Fonte: Feder Fauna
Tre
motivi che daranno un punto di vista diverso su di un problema spinoso
Mai
come in questi mesi il tema dell'essere vegetariani o non-vegetariani ha
suscitato tanto interesse e prodotto tante polemiche. Premesso che ci sono così
tanti studi che avanzano pareri contrastanti che un breve riassunto risulta
molto difficile. Alcuni studi sostengono che seguire una dieta povera di carne
abbia effetti positivi sulla salute, riducendo il rischio di tumori e problemi
cardiovascolari (essendo le verdure povere di grassi). Altri precisano che la
carne è essenziale per un corretto apporto di Vit.B12; importante fattore di
prevenzione proprio delle patologie coronarie.
La
ragione, come sempre, sta nel mezzo. Meglio seguire una dieta variegata ricca
di verdure e con pochi prodotti animali. La dieta mediterranea vi ricorda
qualcosa? Tuttavia, il nocciolo di questo articolo non riguarda se l'essere
vegetariano sia la scelta migliore da fare. Perché sia chiaro; l'essere
vegetariano anche se non comporta benefici di salute, senza ombra di dubbio,
comporta benefici al mondo che ci circonda (meno inquinamento alle falde dovuto
al letame, meno CO2, più aree coltivabili e conseguentemente più cibo per il
terzo mondo).
Il
nocciolo di questo articolo riguarda invece la scelta per diventare
vegetariano. Il diventarlo sembrerebbe (per i motivi elencati sopra) l'azione
più saggia da fare. Ciononostante la maggior parte dei vegetariani non sceglie
di diventarlo seguendo la logica. Tutt'altro, decide attraverso il sentimento o
meglio l'empatia che nutre verso gli animali. In breve: sceglie di diventarlo
perché non vuole che gli animali soffrano nel sistema degli allevamenti intensivi
(che preferirebbe chiudessero).
Scelta
senz'altro condivisibile ma anche opinabile per tre motivi di carattere
filosofico, ovvero:
1)
Meglio vivere soffrendo che non vivere affatto?
La
FAO ha calcolato nel 2009 che sul nostro pianeta erano allevati oltre 25
miliardi di animali (19 miliardi volatili). Con questo intendo dire che 25
miliardi di vite si sono accese "grazie" agli allevamenti. Se tali
allevamenti venissero chiusi, miliardi di vite non crescerebbero affatto. Con
questo non intendo dire che mucche e maiali rischierebbero l'estinzione (specie
le mucche e gli ovini potrebbero essere destinati a sfruttamenti contenuti per
la produzione di latte a ritmi, per loro, sostenibili). Intendo semplicemente
sottolineare che il loro numero calerebbe sensibilmente. Infatti, chi avrebbe
interesse a prendersi cura di loro? In fondo, i grandi allevamenti garantiscono
cibo seppur di scarsissima qualità e protezione dagli altri predatori
(chiaramente per un proprio tornaconto) garantendo un minimo di vita anche agli
animali che dovranno essere macellati.
Anche il più convinto degli animalisti dovrà ammettere che la stragrande maggioranza dei capi allevati non avendo più motivo di essere allevata, non potrà esistere più. Con questo non intendo dire che si dovranno uccidere gli eccessi dei 25 miliardi odierni, semplicemente, non si creerà un'altra generazione con gli stessi numeri.
Bovini,
suini, volatili ed ovini avranno gli stessi numeri degli animali non da
allevamento. Ad essere ottimisti rimarrebbero meno di un miliardo. Meno del 5%.
I capi rimasti, tuttavia, pur pochi sarebbero liberi e contenti. Certamente sì.
Ma
negare una vita (seppur miserrima) a molti per concederne una migliore a pochi è
così corretto?
Se
siete cattolici, basta pensare quello che la Chiesa dice sul diritto alla vita.
L'usare il preservativo (così come il chiudere un allevamento intensivo)
produce come conseguenza la perdita di una vita potenziale. Non che sia
sbagliato usare preservativi o chiudere allevamenti, fatto sta, che il risultato
sia quello.
Voglio
farvi un paragone drastico. Un Paese povero, non potendo garantire lavoro e
servizi adeguati a tutti i suoi abitanti (se non attraverso lo sfruttamento),
incomincia a controllare le nascite cosicché tutti abbiano la felicità e le possibilità
che si meriterebbero. Il fatto è che controllando le nascite molte vite
(importanti o no) non verrebbero mai alla luce. La forma di questo paragone può
sembrarvi diversa dal tema degli allevamenti ma il fulcro è lo stesso.
