martedì 17 dicembre 2013

Un posto in cui vivere

Il mio amico Franco, che qui vediamo in uno dei suoi più riusciti travestimenti, fin da piccolo ha sviluppato un particolare affetto per i pesci. Fin da quando, cioè, all'età di tre anni, fu portato in barca da suo padre a poca distanza dalla costa e gli fu mostrato il fondale variopinto attraverso il vetro di una maschera. Il verde delle alghe, il bianco delle stelle marine e il rosso degli anemoni non provocarono in lui un moto di precoce patriottismo, ma un'ondata emotiva di tutt'altro genere. Il bimbo infatti, inaspettatamente, dopo che il padre gli aveva tolto la maschera dal viso, si tuffo' a pesce, è il caso di dirlo, per raggiungere quei meravigliosi gioielli che aveva appena intravisto. Il padre, in quell'occasione, si prese un bello spavento e si chiese quale bizzarra anima era entrata nel corpo del suo piccolo bambino. Quella di una sirena, per caso?
Qualche anno più tardi, anche la madre all'inizio era preoccupata, dopo averlo mandato a far commissioni nel quartiere del Santo di Padova, poiché il fanciullo Franco ritardava a rientrare. Quando qualcuno le disse che il ragazzino restava delle mezzore in contemplazione degli acquari del negozietto di animali poco distante, la madre si tranquillizzo'. Ora che Franco è un maturo signore che vuole lasciare la nativa città di Sant'Antonio, facendo parte di quella nutrita schiera d'italiani disgustati dall'Italia, ci si pone il problema di quale sia la sua più consona destinazione. Poiché anche lui come me vuole rimanere fedele alla propria infanzia, ciascuno a suo modo, viene naturale supporre che Franco voglia passare il tempo immergendosi nelle acque trasparenti di qualche mare tropicale, come decise improvvisamente di fare all'età di tre anni, e quelle del Madagascar sarebbero le acque giuste per lui. Se non ci fosse un piccolo problema.



Il problema di dover condividere le stesso spazio e avere lo stesso oggetto del desiderio di migliaia di altri esseri umani, che del fascino del mare non sanno che farsene e che ragionano con lo stomaco piuttosto che con il cuore. Non si tratta solo di pescatori subacquei occidentali, armati di fiocina e bombole d'ossigeno, ma degli innumerevoli nativi che da secoli calpestano le immacolate spiagge del Madagascar e che traggono dal mare le proteine e il denaro per vivere.
Ho sostenuto fin dai miei primi viaggi, in questa terra bella e impossibile, che il Madagascar non è un paese per animalisti, parafrasando quel film con Tommy Lee Jones intitolato "Non è un pase per vecchi". Non solo per come vengono trattati gli animali di superficie, ma per le razzie compiute dai malgasci, a dispetto delle, per loro sconosciute, leggi internazionali. Tanto per fare un esempio, quando quattro anni fa ci fu il golpe, la gente si mise a mangiare carne di tartaruga marina per le strade, pensando che il divieto fosse opera di Marc Ravalomanana, il deposto presidente, mentre prima si limitavano a mangiarla direttamente nei villaggi dei pescatori o comunque lontano dagli occhi indiscreti di turisti o poliziotti.
Pochi giorni fa, a Itampolo, ho fotografato uno squalo appena pescato ed eviscerato sul posto, dal cui ventre era uscito un grumo di inequivocabili uova. Tutto il mondo, compreso quello venatorio, sa che uccidere una madre con uova e piccoli è eticamente sbagliato, ma la risposta è che i pescatori malgasci non sanno distinguere il sesso dei pescicani prima di catturarli. E dunque, avanti come si è sempre fatto!

La questione di fondo quindi è: dove puo' andare a vivere un signore come il mio amico Franco che si rattrista anche solo vedendo la foto di pesci uccisi? Anzi, diro' di più, siccome a Padova Franco vive circondato dall'affetto dei suoi cinque gatti, è il Madagascar il posto giusto in cui vivere, per lui, considerato che almeno due etnie, i Masikoro e i Merina, i gatti li mangiano? Non è raro, sull'uscio delle abitazioni private o nelle gare routiere, trovare gatti legati al collo con una corta cordicella, cosa inconcepibile  per noi occidentali. Si dice: per la loro sicurezza, cioè perché non si allontanino, non finiscano sotto le macchine o, più facilmente, non vengano presi e mangiati.
Poiché anch'io, nel 2006, dopo tre mesi di permanenza, ero sull'orlo dell'esaurimento nervoso, come potrebbe reagire il mio amico a un simile impatto? Potrebbe dar di matto, sclerare e mettersi nei guai con la giustizia che, in caso di contenzioso, sicuramente darebbe ragione ai locali e non certo a un vazaha? Non auguro a nessuno di provare le galere malgasce e vi lascio immaginare perché. L'alternativa, mantenendo un saldo controllo di nervi, sarebbe contrattare l'acquisto del felino con il suo proprietario, imbarcandosi in snervanti trattative sul prezzo - e qui Tina sarebbe utilissima - ottenendo alla fine di cambiare il destino di quell'unico esemplare ma lasciando nelle loro ceste diverse decine di altri gatti in vendita come cibo. La frustrazione sarebbe garantita e, anche qui, ci si potrebbe salvare emotivamente allestendo un gattile e introducendo i semi della zoofilia in un paese che trova semplicemente folle l'idea che degli esseri umani possano avere per amici dei volgari animali.
Se io, per pura ipotesi, avessi un ristorante o un albergo, qui in Madagascar, lo chiamerei "Bibi namana", cioè "animali amici", concetto che verrebbe considerato come una delle tante stranezze dell'uomo bianco. Anche perché, gli altri bianchi, turisti e residenti, la carne la mangiano e a Mangily, sulla spiaggia, mi è anche capitato di vedere un vazaha italiano che tirava sassi a un cane.
Da noi sarebbe impensabile, ma io mi spiego questo comportamento come una sorta di livellamento verso il basso e anch'io mi sono ritrovato a gettare piccoli rifiuti per terra, gesto che in Italia, per l'educazione scolastica che abbiamo ricevuto, sarebbe tabù. 
                                                                                                                                                                  
