Vi eravamo già stati
e la padrona ci aveva spiegato che il motivo per cui la birra e le
altre bevande non erano abbastanza fredde dipendeva dalla scarsa
efficienza del frigorifero, alimentato dal fotovoltaico, e che
stavano aspettando il tecnico che lo mettesse a posto. Quindici giorni
dopo, sempre a Sant Augustin, alla medesima obiezione sul perché la
birra fosse tiepida, Esperance ci ha dato la stessa risposta: stava
ancora aspettando il tecnico. Suo marito, la sera, si è incaricato
di inquadrare il problema nell'ottica giusta e, dicendomi che un
frigo a gas sarebbe proibitivo perché le bombole costano 90.000
ariary e durano solo 20 giorni, mi ha fatto capire che la storia del
tecnico è, appunto, una storiella, a uso e consumo dei clienti
troppo esigenti. Sui prezzi del gas e sulla gestione dei bungalow non
ho niente da obiettare; non sono affari miei. Ma sul fatto che di
ritorno da una gita in piroga, assetato come il deserto del Sahara,
mi piacerebbe assaporare una birra ghiacciata, credo sia mio diritto
dirlo, ripeterlo ed esplicitarlo, senza incorrere nella
disapprovazione di Chicche e Sia. E invece, è proprio quello che è
successo sabato 30 gennaio e a farmi la ramanzina, dopo averlo messo
al corrente delle intenzioni mie e di Tina di anticipare di qualche
ora la nostra partenza, è stato proprio il mio conterraneo Ernesto
Craighero, marito di Esperance.
Sul momento sono
rimasto imbarazzato e interdetto, ma ho saputo fare buon viso a
cattivo gioco. Posto che un cliente ha diritto di andarsene quando
vuole, dopo aver saldato i conti, e stabilito che di norma le camere
d'albergo si liberano prima di mezzogiorno, aver deciso di partire
alle otto del mattino anziché nel pomeriggio, non avrebbe dovuto
creare eccessivi turbamenti nel signor Ernesto. Oltretutto, dicendomi
che se non ci si sa adattare alla brousse è meglio rimanere in
città, dove ci sono tutte – o quasi – le comodità, stava
andando al di là dei suoi compiti di ristoratore. Mentre mi diceva
questo, pensavo alla sindrome del “boia chi molla”, come se
avessi avuto con “Le paradis d'Esperance” qualche obbligo o un
rapporto diverso da quello cliente-albergatore. E poi, considerato
che la pietra d'inciampo della birra tiepida lo ha fatto uscire fuori
dai seminati, prendersela per le lamentele di un cliente, dicendogli:
“non venire più qui”, significa metterla sul piano personale e
non voler migliorare la propria struttura grazie agli imput che
possono venire dalla clientela. In quasi tutti gli alberghi, sul
bancone della reception, c'è la scatola con la fessura dove
introdurre critiche e suggerimenti, anche anonimi. Ma, evidentemente,
migliorare il servizio non è nelle priorità di Esperance e di suo
marito Ernesto. Liberi di scegliere. Non è affar mio.
