Fonte: L’Adige
Per i cacciatori delle riserve
della Valle dei Mocheni (Sant’Orsola, Palù, Fierozzo e
Frassilongo) e della riserva di Viarago, si è rinnovata la
tradizione, sabato sera, di rendere onore al loro
patrono, Sant’Uberto. Un rito che ogni anno, a rotazione,
viene celebrato nelle rispettive chiese. Quest’anno la celebrazione si
è tenuta a Viarago alla
presenza di una quarantina di cacciatori e dei rispettivi rettori
delle riserve, oltre al presidente dell’Associazione
cacciatori trentini,
Carlo Pezzato. A celebrare il rito, oltre a don
Daniele Laghi,
parroco della Valle dei Mocheni, è stato don
Dario Sittoni. Don Dario, classe 1938, è cacciatore da quasi sessant’anni e
sacerdote da 45, e per questa sua passione due anni fa, era stato
attaccato durante la messa della domenica a Canezza, con un blitz di
un gruppo di animalisti che avevano cominciato ad inveire contro la
caccia e contro di lui, stendendo un lenzuolo con la scritta «Quinto
comandamento: non uccidere. Cacciatori assassini».
E sempre gli animalisti, quest’anno,
avevano protestato per la messa che l’Associazione cacciatori aveva
programmato in duomo con il vescovo Lauro Tisi, affiggendo cartelli
sia sulle porte del duomo che della curia, con frasi piuttosto
pesanti contro i cacciatori, tanto che il vescovo aveva preferito
fare marcia indietro e non celebrare più la messa di Sant’Uberto. Tutti questi argomenti sono
stati toccati da don Dario proprio durante la messa, l’altra sera a
Viarago: «Io non ho
preso niente quest’anno -
ha esordito riferendosi alle sue battute di caccia non proprio di
successo - ma
non è questo l’importante. È frutto dell’età.
Il vero bottino sono i ricordi, perché noi cacciatori viviamo di
ricordi. Sono il collante e il tessuto dell’amicizia: è questo uno
dei frutti più belli della nostra associazione».
Non è mancato poi un accenno
alle contestazioni degli animalisti: «È vero che siamo un po’
contestati - ha continuato don Dario - ed è capitato anche a me
quando mi hanno
dato dell’assassino. Perdonateli!
Non sanno quello che dicono,
perché vivono in un contesto tutto diverso dal nostro: noi viviamo
immersi nella natura, ma chi vive in un condominio di Milano crede
che un capriolo sia la stessa cosa di un coniglio domestico. Hanno
perso il buon senso».
Non si è trattato però solo di
un’accusa, quella di don Dario, perché anche da chi contesta c’è
da imparare: «Quest’anno mi ha colpito il silenzio della montagna:
non ho sentito il canto di un lugherin (lucherino), di una parisola
(cincia mora) o di un crosnobol (becchincroce). Gli animalisti ci
aiutano a sentire questo silenzio. Non è principalmente colpa
nostra né degli animalisti, ma di tante altre cose e vicissitudini,
e non saranno neanche gli animalisti a risolvere il problema, perché
al giorno d’oggi la
natura si è ridotta in grande debolezza. C’è sempre da imparare anche da chi
ci contesta e dobbiamo imparare ad avere grande rispetto per la
natura: quest’aspetto un tempo non c’era, perché così
rispetteremo anche i cacciatori del futuro. La caccia anticamente
veniva chiamata arte nobile, con buona pace degli animalisti, ma
dipende da noi essere nobili e rispettosi» ha concluso don Dario.
Caro Don Dario, non di nobiltà, si tratta, ma di rispetto e giustizia, quella dovuta agli animali. Essi sono portatori di quel soffio di vita, se vogliamo dirla come piacerebbe a Lei, donato loro da nostro signore, giusto? Quel soffio di vita e quei diritti che chi li uccide e peggio, chi copre e appoggia questi luridi assassini, NON MERITA!!!
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