sabato 11 gennaio 2020

Non c'è posto per gli italiani in Africa (e nemmeno in Italia)



Fu una tragica domenica quella dell’11 gennaio 1948 per gli italiani residenti a Mogadiscio: 54 civili massacrati e 55 feriti. Erano 7 anni che la Somalia era sotto l’egida di una dura Amministrazione militare britannica, dopo che nel 1941, durante la seconda guerra mondiale, l’Italia era stata sconfitta in Africa orientale. Nel paese regnavano miseria e incuria e gli inglesi aveva fatto proliferare le case da gioco. La Somalia post-coloniale era in attesa di una nuova amministrazione che la preparasse all’indipendenza: un’amministrazione contesa tra inglesi e italiani. L’Italia aveva mantenuto buoni rapporti con la popolazione locale come dimostrò la grande manifestazione di piazza filo-italiana di centinaia di somali che accolsero i rappresentanti delle neonata ONU, praticamente la ex Società delle Nazioni.


La commissione delle Nazioni Unite doveva stabilire se affidare il protettorato dell’ex colonia italiana all’Italia, tramite una amministrazione fiduciaria, per prepararla e condurla all’indipendenza nel giro di pochi anni. Il 21 novembre 1949 l’Assemblea generale dell’ONU approvò la Risoluzione 289 con la quale assegnò definitivamente il territorio della Somalia all’AFIS “Amministrazione Fiduciaria italiana della Somalia” dal 1° aprile 1950 al 1° luglio 1960. Da notare come questo fu l’unico caso di amministrazione fiduciaria assegnata ad una nazione sconfitta nella Seconda guerra mondiale.

Ma torniamo ai fatti del 1948. La manifestazione filo-italiana non piacque agli inglesi che importarono dal Somaliland inglese e dal Kenia gruppi di somali della Syl “Lega dei Giovani Somali” (un club nato a Mogadiscio nel 1943 con l’appoggio e il sostegno delle autorità britanniche), ma anche neozelandesi e indiani, che si infiltrarono in una manifestazione programmata per l’11 gennaio, con il chiaro intento di dimostrare che gli italiani non erano graditi. Il tenente colonnello Thorne, vicecomandante della gendarmeria britannica, senza alcuna spiegazione ritirò agli italiani il permesso, precedentemente accordato, di manifestare quella domenica, confermando invece l’autorizzazione agli aderenti della Lega. I primi disordini avvennero in tarda mattinata quando gli italiani vennero aggrediti per strada, nei bar, nei negozi e successivamente si scatenò proprio una “caccia all’italiano” casa per casa. Decine di abitazioni vennero saccheggiate e devastate. I morti restarono abbandonati per ore lungo le strade e ai feriti non vennero prestati soccorsi dalla gendarmeria che osservava incurante il massacro. Molti anche i somali uccisi, 14, tra i quali Hawo Tako, che cercarono di proteggere gli italiani, più 43 feriti. Circa 800 italiani riuscirono a salvarsi riparandosi all’interno della Cattedrale, rimanendovi chiusi dentro per ore.

Molti degli italiani superstiti, che avevano perso tutto nelle devastazioni delle loro abitazioni, nei giorni successivi furono rinchiusi in una sorta di campo di concentramento allestito dagli inglesi dove dovettero anche pagare una sorta di affitto per le spese di mantenimento del campo. Le spoglie delle vittime vennero seppellite nel cimitero italiano di Mogadiscio e rimpatriate nel 1968. La responsabilità dell’eccidio furono ammesse dal governo di Londra solamente dopo molti anni, quando istituirono una commissione di inchiesta presieduta dal maggiore Flaxman e dal console italiano a Nairobi, Della Chiesa, ma solo come osservatore. Furono ascoltate e messe a verbale le testimonianze di 102 italiani dalle quali furono chiare le responsabilità degli inglesi. Il risultato dell’inchiesta, noto come “Rapporto Flaxman” fu dichiarato top secret fino alla sua recente declassificazione.

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