Un’utente di Facebook, leggendo l’articolo sull’uccisione dei ladri di bestiame nel sud del Madagascar e soprattutto vedendo le foto dei loro
corpi, ha commentato: “Non lo sapevo. I nostri giornali non ne parlano mai”. Al
che, se avessi avuto tempo, le avrei risposto: “Questa è l’Africa. A vite
violente fanno seguito morti violente”. Soltanto ieri sera, 25 luglio, la madre
adottiva di Tina, madame Nohay, che qui vediamo in foto, mi ha consigliato di
non andare in giro per Tulear con lo zainetto sulla schiena, nemmeno di giorno,
perché qualcuno potrebbe aggredirmi armato di coltello, strappandomi di dosso
lo zaino, che la mattina contiene la Nikon e il PC portatile, dato che vado al
Cyber caffé del centro per connettermi a internet. Perché mi dice questo? Io
sono suggestionabile! E’ difficile credere che succeda anche di giorno, ma è
sicuro che se dovesse accadere nessuno dei passanti verrebbe in mio soccorso e
anzi la scena susciterebbe il loro riso, proprio perché ad essere in difficoltà
è un vazaha. A volte, da quando
mi sono trasferito in un quartiere periferico di Tulear, Ambolanahomby, dove di
bianchi se ne vedono raramente, mi sento come Forrest Gump: anch’io cerco di
arrivare alla fine della giornata senza essermi fatto troppo male. Ovvero, per
dirla in modo meno prosaico, cerco di passare il più possibile indenne
attraverso le procelle quotidiane della vita.
I telegiornali non aiutano. La stessa sera hanno dato notizia dell’ennesimo
assalto da parte dai malaso nei confronti
di un taxi-brousse in transito
notturno sulla RN7 e precisamente nel tratto tra Ambositra e Ambalavao. Non
sono stati forniti dettagli sul numero dei passeggeri, sull’ammontare del
bottino e nemmeno sull’azienda di trasporto colpita. Mi sembra però che a
notizie come questa ormai i malgasci si siano assuefatti e penso che nessun vazaha dotato di buon senso viaggerebbe di notte. I locali
lo fanno per i lunghi tragitti, costretti dalla scarsità di denaro in loro
possesso, dato che fare tutta una tirata di 15 o 18 ore di viaggio costa meno
che non passare una notte in albergo facendo tappa alla sera, come faccio io da
anni. E vogliamo aggiungere che alla vicina di casa di Tina, il mese scorso,
hanno rubato 14 anatre? Aggiungiamolo, aggiungiamolo! Tina la sera, con il
calare delle tenebre, retaggio atavico, si barrica in casa a forza di serrature
e lucchetti, perché la voce che lì ci vive un vazaha si sta spargendo nel quartiere. Vazaha uguale vola, denaro.
La violenza non è solo quella dei malaso di cui parlano i telegiornali, ma è palpabile anche nella vita di tutti
i giorni. Basta camminare per strada come faccio io normalmente. L’insistenza
dei conducenti di ciclo-poussy
nell’offrire i loro servigi non richiesti, il loro tono a volte di scherno e le
risa che sento alle mie spalle, non sono un modo amichevole di trattare uno
straniero. Ai nostri marocchini, noi non gli ridiamo dietro. E poi, vedendo le
cose in un’ottica animalista, le bastonate sulla schiena degli zebù, per
stimolarli a tirare il carretto, il pollame portato per le zampe come niente
fosse, i cani randagi presi a sassate, testimoniano una violenza consolidata,
rientrata nella norma di vita, e noi sappiamo da lunga data che la violenza
sugli animali è propedeutica alla violenza sugli umani.
Ma
loro non lo sanno!
Io e Tina eravamo a bordo di un ciclo-poussy, diretti in centro. Un camion in direzione opposta
viene avanti indisturbato in mezzo alla strada. Un’auto che ci stava
sorpassando, per evitarlo, sterza a destra davanti a noi, obbligando il ragazzo
del ciclo-poussy a sterzare
repentinamente a sua volta. Il ragazzo risponde all’automobilista con male
parole, essendo che ci aveva tagliato la strada, ma purtroppo ai tropici le
macchine viaggiano con i finestrini abbassati e l’automobilista riceve il
messaggio offensivo del ragazzo. Ferma la macchina. Il ragazzo prosegue per
qualche metro. L’uomo al volante riparte e si ferma di nuovo. Il ragazzo allora
si ferma, come desideroso di andare incontro a qualche punizione per le sue
male parole. Sento aria di sota sota, litigio. L’uomo scende dalla macchina, fa il giro da dietro, con
calma, rivolge qualche domanda a voce alta al ragazzo e in men che non si dica
gli sferra un pugno sul mento facendolo cadere dal sellino del ciclo-poussy. Faccio in tempo a chiedere: “Fa maninona?” (perché?), senza avere risposta. Tina è già scesa.
