Era da molti anni che
non sentivo cantare la tsakodara, il succiacapre. Da nove anni per la
precisione, da quando ero in affitto nel bungalow di Madame Fanja ad
Ankilibe. A Mangily, sabato 6 febbraio, l'ho sentito di nuovo, al
mattino presto, prima di prendere la piroga per Madiorano. In tutta
la mia vita ho preso la piroga solo cinque volte, sempre in
Madagascar, compresa quella di Daholy che, insieme al suo aiutante e
al fratellino di lui, ci ha portato in una località che tradotta
letteralmente significa “acqua pulita”, distante quattro Km a
nord di Mangily. Le contrattazioni del giorno prima, che ho lasciato
fare a Tina, hanno stabilito la somma di 30.000 ariary per la
trasferta, comprensive di pic nic all'ombra con “vari e tsaramaso”,
riso e fagioli, un po' come avevamo fatto con il signor Ada di
Anakao, che ci portò sull'isola di Nosy Ve a vedere i fetonti. In
seguito, sono venuto a sapere che Daholy, oltre a fare il pescatore
di mestiere, accompagna i turisti nelle località a nord di Mangily,
per lo meno quelli che non vogliono prendere il camion-brousse,
portandoli perfino a Morombe, che dista circa 150 Km da Mangily. Il
viaggio, immagino, dovrebbe durare tre giorni, ma lungo il percorso
ci sono alberghi disseminati ovunque, lungo la costa, ove fare tappa.
Per la verità, sabato
mattina, anche se la meta era Madiorano, l'approdo è stato più
vicino al villaggio di Ambolomailaka, dove un ricco francese ha
costruito l'albergo Belle vue, Belvedere, un palazzone che domina il
mare e che, con le sue ampie vetrate, risponde in pieno alle
aspettative del nome. Purtroppo, le camere costano 100.000 ariary a
notte (28 euro) e, a giudicare dalle chiavi appese ai loro ganci
nella reception, non dovevano esserci molti clienti in quel momento.
Crisi economica mondiale o bassa stagione? Entrambe, probabilmente.
Che il francese non
abbia badato a spese lo si vede dai fossili incastonati nei muretti,
sia all'esterno, sia sul bancone del bar, dove mi sono goduto una
birra ghiacciata dopo tre ore di traversata senza vento. Salendo le
scale che dalla spiaggia portano in cima alla terrazza ristorante, ho
trovato una mia vecchia conoscenza: un coleottero marrone lungo 4 cm.
della stessa specie di quello che avevo salvato 10 anni fa a
Tamatave, togliendolo dalle grinfie di un bambino che ci giocava come
fosse una macchinina. Un adulto infatti aveva legato attorno al
coleottero un filo sottile come era stato fatto alla kololoki di
Mangily, qualche giorno addietro, quando era stato proprio Daholy ad aiutarmi a slegarla. Accertatomi che il coleottero del giardino del
Belle Vue fosse morto, l'ho messo nella scatola di plastica delle
salviette imbevute, così che andrà a rimpinguare la mia collezione
di coleotteri, tutti trovati rigorosamente già morti.
Mentre Daholy e i suoi
due aiutanti cucinavano il riso e i fagioli sotto un albero di
mangrovia, io e Tina, incamminatici in direzione del sovrastante
Belle Vue, siamo passati vicino ad alcune donne che, sedute sulla
battigia con bacinelle di plastica, stavano facendo qualcosa che sul
momento non mi era chiaro. Solo una volta arrivati a breve distanza,
abbiamo capito che stavano lavando i panni con acqua dolce, trovata a
pochi cm. di profondità semplicemente scavando nella sabbia. Anche
il nostro cibo è stato cucinato con quell'acqua, ma con la bollitura
tutti i microbi nocivi vengono distrutti. Non credevo che una cosa
del genere, lavare vestiti sulla riva del mare e con acqua dolce,
fosse possibile. Ad ogni modo, la mia curiosità non si è spinta
fino al punto di farmi desiderare di assaggiare quell'acqua. Mi sono
fidato dei miei occhi, della mia guida e ho preso mentalmente nota
del tutto.