Se
non siete cattolici, dovreste credere ancora di più in queste parole perché se
non c'è una vita nell'aldilà non ci rimane che questa vita; e negarla a
qualcuno sarebbe il crimine peggiore.
In
fondo, fra una vita di sofferenza e non nascere affatto cosa scegliereste?
Personalmente abbraccerei la vita, sempre e comunque. Anche se mi mettono
ormoni e chissà che altro nei mangimi, anche se la mia speranza e le mie
condizioni di vita sono ridotte al minimo. Sceglierei di vivere perché alla
fine potrei morire (il non nascere non ti concede altre scelte che l'oblio
eterno).
Adesso
passiamo al secondo punto:
2)
Gli animali soffrono?
Certamente
soffrono i dolori fisici ma sono capaci di provare emozioni umane quali:
frustrazione, impotenza, mancanza di appagamento. Sono in grado d'intendere che
sono sfruttati o peggio carne da macello? In certa misura sì, avvertendo
l'odore di morte possono presagire che anche loro moriranno.
Occorre,
tuttavia, fare una precisazione a tutto questo: per questi animali è normale
quello che li circonda; è il loro mondo abituale. È per questo che insisto
molto sul fatto del "possono capire quello che gli sta succedendo" o
gli basta una stalla e del cibo?
Penso
che gli animali non riescano a capacitarsi di quello che potrebbe esserci al di
fuori dell'allevamento, pertanto la sofferenza che gli vediamo sopportare per
loro diventa semplice normalità. Lo stesso accade all'uomo; un bambino nato in
mezzo alla guerra non si capacita di un mondo senza di essa e (come per gli
animali) non è in grado di vedere la sofferenza della sua situazione. Fino a
che crescendo e viaggiando può osservare il suo mondo da un altro punto di
vista.
Ma
per voi, gli animali sono veramente in grado di avere questo punto di vista?
Spesso lo stesso uomo è incapace di farlo; di uscire della sua routine e
considerare la sua vita dall'esterno. Se la risposta è no, gli animali pur con
tutte le violenze che potranno subire sono felici. Quello che vogliono è cibo,
stalla e sicurezza. In questo modo quello che bisogna evitare a tutti i costi è
la violenza gratuita. Se sì, denoterebbe un livello di intelligenza
estremamente sviluppato che stonerebbe col loro comportamento.
3)
Sono davvero così crudeli gli allevamenti intensivi?
Nel
regno animale la violenza regna sovrana. Gli erbivori vengono 'letteralmente'
mangiati vivi dai predatori. Una sorte perfino peggiore della morte in fabbrica
che perlomeno viene rapida ed inaspettata. Ovviamente non tutti riceveranno
questa fine ma un numero considerevole sì ed è opportuno considerarlo quando si
parla della natura come di un qualcosa 'rose e fiori' senza tenere in conto
delle spine.
Infine,
conviene liberarli? Gli animali liberati non si possono liberare proprio per la
loro incapacità di vivere all'aperto. Nelle centinaia d'anni di allevamento intensivo
si è cercato di mantenere una linea evolutiva che mirasse maggiormente alla
produttività di un animale piuttosto che alla sua capacità di sopravvivere.
Risultato, gli animali odierni sono delle vere e proprie fabbriche biologiche (una mucca dei giorni nostri produce più del triplo di latte rispetto ad una del '600, i maiali sono aumentati enormemente in taglia e peso). Tuttavia, ciò che serve all'allevatore in natura è inutile (perfino dannoso) alla sopravvivenza.
Questo
per evidenziare che non solo questa generazione ma anche le prossime avrebbero
problemi ad adattarsi al medio ambiente, i figli erediterebbero dai genitori
caratteristiche utili all'allevamento ma non alla vita selvatica. Quando si
parla di liberazione occorre considerare anche questo; non si può mica dire che
tutti gli animali possano stare in riserve controllate da animalisti.
Pur
essendoci milioni di cose da dire su tale tema (che forse verranno dette in
prossimi articoli) chiudo sperando di avervi dato un punto di vista diverso su
di un argomento spinoso. Senza voler essere polemico dico che la scelta più
saggia (e logica da fare) sarebbe darsi al vegetarianismo ma quella, sembra
strano a dirsi, più moralmente corretta sarebbe continuare come abbiamo sempre
fatto.
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