Il capo del villaggio, com’è suo diritto, taglia al condannato un primo pezzo di carne prendendolo, secondo il suo gusto personale, dalla parte interna dell’avambraccio. O anche dalla guancia se questa è ben grassa, lo solleva giubilando e beve con occhi lucidi di voluttà il sangue sgorgante. Poi corre a uno dei fuochi per arrostire leggermente la sua porzione prima di divorarla; allora tutti i presenti si scagliano sulla vittima sanguinante tagliandone la carne di dosso per arrostirla al fuoco e divorarla con avidità terrorizzante, mentre le urla spaventose del disgraziato che con occhi non ancora spenti vede arrostire pezzi della propria carne, sembrano non commuoverli affatto. Si accarezzano lo stomaco con orribile piacere dimostrandosi soddisfattissimi dell’ottimo pasto. In generale dopo otto o dieci minuti la vittima, scarnificata in un centinaio di punti, reclina il capo, e dopo un quarto d’ora è morto.
[Ewald Volhard – Il cannibalismo - Einaudi, 1949]
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