martedì 23 luglio 2019

Il peggior incubo per una madre


Testo di Sergio Sighieri

Sono le sette del mattino di un giorno estivo qualunque e qualcuno bussa alla tua porta. Non hai idea di chi possa essere e intanto che attraversi il corridoio la voce fuori tuona: “Polizia apra”. Non sai perché possano essere arrivati fino a te. La tua bambina, di dieci anni, unica componente del tuo nucleo famigliare, sta ancora dormendo nel suo letto. Altre persone a te care, che possano avere avuto incidenti, non ti vengono in mente e quindi con un po’ di patema d’animo misto a curiosità giri la chiave ed apri. La poliziotta non è in divisa e non è sola. Un’altra donna e un uomo l’accompagnano. Ti chiedono dove sia tua figlia. “Che domanda è?” ti ripeti “dove pensano possa essere una bambina di dieci anni alle sette di mattina?”. Rispondi e la signora che è in compagnia del poliziotto ti dice che la devi andare a svegliare, vestire e prepararle uno zainetto. Riesci solo a dire: “Perché? Dove la portate? Datemi cinque minuti che mi preparo anch’io”. L’unica risposta che ti viene fornita è: “No signora, lei rimane qua. Viene solo la bambina con noi”. 


Avresti mille domande da fare ma non le fai perché temi di non saper gestire le risposte emotivamente. E intanto che la vesti hai di fronte gli occhi di tua figlia. Forse ha capito che sta succedendo qualcosa di brutto ma non trova il coraggio di piangere. I suoi sono solo occhi umidi di interrogativi. Tu li vedi e vorresti abbracciarla ma sai che se lo fai potrebbe essere per sempre. Come faresti poi a trovare la forza di sciogliere l’abbraccio? Quindi meglio girarsi di scatto e afferrare lo zainetto e riempirlo nervosamente non dimenticando la sua maglietta preferita. Piccolo atto d’amore in quel momento surreale dove l’amore non esiste più. In quello zaino vorresti metterci tutto ciò che ha di più caro, compreso il tuo infinito abbraccio, ma non ci sta. Quello non ce lo puoi mettere. Le accomodi lo zaino sulle spalle senza quasi sfiorarla. Non vuoi, non puoi toccarla, non deve sentire il distacco e allora le prometti, mentendo prima che a lei a te stessa: “Tranquilla, vengo a prenderti stasera”. Lasci che quella donna la prenda per mano e le faccia attraversare il corridoio fino alla porta. Ecco quella sarà l’ultima immagine di tua figlia. Lei, dopo vent’anni sta ancora aspettando quella sera. Per vent’anni vivrai e rivivrai quella scena ogni giorno ma soprattutto ogni notte finché gli psicofarmaci non avranno la meglio su di te. 

Ecco, questa è una storia accaduta, purtroppo veramente, nel 1997 a Mirandola. Scene che si sono ripetute negli anni successivi a Bibbiano. L’unica tua colpa? Per i più disparati motivi, poteva bastare anche semplicemente aver ricorso alle strutture pubbliche per una certificazione di difficoltà dell’apprendimento. Finisce così il nome di tua figlia nei registri dell’Assl dai quali è stato estratto a sorte, in una specie dì roulette russa, per ingrassare quel carrozzone che degli affidi dei minori e del progetto pilota dell’applicazione alla realtà della teoria gender ne ha fatto un business. 

Esperimenti con cavie umane. 
Ogni bambino, ogni giorno frutta dai 150 ai 400 euro. Le tue lacrime, le sue lacrime diventano un dettaglio minimo ed insignificante nel registro mastro degli affari. 
Ieri Mirandola, oggi Bibbiano e domani magari voi che state leggendo.

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