Fonte: Mio articolo del 16 febbraio 2016
Alcuni miei utenti mi chiedono se, fra tutti i reportages che invio dal Madagascar e con i quali traccio di solito un quadro negativo degli indigeni, c'è anche qualcosa di buono nei malgasci, che vada menzionato. In effetti, bisogna sfatare il mito secondo cui i negri non hanno voglia di lavorare. I malgasci, di qualunque etnia, appena si svegliano si mettono a correre come la famosa gazzella africana e più di qualche volta, attraversando il quartiere di Behoririka di Tanà, tutto il via vai di umanità varia, e in special modo tutti quei portatori di pacchi sulla schiena o sulla testa, mi sembrano tante formichine che corrono impazzite verso il loro formicaio. Qui dove mi trovo al momento, Antsirabe, popolato dall'etnia Vakinankaratra, ci sono ragazzi che conducono i ciclo-poussy sotto la pioggia battente e lo fanno perché la sera devono portare a casa qualche soldino per la famiglia. Questo non fa di essi dei “Cavalieri del lavoro”, ma semmai li porta presto alla tomba a causa delle polmoniti. Tuttavia, devo almeno registrare l'abnegazione con cui lavorano anche sotto la pioggia, che in questa città arriva più o meno puntualmente tutti i pomeriggi. Qui siamo sugli altipiani. In più, sia detto a lode di questa etnia, anche se sono piccoli di statura e brutti esteticamente, hanno un cuore gentile. Me ne accorgo se li metto a confronto con i Mahafaly o gli Antandroy che conducono, questi ultimi, i poussy a Tulear. La gente di Antsirabe ha più rispetto per lo straniero; almeno questa è la mia impressione.
Ciò non di meno, nel restante territorio del Madagascar continuano ad imperversare quei farabutti conosciuti con il nome di malaso (ma anche con quello di dahalo) che hanno come principale occupazione l'abigeato (furto di zebù) ma negli ultimi anni anche le rapine a mano armata nelle abitazioni e negli alberghi. Come detto più volte, i malaso sono odiatissimi dalla popolazione cosiddetta onesta, la quale, appena riesce ad acciuffarne qualcuno, si fa giustizia da sé, incurante di aver a che fare con bambini di 13 -15 anni o con adolescenti di 20. Verrebbe da pensare che quelli più anziani siano già stati tutti uccisi. Se interviene la polizia mentre i malaso sono ancora vivi, lascia che la gente completi l'opera così che poi ci sia solo l'impegno di smaltire i cadaveri. Del resto, se a catturare i malviventi sono i poliziotti o i militari, l'esito mortale è quasi assicurato e i giudici dei tribunali hanno molto lavoro in meno da sbrigare. Va detto però che a volte sono i poliziotti stessi a finire stecchiti e spesso si registrano delle vere e proprie stragi di sbirri, specie a Betroka, nel regno di Remenabila, ma anche nei dintorni di Sakaraha.
Le foto pubblicate in questo articolo risalgono al 2 febbraio scorso e sono state scattate a Ilakaka, la città mineraria sorta in seguito al ritrovamento di filoni di zaffiri. Fin dall'inizio, Ilakaka ha avuto un marchio di maledizione e di morti se ne contano già parecchi, tutti nati dall'avidità di denaro. Che cosa stessero rubando gli undici malaso catturati e uccisi spietatamente dalla popolazione, non mi è dato di sapere. Probabilmente anche loro stavano cercando di razziare zebù, che per i malgasci hanno un connotato di sacralità che rasenta l'idolatria. Per riuscire a catturare undici banditi, deve essersi mobilitata tutta la cittadina e la caccia all'uomo deve essersi svolta in ore notturne o comunque crepuscolari. Gli strumenti usati dalla gente per uccidere i ragazzi sono stati i lefo (lance), i famako (accette) e i semplici meso (coltelli): lo si capisce dal genere di ferite che nessun medico della Morgue potrà mai accertare.
