La giornata di martedì
9 febbraio per me è cominciata malissimo, ma è finita bene. E
quando dico bene intendo, in senso leopardiano, assenza di male.
Durante le due ore del mattino in cui ho aspettato la partenza del
taxi brousse che ci avrebbe portato a Ranohira, un cane è stato
investito da una macchina, sotto i miei occhi. Il cane si è rialzato
ed è scappato via e, mentre lo seguivo per accertarmi delle sue
condizioni, la gente rideva. Non avrebbero riso se ad essere
investito fosse stato un bambino, il che dimostra che lo slogan del
mio blog “Gli animali sono nostri bambini” è più un mio
desiderio che non la dura realtà del mondo, dove impera
l'antropocentrismo più sfrenato, foriero di tutti i mali della
società. Quando l'ho trovato era disteso su un fianco, agonizzante,
vicino a un portone. L'ho trovato grazie alla presenza di un
capannello di persone che assisteva a debita distanza alla sua morte.
Mi ci sono avvicinato e ho presieduto alla sua fine, facendo in modo
che morisse in pace senza ricevere ulteriori insulti dalla specie più
pericolosa dell'universo. Un carretto con merci, spinto da dietro da
alcuni uomini, veniva verso di noi, incuneandosi tra il muro e uno
dei taxi brousse parcheggiati alla gare routiere. Non capendo dove
volesse andare, se doveva entrare nel cortile di fronte al quale il
cagnetto era andato a morire o cosa, ho chiesto a Tina che mi
traducesse la domanda: “Dove devo spostarlo, in modo che non
intralci il passaggio?”, ma Tina, come il suo solito, si è
rifiutata di collaborare.
Quando ho a che fare con animali in
Madagascar, specie in situazioni di emergenza, io entro in crisi e
lei pure, perché si vergogna di essere la compagna di un vazaha
malato di mente, secondo la percezione che lei e i suoi connazionali
hanno della vita. Per fortuna il carretto non doveva entrare nel
cortile privato, ma caricare merce sul tetto del pulmino. Mentre, il
cane aveva gli ultimi spasimi lo accarezzavo e gli sussurravo:
“Muori, muori, muori presto!”, dando agli astanti il privilegio
di assistere a uno spettacolo raro, uno straniero che si commuove per
un cane morente, cosa quest'ultima tutt'altro che rara sulle strade
del Madagascar dove polli, oche, anatre, capre e zebù vagano liberi
in mezzo al traffico, nella più totale indisciplina degli
automobilisti.
Per gli animali “da carne”, tuttavia, c'è più
rispetto perché sono proprietà di qualcuno e vengono considerati
beni, mentre i cani senza padrone non contano nulla e l'autista del
fuoristrada che ha investito il.....mio cagnetto non ci ha pensato
minimamente a premere il pedale del freno. Prima di abbandonare il
cadavere del cane al suo destino, una volta irrigiditosi, l'ho
guardato a lungo in faccia, notando gli occhi ormai divenuti
inespressivi, e ho osservato se avesse espulso il contenuto
dell'intestino a causa del rilassamento degli sfinteri. Trattandosi
di un cane magrissimo e pieno di fame, l'intestino era vuoto e la
conferma della sopraggiunta dipartita è venuta dall'immobilità
totale del suo corpo. Senza degnare di uno sguardo gli spettatori, me
ne sono tornato, scosso, verso la panchina dell'ufficio, ad aspettare
che il nostro Sprinter Mercedes partisse. Tina mi ripeteva che ci
avrebbero pensato loro a spostarlo. Ma ormai non me ne importava più.
