venerdì 11 dicembre 2015

Come perdere clienti


Se, come diceva Berlusconi, una nazione può essere considerata alla pari di una fabbrica, oltre all'Azienda Italia di cui lui, in qualità di imprenditore, voleva essere il capo, così si potrebbe parlare anche di Azienda Madagascar, il cui introito principale, nemmeno dirlo, è il turismo. Se però i turisti vengono gabbati sistematicamente e devono affrontare lunghi viaggi precari in taxi brousse con un curriculum chilometrico di tutto rispetto, su strade nazionali colabrodo che diventano piste forestali, si può essere autorizzati a pensare che agli alti vertici politici dell'Azienda Madagascar, a cominciare dal suo presidente, non interessa granché del PIL. Tanto è vero che, chiesto al nostro autista della ditta di trasporti Mami, durante il tragitto da Tanà a Fianarantsoa, cosa ne pensasse delle strade sconnesse, la sua spiegazione è stata che la colpa sia di Monsieur Hery, l'attuale presidente della repubblica. E in effetti, per quel che mi ricordo, quando c'era Ravalomanana, di buche così e in tal numero, non ho memoria. Se poi volessimo accantonare il fattore turismo e considerare i camionisti che, poverini, devono sobbarcarsi estenuanti viaggi da un capo all'altro dell'isola per trasportare merci, cioè per dar da mangiare alla gente, si deve concludere anche qui che ai governanti del Madagascar non importa un fico secco della popolazione. 
 


Non è solo questione di fatica fisica, nel dover rallentare e procedere lentamente a ogni piè sospinto, ma anche di sicurezza stradale. Non è raro, infatti, trovare camion ribaltati, come mi è successo il 10 dicembre sulla tratta Fianarantsoa – Tulear. Per tacere dei pulmini carichi di passeggeri che finiscono giù dai dirupi o nei fiumi, con morti e feriti. Basterebbe che le enormi somme che entrano grazie ai turisti venissero usate per asfaltare le strade e non per comprare ville con piscina e Porsche Cajenne ai funzionari. Ma io, con queste considerazioni, mi sento come Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento. Mi sento un ingenuo. La natura umana è fatta così, l'occasione fa l'uomo ladro e i poveri malgasci, quando sono chiamati alle urne, vengono presi in giro né più né meno di come lo sono i poveri italiani. Il popolo è gregge in tutto il mondo, a disposizione dei lupi e dei cani da pastore.


Ma se ci tocca dare per scontato che, una volta raggiunte posizioni di potere, il politicante medio pensa solo a se stesso, non è molto scontato che la disonestà sia patrimonio di un'intera nazione. Altrimenti, come avrebbe potuto l'Europa arricchirsi ed elevare il benessere medio della popolazione? Solo con la rapina e lo sfruttamento delle colonie? L'Italia non è mai stato un paese colonialista, se paragonato a Francia e Inghilterra, eppure il boom economico degli anni Sessanta ce lo ricordiamo tutti. Almeno, io me lo ricordo. E allora, perché il Madagascar non dà adito a sperare che ci possa essere una crescita economica, anche lenta, e sembra condannato a rimanere sempre un paese del terzo mondo? Proviamo a vedere come si comporta il semplice cittadino, giacché sulla disonestà dei politici si sono già sprecati fiumi di parole.


Prendiamo il Pavillon de Jade. In nove anni dacché lo frequento, le tende alle finestre non sono mai state cambiate e riportano le macchie di sangue delle zanzare che vi hanno trovato la morte uccise di notte dagli infastiditi ospiti. Le lenzuola e le federe dei cuscini, così come gli asciugamani, vengono messi puliti ogni giorno (la stessa cosa non so se si può dire delle coperte), eppure le lenzuola riportano macchie indelebili che lasciano intendere clandestine copulazioni con spargimento di seme, per usare un'espressione biblica. E infatti, da sempre hotel frequentato da makorele, sembra che ultimamente gli ospiti dell'albergo siano anche e solamente utenti delle signorine mercenarie. Al padrone cinese del Pavillon, evidentemente, va bene così. Non è un problema per lui perdere clienti e su consiglio del nostro autista Michel prossimamente andremo Chez Zinah, poco distante. Forse il padrone del Pavillon de Jade si salva con i matrimoni che si tengono nel suo ampio ristorante, quando i giovani della sua minoranza asiatica tengono, ivi, il pranzo di nozze. Oppure, con le feste legate al capodanno cinese.


