delle
contestazioni e dell'esercizio della democrazia da aver costituito
una associazione che, muovendosi sotto il patrocinio del Consiglio
dei Ministri e del Ministero dell'Ambiente, condiziona l'opinione
pubblica con ogni mezzo possibile e con un plateale abuso di
posizione dominante. Per sfottere chi contesta le cosiddette grandi opere,
l'associazione si è data il nome di Nimby Forum e per dimostrare la
sua forza ha celebrato il decimo anniversario della sua costituzione
all'interno del Parlamento. Come testimoni oculari abbiamo assistito
a quella sceneggiata e dopo aver preso atto dell'asservimento di
parlamentari, giornalisti e docenti universitari, ci siamo sentiti
dire che il principale nemico del progresso erano i social. Bene
inteso, non per le possibili falsità o esagerazioni, bensì per le
verità che questi possono veicolare in piena libertà. Adesso le lobby non hanno più bisogno di aspettare i deputati
fuori dal Parlamento e dato che una nuova legge le ha fatte
accomodare nel palazzo da dove possono fare il bello e il cattivo
tempo, non perdono occasione per sollecitare l'emissione di leggi
fatte su misura e, perché no, qualche provvedimento per mettere in
riga i social.
Sebbene le fake news siano sempre in agguato è anche vero che la
sete di notizie sprigiona interessi e curiosità sopite, ma anche
l'esigenza di non sentirsi più soli e il bisogno di mettersi
nell'agone per dire la propria, per apparire e avere la sensazione di
poter contare. A questo punto il controllo della veridicità ha poca
importanza rispetto alla possibilità di esistere, di essere
considerati e di partecipare ad un dibattito che in ultima analisi
potrebbe anche rivelarsi risolutivo e dirimente nella verifica delle
notizie trattate e nella individuazione degli inganni. In fondo, la gente è meno stupida di quanto si voglia credere e
sebbene i social sollevino polveroni spesso impenetrabili, più che
nella affidabilità delle notizie, il rischio risiede nella
superficialità e nella loro velocità, quindi nel poco tempo
lasciato alla riflessione e alle valutazioni degli utenti. Resta il
fatto che i social hanno rivoluzionato i rapporti di forza e mandato
in paranoia le testate tradizionali, che restano tuttavia strategiche
agli occhi di un sistema politico arcaico, convinto che gli inganni e
le notizie farlocche si trasformino in oro colato nel momento in cui
vengono spacciate da un organo ufficiale o, viceversa, quando le
notizie scomode e inopportune vengono occultate.
Nel contempo i media
tradizionali versano in uno stato confusionale e per essere legati al
finanziamento pubblico si fanno servili nei confronti del padrone di
turno. Lo abbiamo constatato in anni e anni di lotte portate avanti
contro i potentati e contro una classe politica assolutamente
asservita ai loro interessi. Abbiamo assistito a vere e proprie forme
di prostituzione e la linea delle testate, che una volta si
sostanziava nell'articolo di fondo del direttore, è sparita e
costui, indossata una barba da vecchio saggio, passa il tempo a fare
il moderatore in ogni sorta di convegno, ove compare senza dispiacere
a nessuno.
In questo clima era inevitabile che fossimo messi all'indice per
essere una voce libera che non va a patti con nessuno e si espone con
denunce concrete e documentate. Ebbene, tutti i corrispondenti locali
delle maggiori testate di regime e di quelle padronali legate al
regime hanno ricevuto l'ordine di non fare più menzione delle
nostre prese di posizione. Situazioni che infamano chi si lascia
condizionare per i sei o dieci euro percepiti per ogni servizio
pubblicato, e altrettanto patetiche sono le acrobazie che i
cineoperatori devono compiere per evitare di immortalaci. Un esempio
emblematico? Due mesi fa abbiamo divulgato la notizia delle acque
contaminate che fuoriescono dalla Caffaro di Torviscosa e da anni
penetrano nella laguna di Grado e Marano con buona pace di tutti.
La
cosa ci è parsa non solo scandalosa, ma oltretutto gravida di
possibili conseguenze per la salute pubblica, tanto da aver sporto
denuncia presso la Guardia di Finanza. E' sembrato quindi necessario
diramare la notizia e consegnare copia dell'esposto alla
corrispondente locale perché la popolazione ne fosse informata e
messa in guardia. Ebbene, impossibilitata a raccontare i fatti per
non incorrere nel divieto di metterci in mostra, la corrispondente ha
preferito affidare la nostra denuncia alle polemiche di un poco
credibile gruppo di opposizione del comune di Torviscosa. Così,
anziché collocare i fatti nel quadro di un aspetto sociosanitario
di assoluta gravità, tale da costituire un motivo di seria
riflessione, la vicenda è scaduta in un battibecco da strapaese.
