lunedì 8 febbraio 2016

Il canto metallico del caprimulgo


Era da molti anni che non sentivo cantare la tsakodara, il succiacapre. Da nove anni per la precisione, da quando ero in affitto nel bungalow di Madame Fanja ad Ankilibe. A Mangily, sabato 6 febbraio, l'ho sentito di nuovo, al mattino presto, prima di prendere la piroga per Madiorano. In tutta la mia vita ho preso la piroga solo cinque volte, sempre in Madagascar, compresa quella di Daholy che, insieme al suo aiutante e al fratellino di lui, ci ha portato in una località che tradotta letteralmente significa “acqua pulita”, distante quattro Km a nord di Mangily. Le contrattazioni del giorno prima, che ho lasciato fare a Tina, hanno stabilito la somma di 30.000 ariary per la trasferta, comprensive di pic nic all'ombra con “vari e tsaramaso”, riso e fagioli, un po' come avevamo fatto con il signor Ada di Anakao, che ci portò sull'isola di Nosy Ve a vedere i fetonti. In seguito, sono venuto a sapere che Daholy, oltre a fare il pescatore di mestiere, accompagna i turisti nelle località a nord di Mangily, per lo meno quelli che non vogliono prendere il camion-brousse, portandoli perfino a Morombe, che dista circa 150 Km da Mangily. Il viaggio, immagino, dovrebbe durare tre giorni, ma lungo il percorso ci sono alberghi disseminati ovunque, lungo la costa, ove fare tappa.






Per la verità, sabato mattina, anche se la meta era Madiorano, l'approdo è stato più vicino al villaggio di Ambolomailaka, dove un ricco francese ha costruito l'albergo Belle vue, Belvedere, un palazzone che domina il mare e che, con le sue ampie vetrate, risponde in pieno alle aspettative del nome. Purtroppo, le camere costano 100.000 ariary a notte (28 euro) e, a giudicare dalle chiavi appese ai loro ganci nella reception, non dovevano esserci molti clienti in quel momento. Crisi economica mondiale o bassa stagione? Entrambe, probabilmente.



Che il francese non abbia badato a spese lo si vede dai fossili incastonati nei muretti, sia all'esterno, sia sul bancone del bar, dove mi sono goduto una birra ghiacciata dopo tre ore di traversata senza vento. Salendo le scale che dalla spiaggia portano in cima alla terrazza ristorante, ho trovato una mia vecchia conoscenza: un coleottero marrone lungo 4 cm. della stessa specie di quello che avevo salvato 10 anni fa a Tamatave, togliendolo dalle grinfie di un bambino che ci giocava come fosse una macchinina. Un adulto infatti aveva legato attorno al coleottero un filo sottile come era stato fatto alla kololoki di Mangily, qualche giorno addietro, quando era stato proprio Daholy ad aiutarmi a slegarla. Accertatomi che il coleottero del giardino del Belle Vue fosse morto, l'ho messo nella scatola di plastica delle salviette imbevute, così che andrà a rimpinguare la mia collezione di coleotteri, tutti trovati rigorosamente già morti.


Mentre Daholy e i suoi due aiutanti cucinavano il riso e i fagioli sotto un albero di mangrovia, io e Tina, incamminatici in direzione del sovrastante Belle Vue, siamo passati vicino ad alcune donne che, sedute sulla battigia con bacinelle di plastica, stavano facendo qualcosa che sul momento non mi era chiaro. Solo una volta arrivati a breve distanza, abbiamo capito che stavano lavando i panni con acqua dolce, trovata a pochi cm. di profondità semplicemente scavando nella sabbia. Anche il nostro cibo è stato cucinato con quell'acqua, ma con la bollitura tutti i microbi nocivi vengono distrutti. Non credevo che una cosa del genere, lavare vestiti sulla riva del mare e con acqua dolce, fosse possibile. Ad ogni modo, la mia curiosità non si è spinta fino al punto di farmi desiderare di assaggiare quell'acqua. Mi sono fidato dei miei occhi, della mia guida e ho preso mentalmente nota del tutto.


Altri tipi di bacinelle non sono altrettanto innocue, purtroppo, giacché alle donne e alle bambine spetta il compito di pulire il pesce che vi viene depositato. La bacinella è il contenitore più usato presso i villaggi della costa, sia per il trasporto, che per la desquamatura, che per la vendita. Se la mettono in equilibrio sulla testa e vanno in giro a cercare clienti interessati a comprare pesce fresco, esattamente come fanno le venditrici di frutta, ortaggi, carbone o dolciumi a base di noccioline, che al posto della bacinella usano capienti ceste o larghi vassoi. La mancanza di rispetto per gli animali, che da sempre mi colpisce quando mi trovo in Madagascar, dipende dalla normalità con cui è scontato che gli animali siano a disposizione degli uomini, come cibo e, nel caso degli zebù, anche come strumento di lavoro.


A quella bambina che reggeva un granchio in mano e a cui ho dato una caramella come ho fatto con tutti i bambini presenti in quel momento sulla spiaggia, non passa minimamente per l'anticamera del cervello che il grosso crostaceo, trafitto da un colpo di fiocina, avesse diritto alla vita tanto quanto lei. Vedere fin dalla tenera età gli adulti che portano a riva pesci boccheggianti, assistere alla loro agonia come niente fosse, osservare i pesci ancora palpitanti fatti a pezzi, produce altri adulti che trovano naturale la sopraffazione dell'uomo ai danni delle bestie, in un'infinita perpetuazione di violenza che si fa norma. Per la stessa ragione, i malgasci trovano scontato che il bianco debba distribuire caramelle o, in alternativa, meglio ancora, denaro. I pesci esistono per essere pescati e i vazaha per essere sfruttati. Solo grazie alla somiglianza di aspetto tra gasy e vazaha, noi turisti evitiamo di essere presi a fiocinate. Ringrazio Zanahary per questo, per non avermi creato con le pinne.


