giovedì 3 marzo 2016

Da secoli lo si fa con le mucche


Fonte: In terris

Giovani donne rapite, segregate, violentate per mesi e usate come “incubatrici” per neonati che verranno poi venduti all’estero per fini sconosciuti. Non è la trama di un film horror, ma la triste realtà di un fenomeno presente su vasta scala e, in particolar modo, nei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, dove povertà, fame e ingiustizia sociale vanno spesso di pari passo. Uno schiaffo all’umanità. In Nigeria, una delle nazioni più ricche di petrolio al mondo ma, al contempo, segnata da gravi tensioni interetniche, il fenomeno è così esposto e conosciuto che gli è stato assegnato un nome specifico: “baby factory”. Le cosiddette “fabbriche di bambini” altro non sono che tuguri in cui vivono accalcate, come bestie da riproduzione, decine di donne e ragazze, anche giovanissime, tenute segregate fino al momento del parto da aguzzini al soldo dei potenti gruppi criminali locali. Cosa succeda a queste mamme, dopo il parto, non è dato sapere. E, cosa ancora più abominevole, nulla di certo si sa dei figli.

 
Molti neonati vengono “immessi”, come merce, nel circuito delle adozioni internazionali e venduti a caro prezzo a coppie etero o omosessuali. Ma di molti altri si sono perse le tracce. C’è il timore fondato che siano stati “usati” per prelevare organi o che siano stati “riciclati” per il fiorente mercato della pedopornografica. Donne e bambini dei nostri tempi sfruttati come oggetti inanimati da usare, abusare, vendere, smembrare e, infine, eliminare. Neanche un accenno di umanità in questo mondo governato, sembrerebbe, solo dal dio “mammona” in cui il denaro fa da padrone anche sul sentimento più bello e forte dell’universo: quello che lega una mamma al suo bambino appena nato.

Emanuele di Leo, presidente di Steadfast (una onlus operativa da anni in Nigeria a fianco dei più poveri) spiega chi sono gli acquirenti che si macchiano di questo reato: “Sono sia persone che vengono dall’Occidente che hanno problemi di sterilità, sia coppie etero che omo; sia nigeriani, famiglie ricche il cui maschio effettua delle aggressioni verso queste ragazze rapite dai villaggi per poter mettere al mondo un bambino con il proprio patrimonio genetico”.

Il prezzo di un neonato “surrogato”? Dai 4mila ai 10mila euro, spiega l’operatore umanitario. Una cifra che sommata alle centinaia di donne vendute all’estero per fare da (involontarie) “madri surrogate” o direttamente “utilizzate” in loco frutta ai clan centinaia di migliaia di euro all’anno. Negli ultimi anni sono state scoperte, solo in Nigeria, almeno una ventina di fabbriche di bambini, in genere ex-orfanotrofi, dove le ragazze vengono tenute segregate per i nove mesi della gestazione per poi finire non si sa come.

In uno di questi luoghi infernali, scoperto recentemente dalla polizia, le forze dell’ordine hanno trovato 32 ragazze, ovviamente tutte incinta, incatenate al muro come vacche in una stalla. Una nuova frontiera dello sfruttamento sessuale, una pratica abominevole venuta alla luce solo da pochi mesi ma che si protrae da anni, nel silenzio omertoso di chi sa ma ha preferito tacere.

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