Fonte: La nuova bussola quotidiana
È stato un 1° maggio di sangue
nella Repubblica Centrafricana, iniziato con un attacco islamico alla
chiesa Nostra Signora di Fatima, nella capitale Bangui, seguito dalla
rappresaglia dei cristiani finché, verso sera, le forze dell’ordine
hanno ripreso il controllo nei quartieri devastati. A
causare ancora una volta una strage è
stato un incidente verificatosi di prima mattina a un posto di blocco
situato al confine del quartiere PK5, abitato in prevalenza da
musulmani. Fermato dalle forze di sicurezza, Moussa Empereur, membro
del gruppo di autodifesa islamico guidato da Nimery Matar Djamous, è
stato ferito mentre tentava di fuggire. I suoi compagni hanno prima
attaccato gli agenti e poi si sono diretti, insieme ad altri
miliziani accorsi nel frattempo, verso la vicina cattedrale dedicata
a Nostra Signora di Fatima, raggiungendola mentre era gremita di
fedeli convenuti per assistere a una messa in onore di san Giuseppe,
patrono dei lavoratori. Aperto un varco nella recinzione sul retro
dell’edificio, sono entrati, hanno lanciato delle bombe a mano tra
la gente e hanno incominciato a sparare a raffica uccidendo 16
persone e ferendone 99. Tra le vittime colpite a morte c’è anche
il sacerdote che stava officiando la messa, don Albert
Toungoumale-Baba, cappellano della Fraternità di san Giuseppe.
Dopo che le forze
dell’ordine sopraggiunte hanno messo in fuga gli assalitori,
la calma sembrava essere tornata. Invece poco dopo si è radunata una
folla inferocita, circa mille persone che hanno deciso di marciare
per protesta fino alla sede del palazzo presidenziale e della
Minusca, la missione di peacekeeping delle Nazioni Unite, portando
con sé il corpo del sacerdote ucciso.
Lungo il percorso, mentre
attraversavano il quartiere di Lakouanga, i dimostranti hanno
distrutto con il fuoco una moschea e nell’incendio due persone sono
morte bruciate vive. Fermati prima di raggiungere la Presidenza, si
sono poi diretti verso un ospedale gestito da Medici senza frontiere
dove hanno stazionato impedendo l’accesso alle ambulanze e
minacciando di distruggere l’intera struttura.
Il portavoce della
Minusca e il presidente della repubblica, Faustin-Archange Touadéra,
hanno invitato la popolazione alla calma, a non cedere alle
provocazioni, ma da troppo tempo ostilità, risentimento e sete di
vendetta hanno il sopravvento nonostante gli appelli alla pace e alla
riconciliazione.
Il paese da cinque anni è affondato nell’incubo
di uno scontro etnico cruento, innescato nel 2013 dal colpo di stato
con cui la minoranza islamica – il Centrafrica è uno stato a
maggioranza cristiana – ha preso il potere grazie a una coalizione
di milizie antigovernative chiamata Seleka. Anche dopo il ripristino
delle istituzioni democratiche nel 2016, gran parte dei Seleka non
hanno deposto le armi. A loro volta le comunità minacciate, prive di
protezione, hanno organizzato per difendersi delle milizie armate
chiamate Anti-Balaka, trasformatesi in breve tempo in squadre
violente e spietate quanto quelle Seleka. Tuttora almeno tre quarti
del territorio nazionale sono infestati da bande in lotta tra loro e
con le forze governative che infieriscono sulla popolazione: quella
cristiana i Seleka, quella islamica gli Anti-Balaka. Il cessate il
fuoco firmato nel giugno del 2017 a Roma grazie alla mediazione della
Comunità di sant’Egidio non è mai entrato in vigore e anzi i
combattimenti si sono intensificati proprio nei giorni successivi.
A proposito di quegli
accordi “senza futuro”, falliti il giorno stesso della loro
stipulazione, padre
Aurelio Gazzera, da decenni missionario a Bozoum, 400 chilometri a
nord ovest di Bangui, aveva commentato: “per discutere le parti
devono essere a un livello di forza simile. Qui abbiamo i potenti,
che sono i gruppi armati, e dall’altra parte delle nullità come il
governo e l’Onu. Per questo la grande soddisfazione espressa dal
Consiglio di sicurezza per l’accordo di Roma è fuori luogo”. I
vescovi centrafricani avevano criticato sia la scelta degli
interlocutori che l’atteggiamento dei mediatori, “troppo
remissivo nei confronti dei gruppi ribelli che si sono macchiati di
crimini indicibili”. “Lo stato ha cessato di esistere – aveva
detto il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo della capitale
– i signori della guerra regnano con il terrore, hanno diritto di
vita e di morte sulle persone” e, poiché detengono il controllo di
gran parte del territorio nazionale, prosperano sul commercio di
armi, diamanti, legno, oro e altre risorse minerarie.
Il giorno successivo
alla strage del 1° maggio Sua
Eminenza in un messaggio alle autorità e alla popolazione ha
invocato per il paese degli “eroi” disposti a dire no alla
violenza, alla barbarie e all’autodistruzione.
Alle autorità
politiche e religiose ha chiesto una condanna unanime dell’accaduto,
“poiché è lo stesso corpo centrafricano a essere minacciato
dall’interno”. Ai credenti ha chiesto “padronanza di sé per
evitare la rabbia, l’odio, la vendetta, le rappresaglie. Abbiamo
contato i nostri morti e continueremo a contarli – ha
scritto – per carità, alziamoci in piedi per evitare di
autodistruggerci”.
Padre Aurelio Gazzera
proprio in questi giorni è
in Italia per presentare Coraggio (sottotitolo, Bisogna
dare battaglia perché Dio conceda vittoria),
il libro edito da Salinzucca che raccoglie i post del suo blog
iniziato nel 2008, testimonianza di una comunità che ha imparato,
messa alla prova, a confidare nella Provvidenza e farsene strumento.
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