mercoledì 22 febbraio 2017

Il kokoriko



Tina, dopo dieci anni di convivenza a singhiozzo, riesce ancora a stupirmi con i suoi aneddoti. I bambini poveri devono accontentarsi di giocare con quello che offre l’ambiente e le bambine della brousse hanno scoperto un modo per divertirsi immaginando di diventare donne. Quando trovano le trappole a imbuto delle larve di formicaleone, ogni bambina ne sceglie una e cominciano con il chiamarlo: “Kokoriko, kokorico!”. Poi scavano con le mani finché trovano l’animaletto e, in una sorta di ludico autolesionismo, se lo applicano sui piccoli capezzoli, dicendo che così avranno presto delle grosse e belle mammelle. Non è un rito di iniziazione, come avviene per i maschi con la circoncisione, perché non c’è niente da iniziare. Lo sviluppo avviene naturalmente, ma questo infliggersi dolore per diventare grandi prima del tempo mi ricorda le diete rigide a cui si sottopongono certe modelle e la faticosa mania per la palestra di molte donne occidentali. 


Mi ricorda anche il modo con cui certi africani cuciono le ferite. Cercano formiche soldato di grosse dimensioni, le applicano sul taglio e l’imenottero, messo a contatto con la pelle, chiude automaticamente le mandibole. A quel punto, l’uomo della medicina, o sciamano che dir si voglia, decapita l’insetto e butta via il corpo. I due lembi della ferita restano uniti grazie alla testa della formica: verranno usate tante formiche quanto più è lungo il taglio. Ai “kokoriko” usati dalle bambine malgasce va un po’ meglio, ma non tanto se si pensa che una volta estratti dalla tana-trappola e manipolati da mani infantili non devono trovarsi nelle migliori condizioni. Anche Tina da bambina faceva questo gioco, da lei stesso definito stupido e, per la cronaca, il seno di Tina secondo me è di misura congrua.  

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