Se, come diceva
Berlusconi, una nazione può essere considerata alla pari di una
fabbrica, oltre all'Azienda Italia di cui lui, in qualità di
imprenditore, voleva essere il capo, così si potrebbe parlare anche
di Azienda Madagascar, il cui introito principale, nemmeno dirlo, è
il turismo. Se però i turisti vengono gabbati sistematicamente e
devono affrontare lunghi viaggi precari in taxi brousse con un
curriculum chilometrico di tutto rispetto, su strade nazionali
colabrodo che diventano piste forestali, si può essere autorizzati a
pensare che agli alti vertici politici dell'Azienda Madagascar, a
cominciare dal suo presidente, non interessa granché del PIL. Tanto
è vero che, chiesto al nostro autista della ditta di trasporti Mami,
durante il tragitto da Tanà a Fianarantsoa, cosa ne pensasse delle
strade sconnesse, la sua spiegazione è stata che la colpa sia di
Monsieur Hery, l'attuale presidente della repubblica. E in effetti,
per quel che mi ricordo, quando c'era Ravalomanana, di buche così e
in tal numero, non ho memoria. Se poi volessimo accantonare il
fattore turismo e considerare i camionisti che, poverini, devono
sobbarcarsi estenuanti viaggi da un capo all'altro dell'isola per
trasportare merci, cioè per dar da mangiare alla gente, si deve
concludere anche qui che ai governanti del Madagascar non importa un
fico secco della popolazione.
Non è solo questione
di fatica fisica, nel dover rallentare e procedere lentamente a ogni
piè sospinto, ma anche di sicurezza stradale. Non è raro, infatti,
trovare camion ribaltati, come mi è successo il 10 dicembre sulla
tratta Fianarantsoa – Tulear. Per tacere dei pulmini carichi di
passeggeri che finiscono giù dai dirupi o nei fiumi, con morti e
feriti. Basterebbe che le enormi somme che entrano grazie ai turisti
venissero usate per asfaltare le strade e non per comprare ville con
piscina e Porsche Cajenne ai funzionari. Ma io, con queste
considerazioni, mi sento come Don Chisciotte che combatte contro i
mulini a vento. Mi sento un ingenuo. La natura umana è fatta così,
l'occasione fa l'uomo ladro e i poveri malgasci, quando sono chiamati
alle urne, vengono presi in giro né più né meno di come lo sono i
poveri italiani. Il popolo è gregge in tutto il mondo, a
disposizione dei lupi e dei cani da pastore.
Ma se ci tocca dare
per scontato che, una volta raggiunte posizioni di potere, il
politicante medio pensa solo a se stesso, non è molto scontato che
la disonestà sia patrimonio di un'intera nazione. Altrimenti, come
avrebbe potuto l'Europa arricchirsi ed elevare il benessere medio
della popolazione? Solo con la rapina e lo sfruttamento delle
colonie? L'Italia non è mai stato un paese colonialista, se
paragonato a Francia e Inghilterra, eppure il boom economico degli
anni Sessanta ce lo ricordiamo tutti. Almeno, io me lo ricordo. E
allora, perché il Madagascar non dà adito a sperare che ci possa
essere una crescita economica, anche lenta, e sembra condannato a
rimanere sempre un paese del terzo mondo? Proviamo a vedere come si
comporta il semplice cittadino, giacché sulla disonestà dei
politici si sono già sprecati fiumi di parole.
Prendiamo il Pavillon
de Jade. In nove anni dacché lo frequento, le tende alle finestre
non sono mai state cambiate e riportano le macchie di sangue delle
zanzare che vi hanno trovato la morte uccise di notte dagli
infastiditi ospiti. Le lenzuola e le federe dei cuscini, così come
gli asciugamani, vengono messi puliti ogni giorno (la stessa cosa non
so se si può dire delle coperte), eppure le lenzuola riportano
macchie indelebili che lasciano intendere clandestine copulazioni con
spargimento di seme, per usare un'espressione biblica. E infatti, da
sempre hotel frequentato da makorele, sembra che ultimamente gli
ospiti dell'albergo siano anche e solamente utenti delle signorine
mercenarie. Al padrone cinese del Pavillon, evidentemente, va bene
così. Non è un problema per lui perdere clienti e su consiglio del
nostro autista Michel prossimamente andremo Chez Zinah, poco
distante. Forse il padrone del Pavillon de Jade si salva con i
matrimoni che si tengono nel suo ampio ristorante, quando i giovani
della sua minoranza asiatica tengono, ivi, il pranzo di nozze.
