sabato 23 gennaio 2016

Vestire gli ignudi


Tina, seduta alla mia sinistra sul ciclo-poussy, era sicura che attraverso i buchi delle logore braghe gialle si vedessero i testicoli del nostro conducente, quando si alzava in piedi sui pedali. Per quanto mi sforzassi, io non le vedevo e non sono nemmeno riuscito a fotografare gli ampi squarci dei pantaloni, dovuti all'usura e alla scadente qualità della stoffa cinese di cui erano fatti. Mi era già successo in passato di regalare magliette in buono stato a conduttori di pousse pousse che ne indossavano una bucherellata, come si può vedere nell'ultima foto, ma l'omino capitatomi venerdì 22, non potevo lasciarlo andar via senza provvedere. C'è sempre il dubbio che vadano in giro apposta così per impietosire qualche vazaha, ma nel dubbio, piuttosto che non far niente, in questo caso è meglio non astenersi.




Oltretutto, avevo in camera un paio di braghe corte che non mi piacevano, comprate da Tina tempo addietro, ma non potevo regalargliele in mezzo alla strada, cioè davanti all'albergo, così, prima di pagargli la corsa l'ho fatto entrare e l'ho fornito di un paio di calzoncini usati pochissimo, che però gli stavano larghi. Gli Antandroy, etnia a cui appartengono la maggior parte dei pousseurs, hanno una figura minuta, piccoli glutei e piccoli polpacci. Lui comunque, se n'è andato via contento e io ho appurato che un paio di mutande, sotto, le aveva, ma ciononostante ne ha volute un paio delle mie. La sigaretta, che mi ha chiesto prima di andarsene, non ho potuto dargliela perché io non fumo.


Quando dopo un paio d'ore Tina è rientrata, mi ha sgridato ripetutamente, come mi aspettavo. Prima perché avevo dato via i calzoni che lei mi aveva comprato e poi perché avevo conservato in casa, nel cestino dei rifiuti, le sporchissime braghe del pousseur, che è subito andata a scaricare nel bidone dell'albergo. Comportamento esagerato che ho notato in lei diverse volte: i malgasci manipolano immonde banconote annerite dal carbone, cariche di batteri, ma non accettano di aver a che fare con i vestiti sporchi degli altri, quasi una specie di velato razzismo di casta, alla maniera indù. Oppure, per fare un altro esempio, quando siamo andati ad Ambolanahomby a recuperare alcuni miei vecchi legni fossili, me li ha fatti lavare con la spazzola sotto il getto dell'acqua perché era convinta che il suo fratellastro che vive nello stesso cortile le avesse fatto qualche gri gri, contaminando di sabbia avvelenata i fossili che lei aveva usato come decorazione per il giardino.


In un momento di calma, passata la furia, le ho chiesto: “A catechismo non ti hanno mai insegnato che bisogna dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati e vestire gli ignudi?”. Per tutta risposta, non sapendo cosa dire, ha tirato in ballo il fatto che io do da mangiare ai cani, come se un pousseur, seppure tra mille suoi mugugni, meritasse di ricevere in dono una maglietta (qui si vede uno di loro da me rifornito un paio di settimane fa), mentre i cani affamati non meritano di ricevere cibo, cioè non sono compresi fra i fruitori di cui parla il catechismo della Chiesa cattolica. Morale della favola. In Madagascar è difficile anche fare del bene e si ricevono critiche sia ad essere taccagni, sia ad essere prodighi. Qualunque cosa fai, sempre pietre in faccia prenderai, come cantava Antoine.

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