Altri tipi di
bacinelle non sono altrettanto innocue, purtroppo, giacché alle
donne e alle bambine spetta il compito di pulire il pesce che vi
viene depositato. La bacinella è il contenitore più usato presso i
villaggi della costa, sia per il trasporto, che per la desquamatura,
che per la vendita. Se la mettono in equilibrio sulla testa e vanno
in giro a cercare clienti interessati a comprare pesce fresco,
esattamente come fanno le venditrici di frutta, ortaggi, carbone o
dolciumi a base di noccioline, che al posto della bacinella usano
capienti ceste o larghi vassoi. La mancanza di rispetto per gli
animali, che da sempre mi colpisce quando mi trovo in Madagascar,
dipende dalla normalità con cui è scontato che gli animali siano a
disposizione degli uomini, come cibo e, nel caso degli zebù, anche
come strumento di lavoro.
A quella bambina che
reggeva un granchio in mano e a cui ho dato una caramella come ho
fatto con tutti i bambini presenti in quel momento sulla spiaggia,
non passa minimamente per l'anticamera del cervello che il grosso
crostaceo, trafitto da un colpo di fiocina, avesse diritto alla vita
tanto quanto lei. Vedere fin dalla tenera età gli adulti che portano
a riva pesci boccheggianti, assistere alla loro agonia come niente
fosse, osservare i pesci ancora palpitanti fatti a pezzi, produce
altri adulti che trovano naturale la sopraffazione dell'uomo ai danni
delle bestie, in un'infinita perpetuazione di violenza che si fa
norma. Per la stessa ragione, i malgasci trovano scontato che il
bianco debba distribuire caramelle o, in alternativa, meglio ancora,
denaro. I pesci esistono per essere pescati e i vazaha per essere
sfruttati. Solo grazie alla somiglianza di aspetto tra gasy e vazaha,
noi turisti evitiamo di essere presi a fiocinate. Ringrazio Zanahary
per questo, per non avermi creato con le pinne.
Io non sono così.
Benché nato e cresciuto in un contesto sociale dove l'uccisione di
animali è la norma, anche se delegata e portata a compimento lontano
dagli occhi, ho capito che ogni essere vivente ha diritto alla vita e
al benessere, esattamente come ciascuno di noi. Quando io e Tina il
venerdì pomeriggio abbiamo fatto una passeggiata sulla spiaggia,
ogni medusa spiaggiata che incontravo veniva rigettata in mare. Ed è
stata proprio Tina, che ha una vista migliore della mia, ad
accorgersi che in quegli ammassi gelatinosi incastonati nella sabbia
della battigia c'era ancora qualche leggera pulsazione, cosa che mi
ha fatto decidere d'intervenire. Non so quanto sia giusto interferire
con le leggi della natura, ma male sicuramente non ho fatto. Come ci
avrebbe spiegato il giorno dopo Daholy, quel tipo di medusa è
inoffensivo e la si può prendere in mano sia dalla parte del dorso,
che da quella dei tentacoli. Il giorno dopo, durante la traversata in
piroga, mi sono reso conto della vastità del fenomeno: ce n'erano
milioni, le più grandi con una diametro dell'ombrello di una
quindicina di cm. Credo di averne ributtate in acqua una ventina,
durante la passeggiata, e se anche non è servito a nulla, almeno ho
capito la ragione per la quale io dovevo essere lì, in quel posto e
in quel giorno.
