lunedì 8 agosto 2016

Anche in natura le invasioni non sono mai apprezzate


Fonte: Leggo

Allarme nello Jonio, invaso dai “vermocani”, sempre più numerosi sui fondali rocciosi del Salento. L’Università di Modena e Reggio Emilia e l'Area marina protetta “Porto Cesareo” studiano il fenomeno nel mare di Santa Caterina di Nardò. Ci mancavano solo questi piccoli “serpenti” di mare dopo l’invasione dell’alga tossica che, dal nord Barese, si è spostata quest’anno anche a sud di Otranto: segnalazioni e “avvistamenti” copiosi, a sentire gli esperti scientifici dell’Arpa, nel mare di Porto Badisco che è uno delle icone della costa salentina. Prima l’Adriatico, ora il mar Jonio da Porto Cesareo fino a Leuca: non c’è pace per l’estate salentina dei record. Non c’è pace per chi frequenta il mare d’agosto: migliaia di turisti, ma anche molti salentini che si prendono una pausa dal lavoro.



Sono sempre più frequenti le segnalazioni da parte di bagnanti e subacquei allarmati dalla crescente presenza di “vermocani” sui fondali rocciosi anche a pochi centimetri di profondità. Il suo nome scientifico è “Hermodice caruncolata” e si tratta di un grande polichete, lungo fino a 30-40 centimetri, comune in habitat costieri rocciosi dello Jonio e del Mediterraneo orientale, dotato di difese antipredatorie costituite da ciuffi di bianche setole su entrambi i lati del corpo, che l’animale erige quando è toccato o si sente minacciato.


Le setole si staccano facilmente dal corpo del verme, conficcandosi e frammentandosi nella pelle o nelle mucose dei potenziali predatori e dissuadendoli dall'attacco. Anche l'uomo, quando entra accidentalmente in contatto con il vermocane, avverte un’immediata sensazione di bruciore (per questo conosciuto anche come “verme di fuoco”) accompagnata da edema, eruzione papulare che normalmente passano poche ore dopo il contatto. Questo polichete è sempre stato presente nei nostri fondali, ma negli ultimi mesi si sta assistendo ad un suo esponenziale aumento.

Spiagge al riparo, dunque, perché i vermocani prediligono soprattutto le zone rocciose: a nord di Torre Lapillo, ma soprattutto tra Sant’Isidoro e Lido Conchiglie, tra Mancaversa e Ugento prima della zona di Leuca. Roberto Simonini, ricercatore di Ecologia del Dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di Modena e Reggio Emilia, sta conducendo in questi giorni, con il supporto del dottore Sergio Fai dell'Area Marina Protetta "Porto Cesareo", studi laboratoriali ed ecologici su questo animale proprio nelle acque della marina di Santa Caterina in Nardò, al fine di meglio comprendere il suo comportamento e le sue capacità predatorie. In base alle conoscenze attuali, infatti, è impossibile azzardare ipotesi sulle ragioni dell'aumento di questi animali. «Certamente, però - dice Sergio Fai - sono da evitare inutili allarmismi. Il contatto con il riccio di mare resta sicuramente il più frequente e fastidioso incidente con organismi marini durante la balneazione».


E sempre nel Salento, ma soprattutto sull’Adriatico, l’Arpa Puglia avrebbe rilevato negli ultimi quindici giorni di luglio una concentrazione particolarmente intensa di alga tossica Ostreopsis. Il contatto con l’alga - in concentrazioni elevate - può comportare per l’uomo malessere transitorio nei bagnanti o anche riniti, faringiti, laringiti, bronchiti, febbre, dermatiti e congiuntiviti. In caso di mareggiate, poi, si può diffondere il cosiddetto aerosol marino, che può diffondere la tossina nell’aria rendendola nociva anche per semplice inalazione. E, quel che è peggio per gli amanti dei frutti di mare, nelle aree dove è presente è sconsigliato mangiare ricci di mare, in quanto i ricci si nutrono di alghe e possono accumulare la tossina dell’Ostreopsis.


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