lunedì 1 maggio 2017

Quello col megafono sono io!


Fonte: La Stampa

C’è un paese nell’Astigiano che, pur di non rinunciare alle sue tradizioni, ha scelto di compiere una piccola (forse non per tutti) trasformazione che ha riportato la pace. La sostanza è rimasta e gli animi si sono placati. Il paese è Tonco, nel Monferrato, territorio blasonato che annovera tra i suoi illustri figli il cavaliere Gerardo, fondatore dell’Ordine di San Giovanni in Gerusalemme, divenuto poi Sovrano Ordine Militare di Malta (ma c’è chi sostiene fosse nato altrove). La tradizione è la «Giostra del Pitu» (il tacchino nel dialetto locale), che si disputa oggi pomeriggio.




Siamo poco dopo l’anno Mille e nel borgo rurale sopravvivono antiche usanze pagane. Come quella di uccidere un tacchino in primavera per scacciare i mali e garantire un nuovo anno dal raccolto prospero e di pace (un «rituale apotropaico», dicono gli esperti). Poiché nel Medioevo i cavalieri sono soliti misurarsi in tenzoni, la popolazione decide di scherzare e organizza una Giostra: il tacchino viene usato come bersaglio e i «cavalieri», in rappresentanza dei sette borghi del paese, dapprima a dorso d’asino, più di recente a cavallo, si lanciano in corsa e, sferrando una nerbata, cercano di decapitarlo. Vince chi ci riesce. Prima, però, il rituale prevede che vengano dichiarati i suoi misfatti in un «processo», a cui segue l’inevitabile condanna capitale e il «testamento» del tacchino, che lascia in eredità parti del suo corpo, aggiungendo frecciate satiriche, ai potenti del paese.


Con il tempo le tradizioni cambiano. Assumono aspetti religiosi e sociali nuovi. Fino all’inizio del ’900 si narra che il tacchino da bersagliare fosse vivo e legato a un palo. In seguito, per rendere la cosa più spettacolare, l’animale, già morto, viene appeso a una fune nel centro della piazza sotto cui corrono a turno i cavalieri. A volte occorrono anche un centinaio di passaggi. Al termine si festeggia ballando il «brando» (la danza popolare medievale «branle»). Questo fino al 2009.


Negli ultimi anni la coscienza animalista è cresciuta e così le proteste. Nel nuovo millennio, accanto al pubblico in festa, si ingrossa la schiera di militanti dei diritti animali, armati di striscioni, megafoni e fischietti, determinati a disturbare l’antica usanza. In un paio di edizioni si rischiano risse tra fondamentalisti di entrambe le parti, evitate solo grazie alle capacità diplomatiche del vicequestore Tullio Dezani e a un notevole spiegamento di forze dell’ordine. La festa acquista un sapore sempre più amaro e gli organizzatori decidono di fermarsi.


Ma da tre anni la tradizione rivive grazie al buon senso. Una trasformazione ha permesso di mantenere l’identità del paese: il pennuto è stato sostituito da un pupazzo di stoffa. Si continuerà a servire tacchino a pranzo e cena, ma la crudeltà nei suoi confronti denunciata dagli animalisti non c’è più. Invece a Tonco c’è una storia in più da raccontare.

Nessun commento:

Posta un commento