“Avete fatto della mia casa un covo di ladri”, disse Gesù
mentre ribaltava i tavoli dei cambiavalute e frustava i mercanti del
tempio di Gerusalemme. Suor Clemenza ha fatto dell’ospedale per
lebbrosi, costruito nelle campagne tranquille di Ambomangarova, un
allevamento di animali da carne. Non c’era Gesù, venerdì 3
febbraio, a prendere a frustate la suorina, ma solo un suo inviato
nei panni del sottoscritto. Il quale, in compagnia di Tina, è stato
ben accolto da suor Clemenza, che già visitammo due anni fa
quand’era da poco insediatasi laggiù per ordine del vescovo, per
seguire i lavori del nuovo ospedale. Già all’epoca c’era una
cinquantina di maiali, con gli operai che finivano di intonacare la
foresteria e il dispensario vero e proprio, intitolato al Buon
Samaritano, ma non c’erano le mucche.
Clemenza si era subito data da fare per piantare alberi da frutto
e infatti, dopo due anni, l’orto attorno alla struttura ospedaliera
era pieno di ananassi, manghi, mele, garana, uva e perfino piante di
caffè. La sorella voleva regalarmi un ananas, ma io le ho risposto
che li tenesse per sé e per le sei novizie che studiano da lei. Alla
mia domanda se le aspiranti suore studiassero teologia, mi ha
risposto candidamente: “No, matematica, francese...”. Poi, quando
ci stavamo congedando, ne abbiamo incontrate due, con la maglietta
uguale su cui c’era scritto LP, che non ha niente a che fare con i
dischi in vinile da 33 giri, ma che significa Licée Privé. Erano
infatti molto giovani, sui 14 anni, e francamente non ce le vedo a
studiare Sant’Agostino e San Girolamo. I cinque cani che
bazzicavano la zona due anni fa, c’erano anche stavolta, solo un
po’ invecchiati e devo dire che Clemenza li tratta con molta
dolcezza. Le fanno da guardiani notturni.
Anche quest’anno le abbiamo portato in dono una bottiglia di
vino bianco, ma non la frutta come ci aveva chiesto due anni fa,
perché per telefono ci aveva detto che non serviva. All’epoca
aveva difficoltà ad approvvigionarsi di vitamine e andava in città
di rado. Anche il prete, allora come oggi, va a dire messa nella
piccola cappella solo una volta al mese, ma il vino si conserva anche
per settimane, una volta aperta la bottiglia, solo che non capisco
perché per la messa usino quello bianco e non quello nero, classico.
Il nostro dono comunque è stato gradito. Dopo di che è scattata la
visita guidata.
Dapprima suor Clemenza ci ha mostrato (anche il nostro autista
Michel era della partita) il cuore della struttura, l’ospedaletto
con tanto di farmacia e ambulatorio per le visite. Al momento non
c’erano degenti di alcun tipo, né tanto meno lebbrosi, ragione per
la quale l’ospedale è sorto. La lebbra, a dire di suor Clemenza,
specializzata infermiera, è in diminuzione in Madagascar e, quando
capitano pazienti affetti da tale malattia, esistono medicine che
bloccano il progredire della degenerazione cellulare, anche se le
dita perdute non possono venir restituite.
Se una donna si presenta da lei e risulta che è affetta di
lebbra, la supplica di non dir niente al marito. E viceversa. Mentre
mi spiegava ciò, ho percepito una nota d’orgoglio nelle sue
parole, perché Clemenza sa mantenere i segreti. Se una persona
dovesse venir a sapere della malattia del coniuge, il matrimonio
finirebbe all’istante, giacché nessuno vuole dormire nello stesso
letto di un lebbroso. Piccoli grandi drammi che sono solo l’inizio
dell’isolamento e della solitudine, come l’iconografia del
lebbroso, obbligato a fare vita raminga e a camminare facendo
tintinnare una campanella, ci ha insegnato.
La nostra visita a suor Clemenza non è stata solo di piacere,
giacché Tina sulla gamba sinistra ha un tatuaggio che le ha fatto
infezione e nessuna pomata fino ad ora è servita per far regredire
il male. Ai tropici non si scherza con le infezioni. Così, mentre io
e Michel ci godevano il panorama rilassante di Ambomangarova, in una
campagna coltivata che dista solo 17 chilometri dalla caotica
Antananarivo, Tina mostrava a Clemenza la ferita che non vuole
chiudersi e che spesso viene visitata dalle mosche, cosa affatto
igienica. Speriamo che il Betametasone, prescrittole dalla nostra
amica infermiera, sia il rimedio definitivo.