Poi, tornando a Franco, non ci sarebbero solo le scene dal vero, di pesci ancora boccheggianti portati a riva a bordo delle piroghe, ma anche le sue scelte alimentari. Benché in Madagascar esistano tutti i tipi di verdure, oltre ai deliziosi frutti tropicali come i manghi e i litchi, un'alimentazione vegana potrebbe essere d'ostacolo quando ci si siede al ristorante. Detto cosi' sembra che il problema sia la scelta del singolo, mentre in realtà è il contesto sociale ad essere primitivo. Quando per esempio, viaggiando in taxi brousse, ci si ferma per la pausa pranzo, presso uno dei ristoranti per malgasci dove la scelta è tra riso e pollo o riso e pesce, cosa possiamo mangiare io e Franco, esausti e affamati? Se siamo fortunati troviamo fagioli malcotti, ma bisogna che Tina specifichi reiteratamente "senza carne", altrimenti cuochi e camerieri, per forza d'inerzia, ci sbattono dentro maiale o pollo o quel che l'è.
A tutto c'è rimedio e un digiuno ogni tanto puo' fare solo bene a noi occidentali, pasciuti e sovrappeso. Sono sicuro che quando Franco m'incontrerà prossimamente non potrà fare a meno di notare la mia magrezza. E mi sono fermato in Madagascar solo un mese!
Il problema pero' è più profondo, e non si tratta solo di cosa mangiare. Il problema è di natura etica. C'è un posto nel mondo in cui un animalista puo' vivere relativamente felice? Probabilmente no, giacché l'oggetto del nostro amore è da sempre sottoposto alla tirannia dei nostri simili e solo con l'oblio possiamo ricavarci una nicchia in cui trascorrere l'esistenza. Da noi ci si salva grazie al fatto che l'oppressione è occulta. Qui è palese, spontanea e mostrata laidamente agli occhi di chiunque. Hans Ruesch ha intitolato il suo più famoso libro "Imperatrice nuda". Io, l'antica tirannia dell'uomo sugli animali, posso parafrasarlo in "Baldracca svergognata". E, nei toni, mi sono trattenuto!
A meno che non si tratti di un falso, un antico manoscritto datato 1762, fu trovato nella sacrestia di una chiesa a Baltimora. Contiene alcune perle di saggezza paragonabili a quelle di Rudyard Kiplig raccolte nella poesia "Se". Una di quelle frasi, del manoscritto di Baltimora, dice: "Tu hai diritto a vivere qui, non meno degli alberi e delle stelle".
Io e Franco abbiamo diritto di vivere in Madagascar, se ce ne viene voglia, non meno dei baobab e delle comete. Gli altri, malgasci o vazaha che siano, possono dire quello che vogliono e anche se sarebbe impossibile insegnare a un pescatore a non pescare, a meno di mantenerlo per tutta la vita, lui e la sua famiglia, ci potrà scappare qualche opera meritoria a base di gatti, pesci boccheggianti e tartarughe marine salvate e restituite a una vita dignitosa e libera. Sarebbe una spruzzata di refrigerio all'inferno, una goccia di metafisica pietà in un oceano di inspiegabile sofferenza.

2 commenti:

  1. Caspita ...ti avevo raccontato anche l'episodio del negozio di acquari dietro la casa di mia nonna a Padova? Comunque l'accostamento al Diodon hystrix mi sembra azzeccatissimo: spinosissimo e velenosissimo ...AHAHAH! Dotato della potentissima Tetrodontossina. Grazie Freeanimals! Non ti ringrazio invece del tuo sadismo nel pubblicare a profusione foto di pesci scannati...tra i quali quello splendido Pomacentridae arpionato dal malgascio...Per il resto condivido tutto!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non è sadismo, ma presa di contatto della realtà.


      Altrimenti, non ci resta che la morfina.

      O l'oppio.

      Elimina