Io non sono così. Benché nato e cresciuto in un contesto sociale dove l'uccisione di animali è la norma, anche se delegata e portata a compimento lontano dagli occhi, ho capito che ogni essere vivente ha diritto alla vita e al benessere, esattamente come ciascuno di noi. Quando io e Tina il venerdì pomeriggio abbiamo fatto una passeggiata sulla spiaggia, ogni medusa spiaggiata che incontravo veniva rigettata in mare. Ed è stata proprio Tina, che ha una vista migliore della mia, ad accorgersi che in quegli ammassi gelatinosi incastonati nella sabbia della battigia c'era ancora qualche leggera pulsazione, cosa che mi ha fatto decidere d'intervenire. Non so quanto sia giusto interferire con le leggi della natura, ma male sicuramente non ho fatto. Come ci avrebbe spiegato il giorno dopo Daholy, quel tipo di medusa è inoffensivo e la si può prendere in mano sia dalla parte del dorso, che da quella dei tentacoli. Il giorno dopo, durante la traversata in piroga, mi sono reso conto della vastità del fenomeno: ce n'erano milioni, le più grandi con una diametro dell'ombrello di una quindicina di cm. Credo di averne ributtate in acqua una ventina, durante la passeggiata, e se anche non è servito a nulla, almeno ho capito la ragione per la quale io dovevo essere lì, in quel posto e in quel giorno.


Fare i buoni samaritani, comunque, non è sempre agevole. A volte, ci viene impedito di essere gentili con il prossimo. Avendo deciso di pranzare con riso e kabaro (fagioli bianchi) sotto il Grande Tamarindo di Mangily, avrei voluto offrire da bere a un giovane malgascio malato di mente, che staziona lì vicino e all'occasione chiede denaro ai vazaha. Chiede sempre 3.000 ariary, ma nessuno lo accontenta, anzi, la donna che cucina i kabaro, l'ostessa del Tamarindo, mi ha proibito di far bere la birra a quel giovane pazzo in uno dei suoi bicchieri. Io mi ero portato la tazza di plastica, che uso in Madagascar per motivi di igiene, ma a quel punto è stata Tina a proibirmi di fargli bere la birra in quel recipiente, dicendomi che Dada, così lo chiamano, non vuole birra ma soldi per comprarsi la jamala, la marijuana locale, che è la causa della sua pazzia. Non ho difficoltà a crederlo, perché se uno comincia a fumare e, giorno dopo giorno, non mette niente nello stomaco, finisce come i nostri alcolizzati che vanno avanti a forza di vino, finché la cirrosi non se li porta via. Dada – mi racconta Tina – quando non trova niente da fumare, fuma merda umana secca, ma questo potrebbe essere un'infame diceria sul suo conto, mentre la bottiglia d'acqua che di lì a poco si è procurato potrebbe veramente aver contenuto acqua di mare, che, sempre a detta della mia guida, Dada beve normalmente. Non è la prima volta che Tina manifesta insofferenza verso i mendicanti e i katramine, in genere bambini orfani che dormono in strada. Se solo uno di essi si avvicina, Tina da' in escandescenze. Anche con la mia barbona di Fianarantsoa si comporta in modo alquanto negativo.




Il tamarindo dista pochi metri in linea d'aria dal bungalow dove eravamo alloggiati: Chez Alex. Anche una delle due volte precedenti eravamo da Alex. Tutto sommato, 30.000 ariary a notte è un buon prezzo, rispetto ad altre sistemazioni. E poi, hanno un congelatore funzionante, con la birra alla temperatura giusta. Lì c'è anche l'amica di Tina di nome Rini, che le fa massaggi all'olio di cocco per 5.000 ariary. 

Il cocco piace a tal punto a Tina che uno dei guardiani di Alex ce ne ha aperti un paio per 1000 ariary l'uno. Un prezzo ridicolo vista la fatica che ha fatto per scortecciare il frutto. Tina si è gustata il liquido caldo ivi contenuto, mentre io, onestamente, non ho disdegnato la polpa bianca del rivestimento interno. Sulla spiaggia di fronte al mare ci sono ombrelloni, sedie a sdraio senza cuscini, scomode, e qualche amaca. Chioschetti di conchiglie e artigianato, ma anche per questi la crisi si fa sentire, stando all'assenza di vendite che ho notato tutte le volte che mi sono trovato nei pressi ad osservarli.


Anche se Mangily rappresenta una meta scontata per i vazaha, trovo ogni volta stimoli e gratificazioni che non mi fanno pentire dall'esservi tornato, non ultimo il vino bianco sudafricano che ho centellinato la sera Chez Freddy, dove si mangia bene, c'è buona musica europea e il padrone malgascio è simpatico. Mangiare, comunque, si mangia bene anche in tanti altri posti, ma andare in piroga, guardare il cielo azzurro con le nuvole bianche (in Italia è sempre più difficile), osservare l'equilibrio con cui questi uomini nati sul mare sanno manovrare un tronco di legno e poi alla fine concedersi un bagno tonificante, non ha prezzo. Di sicuro, non per quegli 8 euro che si pagano per una gita del genere, che poi aumentano con la mancia data volentieri con senso di gratitudine. Per me, che non so per quanto tempo ancora potrò permettermi simili vacanze, anche questo è racchiuso nel canto metallico, esotico, singhiozzante, compulsivo, ritmico e ripetitivo del caprimulgo.

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