In natura non esiste lo scarto. Ogni cosa che cresce, decade e muore, ogni cosa che compie il suo ciclo, poi è utilizzata per altro, diventa altro, comincia un nuovo ciclo. Così i tronchi degli alberi caduti diventano base per i funghi, i petali morti concimano il prato, i fiocchi di pelo strappati delle pecore vengono raccolti dalle rondini per farne lana per imbottire i nidi. Noi persone invece abbiamo in testa il concetto di spazzatura, l’oggetto che ci ha servito e ora va gettato, meglio se lontano, meglio se nascosto. In questi due anni della ristrutturazione mi sono vista passare davanti una quantità enorme di scarti, di rifiuti prodotti da noi, di macerie create dal nostro sogno. Che ovviamente andranno smaltite utilizzando energia, che probabilmente finiranno per inquinare, più o meno in base alla responsabilità di coloro che se le passeranno di mano. E quindi è solo naturale, in tanto spreco, aver cercato un modo per salvare tutto quello che ci poteva servire di nuovo. E quindi eccoci ad accatastare vecchie travi, a trafugare dal cantiere porte sghembe e finestre rotte, a portare via sotto gli occhi perplessi dei vicini tavole tarlate e assi zeppe di chiodi.
E ora è tutto qui, accatastato nel nostro orto, in attesa di trovare una nuova collocazione. Ed è da qui che stiamo prendendo la legna per costruire i nuovi mobili, i cippi per fare le gambe dei tavoli, le assi per le future librerie. Eccola qui la nostra pila di scarti, pronta per diventare altro. Un cumulo di macerie che in un battito di ciglia si trasforma in una miniera d’oro. E ci ricorda l’importanza di cercare un nuovo sguardo, che possa vedere la lana dentro al ciuffo di pelo, il nutrimento del seme nel petalo sfiorito. Uno sguardo che possa intuire il nuovo ciclo.
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