Un'altra cosa che mi
ha dato fastidio, mentre la sera, in piedi davanti al suo bungalow io
e Tina volevamo salutarlo e dirgli che saremmo partiti presto, è che
sembrava come se volesse portare attacchi “ad personam”, non
avendo forse altri argomenti. Aver accostato la mia filosofia
ecologista e animalista all'incapacità di bere birra calda quando si
è lontani dalla civiltà, non ha molto senso, perché essere
ecologisti non esclude l'avere i propri gusti in fatto di cibo e
bevande. De gustibus non est disputandum. Non sta scritto da nessuna
parte che un ecologista debba per forza anche bere urina di cammello
nel caso in cui si perda nel deserto. Che a lui sia successo, di aver
bevuto liquidi immondi in un'oasi marocchina, non può essere preso a
paradigma del bravo viaggiatore avventuroso. Non può dirmi che sono
un uomo debole, che il non mangiare carne mi ha squilibrato le
funzioni cerebrali e che ho bisogno di uno psicologo, solo perché mi
sono lamentato della mancanza di bevande ghiacciate. In altre
strutture della brousse, come a Mangily, per esempio, i ristoranti ci
riescono e se ce la fanno loro, potrebbe in teoria farcela anche “Le
paradis d'Esperance”. Se non ci riescono è per altri motivi e non
perché è capitato un cliente vegano, rompiballe e amante della
birra gelata. Solo qualche ora prima, chiacchierando amabilmente, mi
aveva rivelato che l'intera struttura è perennemente in perdita e
che quando una volta l'anno, da Losanna dove vive abitualmente, va a
trovare la moglie - e il figlio che ha avuto da lei - Ernesto deve
ripianare i debiti. I bungalow sono quasi sempre vuoti e la struttura
non viene chiusa solo perché la donna possa avere un lavoro che la
tenga impegnata. Del resto, anche le altre strutture alberghiere di
Sant Augustin hanno chiuso una dopo l'altra. Lì nei pressi ce n'è
una in vendita per 11.000 euro, ma i bungalow sono fatiscenti perché
inattivi da dieci anni. Le termiti hanno lavorato di brutto. Il
vazaha che lo gestiva aveva problemi di alcolismo e se n'è andato a
vivere come un eremita sulla montagna.
A Sant Augustin, il
ristorante di Ernesto ed Esperance è l'unico posto dove si può
dormire e trovare aragoste da mangiare. Purtroppo, la cuoca non sa
fare nemmeno gli spaghetti al pomodoro, mentre Tina si è lamentata
perfino del riso e fagioli. Un piatto di pomodori e carote lo fanno
pagare 5.000 ariary, un prezzo davvero eccessivo visti gli
ingredienti facilmente reperibili.
Quando ci siamo recati
per salutarlo, ad Ernesto non ho detto le altre pecche (mi sono ben
guardato dal farlo), ma qui le posso menzionare, perché
rappresentano solo il quadro veritiero di una situazione a cui altri
turisti potrebbero andare incontro. E quindi, è meglio essere
informati. Oltre alla temperatura delle bevande inadatta a un clima
tropicale, le bottiglie odorano di pesce perché sono tenute nello
stesso frigo in cui si conservano i pesci, a contatto diretto con il
loro sangue. Non occorre essere animalisti per trovare la cosa
disgustosa. In camera viene sparsa quella polvere bianca usata per
uccidere le formiche e, anche in questo caso, non occorre essere
ecologisti per sapere che il veleno che nuoce alle formiche nuoce
anche agli esseri umani. Infatti, al mattino si trovano molte blatte
morte e una l'ho schiacciata io nel letto, la notte: me ne sono
accorto solo al mattino. Il pavimento del bagno in cui si fa la
doccia con la tazza di plastica, attingendo dalla tinozza com'è
d'uso nella brousse, ha, per lo meno nel bungalow dov'eravamo
alloggiati, un pessimo drenaggio, indi per cui si usa una scopa per
spingere l'acqua verso il buco all'altezza del pavimento, facendo
percolare il liquido all'esterno. Gli asciugamani in dotazione hanno
odore di topo, federe e lenzuola non vengono cambiati tutti i giorni,
né alcuno si presenta per svuotare il cestino dei rifiuti. Il fatto
che non si cambino le lenzuola ogni giorno mi può andar bene, poiché
acqua e detersivo, nella boscaglia, sono beni rari e preziosi.