Normalmente, a detta della mia guida, alle sette di sera i malaso cominciano la loro fatica quotidiana e spesso è a quell'ora che buttano un albero di traverso, sulle strade nazionali che attraversano tratti di foresta, poco prima che passi un taxi brousse, che viaggi possibilmente isolato da altri minibus. L'azione, in tal caso, che consiste nel portar via il denaro dei passeggeri, deve essere rapida. A volte, per fare prima, senza utilizzare tronchi d'albero, sparano direttamente all'autista con i kalashnikov avuti a noleggio da poliziotti corrotti. Il che ci fa capire che non si può dividere l'umanità in buoni e cattivi, tutti da una parte i primi e tutti dall'altra i secondi. Come, a un livello più elevato, in Italia c'è collusione tra Stato e Mafia, qui c'è collusione tra guardie e ladri, in ruoli intercambiabili che ricordano il gioco che facevamo da bambini.
Oltre alla giovane età degli undici ragazzini trucidati a Ilakaka, si notano le cartucciere, che evidentemente non gli sono servite e, particolare ancora più interessante, le collane di mokara appese alla vita a mo' di cintura. Le mokara sono corni di zebù riempiti di sabbia e sterco, impastati insieme a sangue di capra o di gallina, spesso contenenti oggetti di piccoli dimensioni come lame di coltello, monete o forbici conficcate. Il tutto viene preparato da uno stregone (ombiasy) e ha lo scopo di salvare la vita dalle pallottole della polizia o dei soldati, facendone deviare la traiettoria. Di modo che, ennesimo caso di stolta superstizione, i banditi hanno pagato un ciarlatano che garantisse, mediante appositi scongiuri e la fornitura di talismani, la buona riuscita delle loro imprese, cosa rivelatasi tragicamente falsa.
Altro particolare significativo che emerge dalle foto è il gran numero di curiosi dotati di smart-phone che fotografano i corpi ammucchiati. Questo non è solo macabro voyerismo, ma anche la dimostrazione che la tecnologia non apporta alcuna crescita evolutiva in senso spirituale; anzi rende certe scene ancora più grottesche. Per un attimo ho immaginato me stesso nell'atto di deporre un fiore su quei corpi martoriati, per dimostrare con un atto di pietà che bisogna aver rispetto di vivi e di morti, anche qualora si tratti di individui che violano le norme della società. Mi avrebbero preso per pazzo, per uno di loro, per un prete e sicuramente avrei passato un brutto quarto d'ora, preso a calci in culo e fatto allontanare dalla marmaglia, tra cui anche ragazze e bambini. In fondo, pensandoci bene, le foto dei loro coetanei barbaramente uccisi sono il corrispettivo tropicale dello spettacolo che molti italiani andavano a vedere fuori dalla base di Aviano, quando nel 1999 gli aerei da guerra americani partivano da lì per bombardare Belgrado. Sempre di tecnologia si tratta, di mancanza di rispetto per l'avversario e di spietato voyerismo. Non me la sento di condannare maggiormente i giovani fotografi malgasci rispetto alle famiglie di simpatizzanti guerrafondai che stazionavano fuori dalle recinzioni dell'aeroporto pordenonese.
Resta da porsi un'ultima domanda: dove sono stati portati i cadaveri? A volte, ma con molta fatica, ai familiari è concesso di venire a recuperare i corpi, cosa negata ad Antigone, nell'omonima tragedia greca. Ma se i familiari si vergognano o hanno paura di essere malmenati dalla gente, magari non essendosi ancora del tutto spenta la furia omicida, le salme vengono trattate alla stessa maniera della spazzatura. In alcuni casi, con i poliziotti come responsabili della carneficina, i corpi sono stati ammucchiati, cosparsi di benzina e bruciati, probabilmente per far sparire le tracce delle esecuzioni sommarie o anche solo perché quello è il modo migliore per smaltire cadaveri disprezzati, non meritevoli di sepoltura. Immagino – e ritengo che sia la cosa più verosimile – siano stati gettati in una fossa comune. E con questa vao vao (notizia) spero di aver accontentato i miei lettori che si ostinano a trovare qualcosa di buono negli esseri umani, tenendo presente che, a parte questi episodi di ferocia, i malgasci sono generalmente un popolo di lavoratori che nel tempo libero balla, canta, ride, scherza, si ubriaca e scopa come conigli, come se glielo avesse comandato Zanahari in persona.
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