Oppure, con le feste legate al capodanno cinese.
Quell'imprenditore
dovrebbe essere una persona di un certo livello – e ci meraviglia
che non badi di più alla manutenzione e alla pulizia del suo albergo
– ma un semplice ciabattino, di etnia Merina, sa perdere clienti in
altro modo, non legato alla negligenza. Il ciabattino, come il
venditore di manghi o di altra mercanzia, quando vede un vazaha solo
o accompagnato da una malgascia, come nel mio caso, nella sua
testolina fa scattare quel prevedibile meccanismo che lo porta
automaticamente ad aumentare i prezzi, senza rendersi conto che tra i
vazaha non ci sono solo i turisti appena arrivati che non sanno nulla
della vita malgascia, ma anche quelli che come me continuano a
venirci anno dopo anno. La presenza di Tina, infatti, non è bastata
per consigliare oneste tariffe al calzolaio che ha lo stanzino poco
distante dal Pavillon. Avevo bisogno solo di una spennellata di colla
sulla punta di un sandalo, ma l'omino mi ha chiesto 5.000 ariary. Con
quella somma avrei potuto comprarmi un paio di sandali nuovi. Quando
ho ripreso il mio calzare e ce ne siamo andati, si è arrabbiato per
il mancato guadagno. Così Tina mi ha riferito. La colpa è stata del
vazaha, accompagnato da una malgascia traditrice del suo popolo, che
non si è lasciato imbrogliare, non sua, che ha provato a
imbrogliarmi. Quando qualcuno mi spiegherà cosa circola nei neuroni
dei malgasci, potrò morire in pace.
Altro esempio, altra
città: Fianarantsoa. Arrivati tardi dopo un viaggio di 10 ore, siamo
andati subito alla ricerca di un ristorante. Anzi, ho voluto
ritornare al Dragon d'Or dove l'anno scorso avevo gustato speziati
cubetti di tofu doré, cioè leggermente fritto, che poi purtroppo
avevo vomitato in camera a causa dell'epatite. Fu un peccato di gola,
ma quest'anno, con un accordo raggiunto tra me e il mio fegato,
volevo ripetere quella squisita esperienza papillare. Il Diavolo,
però, per un motivo o per l'altro, ci mette sempre la coda. A
mandare storta la cena, l'altro ieri sera, c'è stato un piccolo non
trascurabile particolare: mancava il cuoco. Il padrone dell'hotel
ristorante, anche lui cinese come si capisce dal nome, ha voluto
cimentarsi in lavori che non gli competevano. L'insalata e i cetrioli
non c'erano e allora ho ripiegato su pomodori e cipolla. Ebbene, dopo
mezzora sono arrivati tagliati grossolanamente e conditi con del
vinagre acquoso e insapore, mentre i cubetti di tofu, orrore, orrore,
erano bruciati! Il minesao chiesto da Tina era ancora in alto mare ed
è stata lei, stavolta, a.....sbroccare. Si è alzata su, mentre io
buttavo giù l'ultimo cubetto bruciacchiato di tofu e se n'è andata
verso la cassa. Abbiamo pagato la consumazione (14.000 ariary) e l'ho
accompagnata all'Ancora d'Oro, unico locale decente in tutta
Fianarantsosa. Lì l'ho lasciata a mangiare una pizza e me ne sono
tornato in fretta alla camera del Soratel, per approfittare del
wi-fi.
Indi per cui, nel giro
di un paio di giorni e a conclusione di questo resoconto, abbiamo due
cinesi e un Merina che hanno perso due affezionati clienti del
Madagascar. I cinesi per colpevole negligenza e il Merina per
disonestà congenita. Sui governanti malgasci stendiamo un velo
pietoso perché se la vedranno col Padreterno. Se esiste.
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