Di altri sfinteri
rilassati devo dare conto ora. Quelli di una donna che viaggiava col
marito e i due figli piccoli. La diarrea aveva cominciato a
manifestarsi dopo solo una quindicina di Km ma gli altri passeggeri
attribuivano l'odore di cacca ai bimbi che aveva in braccio. A un
certo punto, però, il flusso di liquami puteolenti aveva travalicato
mutande, gonna e sedile, finché durante una sosta a Sakaraha (e
stiamo parlando di un centinaio di chilometri dopo) l'indignazione
generale dei passeggeri è scoppiata. L'autista ha dovuto fare una
sosta forzata, facendo perdere tempo alla gente, mentre i passeggeri
la rimproveravano dicendole: “Sei una persona adulta, non un
bambino, perché non hai chiesto all'autista di fermarsi?”. La
donna rispondeva imbarazzata: “Zaho marari”, io sono malata. Il
marito stava zitto. E' scesa ed è andata al fiume a lavarsi. Molti
passeggeri, una volta a terra, spiegavano alla gente del posto
l'accaduto e, come nel caso del cagnetto quando veniva investito,
ridevano, compresa Tina a cui ho cercato di spiegare che ci vuole
rispetto verso chi è malato. I malgasci hanno una vera idiosincrasia
verso gli escrementi. Tina, per strada, quando sente solo l'odore di
merda umana, non può fare a meno di sputare. Idem con l'odore di
urina. Come ciliegina sulla torta, poco prima che lo Sprinter
ripartisse da Sakaraha, la figlioletta della donna si è esibita in
un pianto isterico, chiamando la mamma, mentre il padre che la teneva
per mano non sapeva come acquietarla. Tina non è riuscita a capire
il motivo dell'angoscia della piccola, ma presumo che si sia trattato
di una sua separazione dalla madre. Piccoli drammi.
Drammi come quello
della ragazza che viaggiava con noi e che, arrivati a Ranohira, ha
ricevuto una telefonata che le annunciava il decesso della sorella.
Ha chiesto pertanto all'autista di salire sul tetto per recuperarle
il bagaglio, che però era in mezzo a tutti gli altri, coperti da un
telone e legati saldamente con spago. Ragione per cui l'autista si è
rifiutato di consegnarle la valigia, dicendole che sarebbe rimasta in
custodia presso l'ufficio della Kofiam di Tanà. Alla ragazza non è
rimasto altro da fare che avviarsi nella direzione dalla quale
eravamo giunti, con la sola borsetta, sperando di trovare un taxi
brousse che la riportasse a Tulear. Probabilmente, avrà anche
telefonato ai parenti di Tanà che la aspettavano, dicendo loro di
andare a recuperare il suo bagaglio. La morte aveva colpito due volte
quel giorno, con il suo odore di merda, una volta sotto i miei occhi
e un'altra sotto forma di abituale notizia riguardante una ragazza in
viaggio e sua sorella deceduta. L'odore escrementizio non è giunto
fino alle mie nari perché ho viaggiato davanti con il finestrino
spalancato, ma anche se avessi dovuto viaggiare cento Km, dietro, con
“aria pesante”, non mi sarei di certo messo a ridere di una
povera donna martoriata dalle amebe.
A me la morte non fa
ridere, che si tratti di cani, di cristiani o di ricci. Non sto
parlando di quelli che vengono investiti sulle nostre strade in
autunno, quando si preparano per andare in letargo, ma dei ricci del
Madagascar, come quelli che si vedono sul vassoio di una ragazza
della brousse, esposti in vendita. Quando i pulmini si fermano per
far scendere passeggeri o anche perché fermati dai poliziotti nei
posti di blocco, subito accorrono ragazze con dolci, frutta,
formaggi, pezzi di pollo arrosto e, come mi era capitato di vedere
una sola volta anni fa, ricci cotti. Il dilemma è: si tratta del
tenrec, riccio primitivo, quasi un fossile vivente, endemico del
Madagascar, o del normale riccio spinoso simile a quelli delle nostre
latitudini? Tina è convinta che si tratti del secondo, anche perché
il tenrec è rarissimo, se non proprio estinto del tutto.
Alla sera, cercando un
posto dove cenare, abbiamo avuto la fortuna di capitare all'hotely
Ramirandava, poiché di norma preferiamo evitare i ristoranti come
quello dell'Orchidée dove siamo alloggiati, perché applicano prezzi
per vazaha, cioè troppo alti. Gli hotely sono i ristoranti per i
malgasci e in genere hanno solo carne e pesce, ma stavolta ne abbiamo
trovato uno che offriva riso e piselli. Abbiamo speso in tutto solo
6.000 ariary! Le mofo kida, banane in pastella, prese appena fritte
sulla strada, hanno costituito il dessert, mentre la birra era gelata
al punto giusto, cosa più unica che rara quando si fa sosta nei
piccoli centri della brousse. Per questa sola ragione, una cena
eccellente dal nostro punto di vista di sobri vegetariani (parlo per
me, ovviamente), posso dire che la giornata è finita bene, cioè
senza un'ulteriore manifestazione del male di vivere.
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