Alcuni miei utenti mi
chiedono se, fra tutti i reportages che invio dal Madagascar e con i
quali traccio di solito un quadro negativo degli indigeni, c'è anche
qualcosa di buono nei malgasci, che vada menzionato. In effetti, bisogna
sfatare il mito secondo cui i negri non hanno voglia di lavorare. I
malgasci, di qualunque etnia, appena si svegliano si mettono a
correre come la famosa gazzella africana e più di qualche volta,
attraversando il quartiere di Behoririka di Tanà, tutto il via vai
di umanità varia, e in special modo tutti quei portatori di pacchi
sulla schiena o sulla testa, mi sembrano tante formichine che corrono
impazzite verso il loro formicaio. Qui dove mi trovo al momento,
Antsirabe, popolato dall'etnia Vakinankaratra, ci sono ragazzi che
conducono i ciclo-poussy sotto la pioggia battente e lo fanno perché
la sera devono portare a casa qualche soldino per la famiglia. Questo
non fa di essi dei “Cavalieri del lavoro”, ma semmai li porta
presto alla tomba a causa delle polmoniti. Tuttavia, devo almeno
registrare l'abnegazione con cui lavorano anche sotto la pioggia, che
in questa città arriva più o meno puntualmente tutti i pomeriggi.
Qui siamo sugli altipiani. In più, sia detto a lode di questa etnia,
anche se sono piccoli di statura e brutti esteticamente, hanno un
cuore gentile. Me ne accorgo se li metto a confronto con i Mahafaly o
gli Antandroy che conducono, questi ultimi, i poussy a Tulear. La gente di Antsirabe
ha più rispetto per lo straniero; almeno questa è la mia
impressione.
Ciò non di meno, nel
restante territorio del Madagascar continuano ad imperversare quei
farabutti conosciuti con il nome di malaso (ma anche con quello di
dahalo) che hanno come principale occupazione l'abigeato (furto di
zebù) ma negli ultimi anni anche le rapine a mano armata nelle
abitazioni e negli alberghi. Come detto più volte, i malaso sono
odiatissimi dalla popolazione cosiddetta onesta, la quale, appena
riesce ad acciuffarne qualcuno, si fa giustizia da sé, incurante di
aver a che fare con bambini di 13 -15 anni o con adolescenti di 20.
Verrebbe da pensare che quelli più anziani siano già stati tutti
uccisi. Se interviene la polizia mentre i malaso sono ancora vivi,
lascia che la gente completi l'opera così che poi ci sia solo
l'impegno di smaltire i cadaveri. Del resto, se a catturare i
malviventi sono i poliziotti o i militari, l'esito mortale è quasi
assicurato e i giudici dei tribunali hanno molto lavoro in meno da
sbrigare. Va detto però che a volte sono i poliziotti stessi a
finire stecchiti e spesso si registrano delle vere e proprie stragi
di sbirri, specie a Betroka, nel regno di Remenabila, ma anche nei
dintorni di Sakaraha.
Le foto pubblicate in
questo articolo risalgono al 2 febbraio scorso e sono state scattate
a Ilakaka, la città mineraria sorta in seguito al ritrovamento di
filoni di zaffiri. Fin dall'inizio, Ilakaka ha avuto un marchio di
maledizione e di morti se ne contano già parecchi, tutti nati
dall'avidità di denaro. Che cosa stessero rubando gli undici malaso
catturati e uccisi spietatamente dalla popolazione, non mi è dato di
sapere. Probabilmente anche loro stavano cercando di razziare zebù,
che per i malgasci hanno un connotato di sacralità che rasenta
l'idolatria. Per riuscire a catturare undici banditi, deve essersi
mobilitata tutta la cittadina e la caccia all'uomo deve essersi
svolta in ore notturne o comunque crepuscolari. Gli strumenti usati
dalla gente per uccidere i ragazzi sono stati i lefo (lance), i
famako (accette) e i semplici meso (coltelli): lo si capisce dal
genere di ferite che nessun medico della Morgue potrà mai accertare.
Normalmente, a detta
della mia guida, alle sette di sera i malaso cominciano la loro
fatica quotidiana e spesso è a quell'ora che buttano un albero di
traverso, sulle strade nazionali che attraversano tratti di foresta,
poco prima che passi un taxi brousse, che viaggi possibilmente
isolato da altri minibus. L'azione, in tal caso, che consiste nel
portar via il denaro dei passeggeri, deve essere rapida. A volte, per
fare prima, senza utilizzare tronchi d'albero, sparano direttamente
all'autista con i kalashnikov avuti a noleggio da poliziotti
corrotti. Il che ci fa capire che non si può dividere l'umanità in
buoni e cattivi, tutti da una parte i primi e tutti dall'altra i
secondi. Come, a un livello più elevato, in Italia c'è collusione
tra Stato e Mafia, qui c'è collusione tra guardie e ladri, in ruoli
intercambiabili che ricordano il gioco che facevamo da bambini.
