Fonte: L'imbeccata
I primi ad averlo capito dopo poche
settimane dal sisma del 24 agosto, sono stati i tecnici dei vigili
del fuoco. Ne hanno parlato con i responsabili dei campi della
protezione civile, hanno cercato di recuperare la documentazione
ancora reperibile e poi hanno chiamato i geologi per avere conferma
di quel che avevano capito. E la risposta è stata una pietra tombale
su molte attese delle popolazioni terremotate e soprattutto sulla
raffica di promesse che ancora oggi il governo di Matteo Renzi e le
istituzioni locali ripetono come ritornelli: no, gran parte dei paesi
delle Marche, dell’Umbria e del Lazio non verranno ricostruiti.
Non potranno essere ricostruiti come
erano, e soprattutto anche si volesse farlo, non potranno essere
ricostruiti dove erano. Il motivo è semplice, e ce lo ha confidato
un tecnico della protezione civile che ha avuto la responsabilità di
alcune di quelle aree: “il terreno stesso è a rischio. In alcuni
casi lo era ben prima delle scosse di terremoto, e alcuni di quei
paesi o frazioni potevano essere portati via da un’alluvione o da
una frana. Sarebbe follia ricostruirli lì…”.
Le certezze tecniche riguardano al
momento solo alcuni comuni e frazioni compresi nel cratere del primo
terremoto, perché i rilievi sulle aree del secondo cratere al
momento non sono stati possibili. Ma da quel che si capisce non si
potrà più ricostruire dove sono e nemmeno nelle immediate vicinanze
comuni importanti del primo terremoto come Arquata e Pescara del
Tronto, così come le frazioni più vicine: Vezzano, Spelonga, Tufo e
tante altre.
Ai primi rilievi sotto Arquata si è
capito come il paese caratteristico in cima a un colle poggiasse
sostanzialmente su poco o nulla: sotto non c’era né pietra né
roccia, ma solo terriccio estremamente franoso. Stessa condizione per
Pescara del Tronto, e i guai si erano già capiti anche per le parti
di paese che apparentemente sembravano poggiare su un terreno più
sicuro. Nella zona di Borgo di Arquata, dove è stato piazzato subito
dopo il sisma il campo con le tende per gli sfollati, erano già
emerse aree in “grave dissesto gravitativo” dopo una indagine del
2013 della Autorità di Bacino interregionale del Fiume Tronto.
La vallata dove sorge il Borgo, secondo
quei rilievi, “risulta costituita in copertura da depositi
detritici di natura arenacea in matrice limo sabbiosa sia in destra
che in sinistra orografica del fosso. Il terrazzo alluvionale
costituito da ghiaie e ciottoli arrotondati in matrice sabbiosa,
affiora in sinistra orografica dell’asta del torrente, in
corrispondenza della scarpata fluvio-torrentizia di raccordo con
l’attuale alveo del fosso. I depositi di origine alluvionale sono
parzialmente sormontati dalla copertura detritica”.
Già prima del sisma alcuni fabbricati
all’ingresso di Arquata poggiavano su terreno in forte erosione
che- diceva l’autorità di bacino, poneva “in una situazione di
rischio i fabbricati stessi”. Già allora si rilevò che “il
centro abitato è delimitato a Sud-Ovest dalla scarpata di erosione
fluvio-torrentizia dell’altezza di circa 6,0-7,00 m. interessata da
crolli ed arretramento, con situazioni di criticità per gli edifici
siti in prossimità del ciglio della scarpata stessa. La scarpata
presenta una forte inclinazione, a tratti subverticale e una sorta di
merlatura, con l’alternarsi di tratti meno erodibili e più
erodibili in cui l’arretramento risulta più pronunciato”. Anche
le vie di collegamento non erano in condizioni migliori: “La strada
provinciale n. 129 , interessata da dissesti ripetuti nel tempo,
presenta attualmente, lesioni e fratture trasversali visibili lungo
l’asfalto stradale”.
Ora tutto quel che veniva considerato a
rischio per il terreno su cui poggiava, non c’è più. E i tecnici
sanno bene che in queste condizioni è inutile ricostruire nello
stesso posto, mai ci fossero davvero la voglia e i soldi per farlo.
In ogni caso i paesi andrebbero spostati di km per trovare condizioni
più sicure. E’ probabile che una situazione simile venga
riscontrata in parte del cratere del secondo terremoto, che ha un
versante più esteso in Umbria, ma in linea d’aria è assai vicino
ad Arquata e a Pescara del Tronto. Ma nessuno fino ad ora ha messo
sull’avviso gli abitanti di quelle zone, ormai tutti sfollati sulla
riviera marchigiana.
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