La visita guidata poi è proseguita con il “punctum dolens”,
dal mio punto di vista, di tutta la struttura: l’allevamento di
animali da carne. Oltre ai porcili originali, con enormi scrofe e
maialini famelici, è stata costruita una stalla in muratura per le
mucche da latte. Quando siamo capitati noi, nel tardo pomeriggio,
c’erano alcuni addetti ai lavori che stavano dando il cibo agli
animali. Alcune mucche muggivano per la fame, altre, la maggioranza,
stavano silenziose. Tutte avevano una corda al collo che ne limitava
i movimenti. Senza che le chiedessi spiegazioni, Clemenza mi ha
spiegato che è per la loro sicurezza. Se le lasciasse libere
potrebbero perdersi o venir rapite, anche se quella, nel distretto
della capitale, non è zona di “malaso”, dediti ai furti di zebù
in tutto il resto del Madagascar.
Sulla strada del ritorno, in taxi, Tina e Michel hanno fatto
alcuni calcoli. Un maiale di 200 Kg può valere anche cinque milioni
di ariary, intorno ai 1.500 euro ed entrambi, Tina e il nostro
autista, hanno convenuto che si tratta di un buon business. Tina a
quel punto è saltata fuori con la sua richiesta di allevare galline
ovaiole, della razza bianca barbonese, proposta che mi ha già fatto
in passato ma che con me non attacca. Quando di tanto in tanto
vengono i macellai a comprare gli animali, Clemenza intasca delle
belle sommette, che a suo dire servono per comprare le medicine.
Anche qui, l’incrollabile antropocentrismo, per cui gli interessi
dell’uomo devono venire sempre e comunque prima di quelli delle
bestie. Quando ho chiesto a Clemenza di mostrarmi il mattatoio, la
donna mi ha portato all’esterno dei porcili dove c’era un robusto
palo orizzontale con due ganci in ferro. Sotto c’erano alcune assi
su cui viene disteso il maiale e, vicino, i resti del fuoco che
servono per bruciare le setole. Il tutto avviene senza alcuna
supervisione da parte di veterinari e, ovviamente, senza la pistola
umanitaria che da noi è obbligatoria.
Alla mia domanda se è cristiano tutto ciò, sempre con candore
Clemenza mi ha risposto di sì. Incalzatola con la domanda se Gesù
fosse d’accordo a macellare gli animali, mi ha risposto tirando in
ballo la Bibbia - e quindi non rispondendo alla mia domanda - dove
c’è scritto che si possono mangiare tutti gli animali tranne
quelli impuri e quindi se li vogliamo mangiare, li dobbiamo prima
uccidere. Grazie sorella, io sono vegetariano da 35 anni! E non sono
più cattolico dall’età di 13 anni (questo però non gliel’ho
detto). Quando mi ha spiegato che un piccione era arrivato lì
casualmente, forse attirato dal becchime delle galline, e che lei
prontamente lo ha catturato e messo in gabbia, per servirlo come
pietanza in caso di visita del vescovo, ho capito che Clemenza ha un
animo contadinesco, benché sia diplomata infermiera e che è un caso
grave. Che cosa fanno di male uno o più piccioni che svolazzano
attorno e vivacizzano l’ambiente? Per lei il colombo è solo cibo,
come il resto delle creature del Signore. San Francesco parlava agli
uccelli, Santa Clemenza preferisce mangiarli.
purtroppo l'ambiente che ci circonda e la sua "cultura" ci influenza a causa dei neuroni specchio, ed anche le suore non ne sono esenti:
RispondiEliminahttps://contiandrea.com/2014/04/13/neuroni-specchio-matrix-e-lambiente-protetto/
Essere consapevoli di ciò è importante per potersi evolvere anzichè involvere
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RispondiEliminaSei un disco rotto. Ti avevo avvisato che se non ti firmi finisci nella spazzatura.
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RispondiEliminaQuindi, lo scopo della tua vita è stare davanti a un PC a rompere la palle alla gente....
EliminaNo, semplicemente il mio discorso è lineare e razionale: una povera suorina indigena di un posto selvaggio non può che comportarsi come si comporta, con empatia zero verso gli animali e una concezione primitiva e utilitaristica, come del resto l'eschimese fa con le foche quando le caccia con l'arpione, o l'indio quando usa arco e frecce.
RispondiEliminaE va da sé che queste cose fanno accapponare la pelle, ma non ci si può fare nulla.
Ma sono scusabili perché nascono e crescono in un ambiente dove sono intrisi di queste concezioni fin dalla tenera età.
O vogliamo dire che non è vero?
E' vero. Ogni tanto sembri un essere razionale.
EliminaVolevo commentare il post ma sono stato trattenuto dalla mia ragazza ad evitare insulti gratuiti.
RispondiEliminaVabbè lunga vita a gesu' ma corta corta alla suoraccia assassina.