E comunque, non è
vero che non ho spirito di adattamento. Mi sono infatti adattato a
entrare in acqua nella piscina naturale che Esperance ci aveva
suggerito di visitare. Senza le pinne ai piedi non mi sento sicuro,
ma avevo intenzione di usare maschera e boccaglio, cosa che con
l'acqua trasparente del fiume mi è riuscita benissimo. Purtroppo,
nessuno dei nostri due piroghieri conosceva il nome del fiume, ma in
seguito Ernesto mi ha confermato che un nome ce l'ha, anche se
nemmeno lui sa quale. I rematori, che per 20.000 ariary ci hanno
portato verso la sorgente, lo chiamano “piscine naturelle”, alla
francese.
Di fatto, noi abbiamo visto come l'acqua cambiasse colore
man mano ci si inoltrasse verso l'interno. Sebbene abbia visto
qualche martin pescatore e alcuni piccoli aironi, mi è sembrato che
le sponde ricche di vegetazione fossero piuttosto scarse in fatto di
avifauna. Non mi stupisco di ciò perché i malgasci si dedicano
meticolosamente alla spogliazione della natura, sia sopra che sotto
la superficie del mare. Lo fanno per la loro sussistenza, lo capisco,
ma di fatto l'ambiente viene depauperato. Le anguille, per esempio,
non fanno in tempo a diventare grandi come quegli anguilloni,
chiamati capitoni, che vediamo in vendita nei nostri mercati del
pesce. Se qualcuno ha una piroga, passa la giornata sul fiume a
pescare, ma se non ne ha entra nell'acqua torbida e rimane in ammollo
tastando nel fango finché non trova ciò che cerca. Ho sentito dire
che anche nelle lagune venete c'è chi riesce a catturare i pesci dei
fondali fangosi a mani nude.
Per quanto riguarda la
nostra avventura acquatica, sia io che Tina ci siamo presi un lungo
bagno tonificante nell'acqua fredda e trasparente. Fra i nostri
piedi, a pochi passi dalla riva del fiume e a circa un metro di
profondità, c'erano dei piccoli pesci variopinti simili agli
scalari. Non avevano alcun timore. Quasi si lasciavano toccare. Al
ritorno, uno dei due pagaiatori si è gettato in acqua, mentre
l'altro costeggiava, perché aveva visto sulla riva un albero di
guava. Dopo un po', perfettamente a suo agio nell'acqua del fiume
come lo è in quella del mare, da bravo Vezo, è ritornato gettando
dentro la piroga alcuni piccoli frutti gialli, probabilmente acerbi.
Verso la foce, i fenicotteri, di cui Ernesto mi aveva parlato già la
volta precedente. Una trentina, ma non mi sono sembrati rosa come i
nostrani, bensì bianchi. Potrebbe essere, per tale ragione, una
specie diversa. Durante l'attracco, un paio di bambini malgasci di un
anno d'età o poco più, insieme ad altri più grandi e alle loro
madri, si sono messi a piangere terrorizzati: avevano
visto.....l'Uomo Nero. Anzi, l'uomo bianco. Stessi condizionamenti
culturali istintivi, benché invertiti.
La gita alla piscina
naturale di Sant Augustin ci è così piaciuta che volevamo fare il
bis il giorno dopo, ma la sera, a cena, vista l'impossibilità di
estinguere la perenne sete con bevande fredde e non potendo mangiare
nemmeno una “soupe cinoise”, di comune accordo abbiamo deciso di
chiedere il conto e di partire domenica 31 rinunciando al secondo
bagno. I piroghisti, al mattino dopo, si sono presentati ed erano
visibilmente delusi. Sant Augustin è un posto quieto, che affascina
con le sue rupi strapiombanti sul mare, ma di una quiete effimera,
giacché va bene per una “botta e via”, per un pic nic, per
qualche cicala di mare grigliata, non per lunghi soggiorni. Nel mio
caso, devo constatare che i nostri due giorni come clienti del
Paradis d'Esperance hanno avuto un finale spiacevole, un “venenum
in cauda”. Mi dispiace, ma con la birra non si scherza!
Nessun commento:
Posta un commento