Io sono fermo al mio posto e vedo lo sguardo imbambolato del ragazzo, in piedi,
immobile. Si forma una piccola ressa e l’uomo sbraitando si avvia a piedi verso
il vicino commissariato, minacciando di denunciare il ragazzo. Le mie simpatie
vanno a quest’ultimo ovviamente, perché era stato l’uomo che ci aveva tagliato
la strada e se vedeva venire avanti un camion nella nostra corsia doveva
frenare e non sorpassarci.
Tina mi obbliga a scendere e a salire su un altro ciclo-poussy che nel frattempo si era accostato a noi. Faccio
solo in tempo a vedere che il ragazzo si inginocchia, chiedendo perdono,
davanti al finestrino dell’auto, all’interno della quale nel frattempo
l’energumeno aveva ripreso posto. Evidentemente, in quei concitati momenti
aveva fatto i suoi ragionamenti sui possibili scenari che gli si prospettavano.
Essere portato davanti a un giudice, magari finendo in prigione per non si sa
quanto tempo e poi perdere la licenza di pousseur, mettendo in difficoltà economiche la sua famiglia.
Così ha scelto di umiliarsi pubblicamente, inginocchiandosi davanti
all’automobilista prepotente. Non so come le cose siano andate a finire. Se
l’automobilista ha concesso quel perdono che non si meritava e che nessun
codice stradale gli avrebbe riconosciuto come legittimo. Però, allontanandoci a
bordo del sopraggiunto ciclo-poussy,
ho detto a Tina che avremmo cercato il ragazzo per pagargli il prezzo della
corsa, anche se non ci aveva portato a destinazione.
Chiesto
a Tina cosa il ragazzo avesse detto all’uomo, per scatenare una simile
reazione, mi ha risposto che gli aveva detto di scoparsi sua madre. E questo mi
ha fatto venire in mente quella famosa reazione da parte di un calciatore
francese di origini nordafricane, durante una partita di calcio, nei confronti
del nostro Materazzi, cioè quel colpo di testa al plesso solare di quest’ultimo
che lo ha fatto cadere all’indietro e che è stato trasmesso dalle televisioni
di tutto il mondo. Anche Materazzi aveva fatto pesanti riferimenti alla madre
del calciatore francese.
Africani
e soprattutto arabi trattano da schifo le loro donne, madri comprese, ma se
qualcuno manca di rispetto a queste ultime, vanno fuori di testa, come ha fatto
l’automobilista di Tulear lo scorso 24 luglio. Anche nella mentalità italiana
la mamma non si tocca, ma non mi vengono in mente aneddoti in cui qualche
italiano è andato al di là della violenza verbale dopo che qualcuno aveva
mancato di rispetto a sua madre. Fatto sta che il pugno sferrato per strada da
un uomo adulto a un ragazzo forse neanche ventenne, non è stato educativo per
gli astanti, specie per i bambini che in Madagascar sono ovunque. Anzi, è stata
l’ennesima conferma subliminale che nella società umana vige la legge del più
forte, anche quando il più forte, secondo il codice della strada, ha torto
marcio.
Il
giorno dopo Tina ha chiesto ai colleghi del ragazzo, che stazionavano nel
pressi dove noi eravamo saliti, se lo conoscessero, ma nessuno di coloro a cui
ci siamo rivolti ha detto di sapere chi fosse. Ogni ciclo-poussy ha il suo numero di targa dipinto nella parte
posteriore, ma io sono venuto a saperlo dopo. Spero, nei prossimi giorni, d'incontrare di nuovo quello sfortunato giovane, per sapere come è finita
la sua disavventura.
E infatti, è stato solo il 26 luglio, venuto a sapere dai suoi colleghi che un vazaha e sua moglie malgascia lo stavano cercando, che il
ragazzo si è presentato a casa nostra. Si è seduto sotto i banani vicino alla
doccia e ci ha raccontato l’intera storia. Lui si chiama Soatoly, ha 18 anni e
fa lo studente. Conduce i ciclo-poussy solo durante le vacanze, per guadagnare qualche soldo. L’energumeno,
che di professione fa la guardia carceraria e quindi rientra nel novero dei
predatori psicopatici per mestiere, è effettivamente andato a chiamare due
poliziotti del vicino commissariato, chiedendo loro di picchiare il ragazzo, ma
i suoi due colleghi hanno deciso che non era il caso di punirlo fino a questo
punto. Così, chiamato per telefono, si è presentato lo zio di Soatoly e i
poliziotti lo hanno obbligato a pagare una sanzione di 20.000 ariary (sei euro)
al loro prepotente collega penitenziario.
Soatoly
ci ha raccontato questo sorseggiando la birra che gli ho offerto e mangiando
una banana. Alla fine se n’è andato con il sorriso sulle labbra e i 1000 ariary
della corsa che avevamo concordato prima del fattaccio. Forse sono riuscito a
raddrizzare parzialmente un torto che era stato fatto.
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