Da parte sua la Procura non ha potuto fare a meno di dare seguito
alla denuncia pervenutale, ma in una sorta di consonanza con
l'ostracismo delle testate giornalistiche, si è ben guardata dal
compiere un sopralluogo in nostra presenza. Rinunciando a conoscere
ulteriori particolari, l'inquirente si è fatto accompagnare in loco
da un occasionale testimone citato nella suddetta denuncia e per giunta dopo un periodo di
intense piogge che hanno comportato la inevitabile diluizione degli
inquinanti e quindi la dubbia rappresentatività dei campioni
prelevati per l'occasione dall'Arpa. Ma lo stupore del testimone è
cresciuto a dismisura nel momento in cui gli è stato riferito che
l'inquinamento era a conoscenza dell'Arpa, ma che nulla si era fatto
per impedirlo, stante il fatto che la Caffaro era fallita e non c'era
più un titolare a farsene carico. Robe da terzo mondo o per meglio
dire robe da mandare in galera tutti, comprese le autorità
competenti e i responsabili dei controlli ambientali.
E in effetti il gravissimo inquinamento del SIN Grado e Marano,
oggi denominato SIN Caffaro di Torviscosa è arcinoto, quanto
occultato con grave pregiudizio della salute pubblica. Tutto ciò
quando ci sono due milioni di metri quadri sottoposti ufficialmente a
vincolo ambientale e mentre pendono due procedure di infrazione
comunitaria, su due delle sei discariche della Caffaro. La governante
ha taciuto per anni e tutto ciò che si è fatto è un gioco a
scarica barile fra la Regione, il Comune di Torviscosa, il Ministro
dell'Ambiente e un Commissario Straordinario in carica ormai da otto
anni e mezzo, per quanto incapace di conseguire un benché minimo
risultato. La Regione non è stata da meno, non avendo saputo
spendere nemmeno quanto ricevuto in dote dalla gestione commissariale
per il risanamento delle peci benzoiche presenti all’interno dello
stabilimento. Il bello è che, trascorso un anno da quando la
Regione ha sottoscritto il protocollo d'intesa con i Ministeri
dell'ambiente e dello sviluppo economico, non è successo niente.
Ma
oggi, 7 novembre, nonostante la censura, il silenzio stampa e i
campioni annacquati, per evitare il peggio la governante Serracchiani è stata
costretta ad incontrare il sindaco di Torviscosa per suonare le
trombe delle buone intenzioni: per accorgersi di non aver fatto un
bel nulla e per augurarsi di poter attingere quaranta milioni dalle
tasche dei contribuenti per avviare le tanto attese bonifiche, sempre
che a qualcuno non venga in mente di acquistare quelle aree messe a
gara dal Commissario Straordinario. Siamo davanti alla storia della
rava e della fava messa in scena per imbrogliare le carte e
scongiurare una denuncia penale che a questo punto parrebbe
obbligatoria. Intanto per spargere un po' di fumo negli occhi della
autorità giudiziaria e bruciare 700.000 euro a favore di quel pozzo
senza fondo e senza regole che è il Consorzio di Bonifica viene
affidato l'incarico per una fantomatica “messa in sicurezza di
pozzi e falde acquifere”. A tradurre sul quotidiano la velina della
Serracchiani è ancora una volta la corrispondente che per sei euro
non ha avuto il coraggio di raccontare la verità dei fatti.
Le finte bonifiche dell'Aussa Corno emanano un fetore
insopportabile per quanto commesso in quello che a ragione può
essere chiamato l'imbroglio del secolo. Il procedimento pendente
davanti al Tribunale di Roma, dopo che era stato incardinato a Udine,
è in pieno svolgimento e con l'imputazione di associazione per
delinquere vede coinvolto l'ex direttore generale del Ministero
dell'ambiente e tre ex Commissari. Una notizia da occupare la prima
pagina e invece, in onore alla associazione per delinquere, finisce
nel dimenticatoio. Il Messaggero Veneto l'ha trattata a pagina 42, in un
trafiletto anonimo di poche righe, degno dello smarrimento di un
cane: ovviamente senza fare i nomi degli imputati.
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