Fare i buoni
samaritani, comunque, non è sempre agevole. A volte, ci viene
impedito di essere gentili con il prossimo. Avendo deciso di pranzare
con riso e kabaro (fagioli bianchi) sotto il Grande Tamarindo di
Mangily, avrei voluto offrire da bere a un giovane malgascio malato
di mente, che staziona lì vicino e all'occasione chiede denaro ai
vazaha. Chiede sempre 3.000 ariary, ma nessuno lo accontenta, anzi,
la donna che cucina i kabaro, l'ostessa del Tamarindo, mi ha proibito
di far bere la birra a quel giovane pazzo in uno dei suoi bicchieri.
Io mi ero portato la tazza di plastica, che uso in Madagascar per
motivi di igiene, ma a quel punto è stata Tina a proibirmi di fargli
bere la birra in quel recipiente, dicendomi che Dada, così lo
chiamano, non vuole birra ma soldi per comprarsi la jamala, la
marijuana locale, che è la causa della sua pazzia. Non ho difficoltà
a crederlo, perché se uno comincia a fumare e, giorno dopo giorno,
non mette niente nello stomaco, finisce come i nostri alcolizzati che
vanno avanti a forza di vino, finché la cirrosi non se li porta via.
Dada – mi racconta Tina – quando non trova niente da fumare, fuma
merda umana secca, ma questo potrebbe essere un'infame diceria sul
suo conto, mentre la bottiglia d'acqua che di lì a poco si è
procurato potrebbe veramente aver contenuto acqua di mare, che,
sempre a detta della mia guida, Dada beve normalmente. Non è la
prima volta che Tina manifesta insofferenza verso i mendicanti e i
katramine, in genere bambini orfani che dormono in strada. Se solo
uno di essi si avvicina, Tina da' in escandescenze. Anche con la mia
barbona di Fianarantsoa si comporta in modo alquanto negativo.
Il tamarindo dista
pochi metri in linea d'aria dal bungalow dove eravamo alloggiati:
Chez Alex. Anche una delle due volte precedenti eravamo da Alex.
Tutto sommato, 30.000 ariary a notte è un buon prezzo, rispetto ad
altre sistemazioni. E poi, hanno un congelatore funzionante, con la
birra alla temperatura giusta. Lì c'è anche l'amica di Tina di nome
Rini, che le fa massaggi all'olio di cocco per 5.000 ariary.
Il cocco
piace a tal punto a Tina che uno dei guardiani di Alex ce ne ha
aperti un paio per 1000 ariary l'uno. Un prezzo ridicolo vista la
fatica che ha fatto per scortecciare il frutto. Tina si è gustata il
liquido caldo ivi contenuto, mentre io, onestamente, non ho
disdegnato la polpa bianca del rivestimento interno. Sulla spiaggia
di fronte al mare ci sono ombrelloni, sedie a sdraio senza cuscini,
scomode, e qualche amaca. Chioschetti di conchiglie e artigianato, ma
anche per questi la crisi si fa sentire, stando all'assenza di
vendite che ho notato tutte le volte che mi sono trovato nei pressi
ad osservarli.
Anche se Mangily
rappresenta una meta scontata per i vazaha, trovo ogni volta stimoli
e gratificazioni che non mi fanno pentire dall'esservi tornato, non
ultimo il vino bianco sudafricano che ho centellinato la sera Chez
Freddy, dove si mangia bene, c'è buona musica europea e il padrone
malgascio è simpatico. Mangiare, comunque, si mangia bene anche in
tanti altri posti, ma andare in piroga, guardare il cielo azzurro con
le nuvole bianche (in Italia è sempre più difficile), osservare
l'equilibrio con cui questi uomini nati sul mare sanno manovrare un
tronco di legno e poi alla fine concedersi un bagno tonificante, non
ha prezzo. Di sicuro, non per quegli 8 euro che si pagano per una
gita del genere, che poi aumentano con la mancia data volentieri con
senso di gratitudine. Per me, che non so per quanto tempo ancora
potrò permettermi simili vacanze, anche questo è racchiuso nel
canto metallico, esotico, singhiozzante, compulsivo, ritmico e
ripetitivo del caprimulgo.
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