Tina, seduta alla mia
sinistra sul ciclo-poussy, era sicura che attraverso i buchi delle
logore braghe gialle si vedessero i testicoli del nostro conducente,
quando si alzava in piedi sui pedali. Per quanto mi sforzassi, io non
le vedevo e non sono nemmeno riuscito a fotografare gli ampi squarci
dei pantaloni, dovuti all'usura e alla scadente qualità della stoffa
cinese di cui erano fatti. Mi era già successo in passato di
regalare magliette in buono stato a conduttori di pousse pousse che
ne indossavano una bucherellata, come si può vedere nell'ultima
foto, ma l'omino capitatomi venerdì 22, non potevo lasciarlo andar
via senza provvedere. C'è sempre il dubbio che vadano in giro
apposta così per impietosire qualche vazaha, ma nel dubbio,
piuttosto che non far niente, in questo caso è meglio non astenersi.
Oltretutto, avevo in
camera un paio di braghe corte che non mi piacevano, comprate da Tina
tempo addietro, ma non potevo regalargliele in mezzo alla strada,
cioè davanti all'albergo, così, prima di pagargli la corsa l'ho
fatto entrare e l'ho fornito di un paio di calzoncini usati
pochissimo, che però gli stavano larghi. Gli Antandroy, etnia a cui
appartengono la maggior parte dei pousseurs, hanno una figura minuta,
piccoli glutei e piccoli polpacci. Lui comunque, se n'è andato via
contento e io ho appurato che un paio di mutande, sotto, le aveva, ma
ciononostante ne ha volute un paio delle mie. La sigaretta, che mi ha
chiesto prima di andarsene, non ho potuto dargliela perché io non
fumo.
Quando dopo un paio
d'ore Tina è rientrata, mi ha sgridato ripetutamente, come mi
aspettavo. Prima perché avevo dato via i calzoni che lei mi aveva
comprato e poi perché avevo conservato in casa, nel cestino dei
rifiuti, le sporchissime braghe del pousseur, che è subito andata a
scaricare nel bidone dell'albergo. Comportamento esagerato che ho
notato in lei diverse volte: i malgasci manipolano immonde banconote
annerite dal carbone, cariche di batteri, ma non accettano di aver a
che fare con i vestiti sporchi degli altri, quasi una specie di
velato razzismo di casta, alla maniera indù. Oppure, per fare un
altro esempio, quando siamo andati ad Ambolanahomby a recuperare
alcuni miei vecchi legni fossili, me li ha fatti lavare con la
spazzola sotto il getto dell'acqua perché era convinta che il suo
fratellastro che vive nello stesso cortile le avesse fatto qualche
gri gri, contaminando di sabbia avvelenata i fossili che lei aveva
usato come decorazione per il giardino.
In un momento di
calma, passata la furia, le ho chiesto: “A catechismo non ti hanno
mai insegnato che bisogna dar da mangiare agli affamati, dar da bere
agli assetati e vestire gli ignudi?”. Per tutta risposta, non
sapendo cosa dire, ha tirato in ballo il fatto che io do da mangiare
ai cani, come se un pousseur, seppure tra mille suoi mugugni,
meritasse di ricevere in dono una maglietta (qui si vede uno di loro
da me rifornito un paio di settimane fa), mentre i cani affamati non
meritano di ricevere cibo, cioè non sono compresi fra i fruitori di
cui parla il catechismo della Chiesa cattolica. Morale della favola.
In Madagascar è difficile anche fare del bene e si ricevono critiche
sia ad essere taccagni, sia ad essere prodighi. Qualunque cosa fai,
sempre pietre in faccia prenderai, come cantava Antoine.
Ma pensa tu cosa ti tocca dire... più lontano Toccherá avvisare don Ivan...
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Mandi
Cosa c'entra Don Ivan?
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