Quell'imprenditore dovrebbe essere una persona di un certo livello – e ci meraviglia che non badi di più alla manutenzione e alla pulizia del suo albergo – ma un semplice ciabattino, di etnia Merina, sa perdere clienti in altro modo, non legato alla negligenza. Il ciabattino, come il venditore di manghi o di altra mercanzia, quando vede un vazaha solo o accompagnato da una malgascia, come nel mio caso, nella sua testolina fa scattare quel prevedibile meccanismo che lo porta automaticamente ad aumentare i prezzi, senza rendersi conto che tra i vazaha non ci sono solo i turisti appena arrivati che non sanno nulla della vita malgascia, ma anche quelli che come me continuano a venirci anno dopo anno. La presenza di Tina, infatti, non è bastata per consigliare oneste tariffe al calzolaio che ha lo stanzino poco distante dal Pavillon. Avevo bisogno solo di una spennellata di colla sulla punta di un sandalo, ma l'omino mi ha chiesto 5.000 ariary. Con quella somma avrei potuto comprarmi un paio di sandali nuovi. Quando ho ripreso il mio calzare e ce ne siamo andati, si è arrabbiato per il mancato guadagno. Così Tina mi ha riferito. La colpa è stata del vazaha, accompagnato da una malgascia traditrice del suo popolo, che non si è lasciato imbrogliare, non sua, che ha provato a imbrogliarmi. Quando qualcuno mi spiegherà cosa circola nei neuroni dei malgasci, potrò morire in pace.


Altro esempio, altra città: Fianarantsoa. Arrivati tardi dopo un viaggio di 10 ore, siamo andati subito alla ricerca di un ristorante. Anzi, ho voluto ritornare al Dragon d'Or dove l'anno scorso avevo gustato speziati cubetti di tofu doré, cioè leggermente fritto, che poi purtroppo avevo vomitato in camera a causa dell'epatite. Fu un peccato di gola, ma quest'anno, con un accordo raggiunto tra me e il mio fegato, volevo ripetere quella squisita esperienza papillare. Il Diavolo, però, per un motivo o per l'altro, ci mette sempre la coda. A mandare storta la cena, l'altro ieri sera, c'è stato un piccolo non trascurabile particolare: mancava il cuoco. Il padrone dell'hotel ristorante, anche lui cinese come si capisce dal nome, ha voluto cimentarsi in lavori che non gli competevano. L'insalata e i cetrioli non c'erano e allora ho ripiegato su pomodori e cipolla. Ebbene, dopo mezzora sono arrivati tagliati grossolanamente e conditi con del vinagre acquoso e insapore, mentre i cubetti di tofu, orrore, orrore, erano bruciati! Il minesao chiesto da Tina era ancora in alto mare ed è stata lei, stavolta, a.....sbroccare. Si è alzata su, mentre io buttavo giù l'ultimo cubetto bruciacchiato di tofu e se n'è andata verso la cassa. Abbiamo pagato la consumazione (14.000 ariary) e l'ho accompagnata all'Ancora d'Oro, unico locale decente in tutta Fianarantsosa. Lì l'ho lasciata a mangiare una pizza e me ne sono tornato in fretta alla camera del Soratel, per approfittare del wi-fi.


Indi per cui, nel giro di un paio di giorni e a conclusione di questo resoconto, abbiamo due cinesi e un Merina che hanno perso due affezionati clienti del Madagascar. I cinesi per colpevole negligenza e il Merina per disonestà congenita. Sui governanti malgasci stendiamo un velo pietoso perché se la vedranno col Padreterno. Se esiste.

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