Oltre alla giovane età
degli undici ragazzini trucidati a Ilakaka, si notano le cartucciere,
che evidentemente non gli sono servite e, particolare ancora più
interessante, le collane di mokara appese alla vita a mo' di cintura.
Le mokara sono corni di zebù riempiti di sabbia e sterco, impastati
insieme a sangue di capra o di gallina, spesso contenenti oggetti di
piccoli dimensioni come lame di coltello, monete o forbici
conficcate. Il tutto viene preparato da uno stregone (ombiasy) e ha
lo scopo di salvare la vita dalle pallottole della polizia o dei
soldati, facendone deviare la traiettoria. Di modo che, ennesimo caso
di stolta superstizione, i banditi hanno pagato un ciarlatano che
garantisse, mediante appositi scongiuri e la fornitura di talismani,
la buona riuscita delle loro imprese, cosa rivelatasi tragicamente
falsa.
Altro particolare
significativo che emerge dalle foto è il gran numero di curiosi
dotati di smart-phone che fotografano i corpi ammucchiati. Questo non
è solo macabro voyerismo, ma anche la dimostrazione che la
tecnologia non apporta alcuna crescita evolutiva in senso spirituale; anzi rende certe scene ancora più grottesche. Per un attimo ho
immaginato me stesso nell'atto di deporre un fiore su quei corpi
martoriati, per dimostrare con un atto di pietà che bisogna aver
rispetto di vivi e di morti, anche qualora si tratti di individui che
violano le norme della società. Mi avrebbero preso per pazzo, per
uno di loro, per un prete e sicuramente avrei passato un brutto
quarto d'ora, preso a calci in culo e fatto allontanare dalla
marmaglia, tra cui anche ragazze e bambini. In fondo, pensandoci
bene, le foto dei loro coetanei barbaramente uccisi sono il
corrispettivo tropicale dello spettacolo che molti italiani andavano
a vedere fuori dalla base di Aviano, quando nel 1999 gli aerei da guerra americani partivano da lì per bombardare Belgrado. Sempre di tecnologia
si tratta, di mancanza di rispetto per l'avversario e di spietato
voyerismo. Non me la sento di condannare maggiormente i giovani fotografi malgasci
rispetto alle famiglie di simpatizzanti guerrafondai che stazionavano
fuori dalle recinzioni dell'aeroporto pordenonese.
Resta da porsi
un'ultima domanda: dove sono stati portati i cadaveri? A volte, ma
con molta fatica, ai familiari è concesso di venire a recuperare i
corpi, cosa negata ad Antigone, nell'omonima tragedia greca. Ma se i
familiari si vergognano o hanno paura di essere malmenati dalla
gente, magari non essendosi ancora del tutto spenta la furia omicida,
le salme vengono trattate alla stessa maniera della spazzatura. In
alcuni casi, con i poliziotti come responsabili della carneficina, i
corpi sono stati ammucchiati, cosparsi di benzina e bruciati,
probabilmente per far sparire le tracce delle esecuzioni sommarie o
anche solo perché quello è il modo migliore per smaltire cadaveri
disprezzati, non meritevoli di sepoltura. Immagino – e ritengo che
sia la cosa più verosimile – siano stati gettati in una fossa
comune. E con questa vao vao (notizia) spero di aver accontentato i
miei lettori che si ostinano a trovare qualcosa di buono negli esseri
umani, tenendo presente che, a parte questi episodi di ferocia, i
malgasci sono generalmente un popolo di lavoratori che nel tempo
libero balla, canta, ride, scherza, si ubriaca e scopa come conigli,
come se glielo avesse comandato Zanahari in persona.
Bello! Mi é piaciuto. Non ti sei solo fermato a raccontare una fotografia e a dare giudizi, ma hai fatto dei paralleli col primo mondo. Mondo dove noi siamo convinti siano raccolti gli eletti. Leggendo l'articolo, oltre il già citato Aviano, mi veniva alla mente un recente episodio a Udine dove un ragazzo vittima di un incidente sul motorino veniva fotografato sanguinante dagli amici e postato suo social, quasi a sentirsi vivi solo in tal modo, ignorando una fondamentale simpatia umana che crea la società, o dovrebbe. Insomma...l'uomo é uomo ovunque, il bene e il male non hanno un passaporto specifico. Buona continuazione ��
RispondiEliminaMandi
All'inizio pensavo che tu parlassi ironicamente: poi ho capito che l'articolo ti è piaciuto veramente.
EliminaTi ringrazio perché come sai considero molto importante il tuo giudizio.
Ciao