Testo di Soumaila Diawara
Ho paura. Da dieci anni questa paura mi accompagna, fedele come un’ombra. È iniziata il giorno in cui sono fuggito dal mio paese, dalla mia terra, cercando salvezza. Salvo, sì, ma morto dentro. Intrappolato in un terrore che non mi abbandona mai. Vivo in una terra straniera, dove ogni passo mi costringe a guardarmi le spalle. Mai al sicuro da uno sputo, da uno schiaffo, o da qualcosa di ancora peggiore. Ho paura, e a volte il mio cuore sembra fermarsi. Basta un’ombra in un vicolo, una divisa, o uno sguardo di un essere umano come me, ma che non parla con me. Non comprendo questo disprezzo che mi circonda, eppure lo sento ovunque. Sono vittima di un vittimismo che mi consuma. Temo per me stesso, e così smetto di vivere davvero. L’Italia è un paese bellissimo, lo vedo nei suoi paesaggi, nelle sue città, in ogni angolo della sua bellezza. Ma nessuno può godere di questa bellezza quando deve convivere costantemente con la paura. Questa paura non nasce da ombre o leggende, ma da fatti. Le cicatrici sul mio corpo lo testimoniano. Mi hanno picchiato perché sono nero. Mi hanno sputato addosso perché sono nero. Un colore che mi distingue. E che, al tempo stesso, mi estingue. L’ansia è la mia eterna compagna. Tutti mi dicono che andrà tutto bene, che non è niente. Tutti banalizzano il mio buio, che si estende oltre la mia pelle. Non è solo dolore: è paura, angoscia, il timore che il domani si trasformi in un inferno. Perché io, l’inferno, l’ho già attraversato. Non ho genitori con lasciti che possano alleggerire il mio presente. Sono io che devo pensare a dare loro una sepoltura dignitosa. Ho paura. E questa paura è reale. L’ho capito pensando ai miei fratelli e alle mie sorelle, che potrebbero cadere nella stessa trappola. I nostri corpi servono al paese, ma le nostre anime vengono ributtate al mare. La vita di un nero, a volte, è più nera dello stesso buio della notte.
Stia a casa propria a far rime con mango, papaia, tucul eccetera. Non venga a coglierci i romponi, il buon negro ci ha stufati, mi ha stufato per meglio dire.
RispondiEliminaSe escludiamo l'ipotesi che il testo glielo abbia scritto qualcun altro (dubbio che ho anche con il signor Giuseppe), il soggetto ha voluto ricamarci un po' su, come un vero poeta, perché davvero mi riesce difficile credere che degli italiani possano sputare addosso a una persona solo per il colore della sua pelle.
EliminaPosso invece credere benissimo che siano slavi o nordafricani a trattarlo in tal modo.
L'altra sera avevo a cena mia figlia con il suo fidanzato albanese, il quale mi ha spiegato che se un "marocchino" dovesse entrare in un bar di Tirana, subito verrebbe malmenato dagli altri clienti, che lo caccerebbero fuori dal locale.
Ma veramente?
RispondiEliminaBoh , leggendo le cronache delle città più vicine a me , Reggio e Parma , non passa giorno che non ci siano spacci , risse , aggressioni , accoltellamenti e qualche morto ogni tanto che vede protagonisti i mao mao.
Forse il signore frequenta le sedi del PD e si fa impressionare , perché secondo loro va tutto bene e le vittime sono i poveri immigrati.
Se veramente prova paura passando per le strade delle città italiane, al punto da doversi guardare indietro, allora è in buona compagnia, giacché tutte le donne, giovani o vecchie, che disgraziatamente scendono dal treno nelle stazioni delle grandi e medie città, provano la stessa paura.
EliminaDi notte, poi, sarebbe un suicidio.