giovedì 3 maggio 2018

La religione è solo un pretesto: quando si è barbari, si è barbari



È stato un 1° maggio di sangue nella Repubblica Centrafricana, iniziato con un attacco islamico alla chiesa Nostra Signora di Fatima, nella capitale Bangui, seguito dalla rappresaglia dei cristiani finché, verso sera, le forze dell’ordine hanno ripreso il controllo nei quartieri devastati. A causare ancora una volta una strage è stato un incidente verificatosi di prima mattina a un posto di blocco situato al confine del quartiere PK5, abitato in prevalenza da musulmani. Fermato dalle forze di sicurezza, Moussa Empereur, membro del gruppo di autodifesa islamico guidato da Nimery Matar Djamous, è stato ferito mentre tentava di fuggire. I suoi compagni hanno prima attaccato gli agenti e poi si sono diretti, insieme ad altri miliziani accorsi nel frattempo, verso la vicina cattedrale dedicata a Nostra Signora di Fatima, raggiungendola mentre era gremita di fedeli convenuti per assistere a una messa in onore di san Giuseppe, patrono dei lavoratori. Aperto un varco nella recinzione sul retro dell’edificio, sono entrati, hanno lanciato delle bombe a mano tra la gente e hanno incominciato a sparare a raffica uccidendo 16 persone e ferendone 99. Tra le vittime colpite a morte c’è anche il sacerdote che stava officiando la messa, don Albert Toungoumale-Baba, cappellano della Fraternità di san Giuseppe.



Dopo che le forze dell’ordine sopraggiunte hanno messo in fuga gli assalitori, la calma sembrava essere tornata. Invece poco dopo si è radunata una folla inferocita, circa mille persone che hanno deciso di marciare per protesta fino alla sede del palazzo presidenziale e della Minusca, la missione di peacekeeping delle Nazioni Unite, portando con sé il corpo del sacerdote ucciso. 

Lungo il percorso, mentre attraversavano il quartiere di Lakouanga, i dimostranti hanno distrutto con il fuoco una moschea e nell’incendio due persone sono morte bruciate vive. Fermati prima di raggiungere la Presidenza, si sono poi diretti verso un ospedale gestito da Medici senza frontiere dove hanno stazionato impedendo l’accesso alle ambulanze e minacciando di distruggere l’intera struttura.

Il portavoce della Minusca e il presidente della repubblica, Faustin-Archange Touadéra, hanno invitato la popolazione alla calma, a non cedere alle provocazioni, ma da troppo tempo ostilità, risentimento e sete di vendetta hanno il sopravvento nonostante gli appelli alla pace e alla riconciliazione. 

Il paese da cinque anni è affondato nell’incubo di uno scontro etnico cruento, innescato nel 2013 dal colpo di stato con cui la minoranza islamica – il Centrafrica è uno stato a maggioranza cristiana – ha preso il potere grazie a una coalizione di milizie antigovernative chiamata Seleka. Anche dopo il ripristino delle istituzioni democratiche nel 2016, gran parte dei Seleka non hanno deposto le armi. A loro volta le comunità minacciate, prive di protezione, hanno organizzato per difendersi delle milizie armate chiamate Anti-Balaka, trasformatesi in breve tempo in squadre violente e spietate quanto quelle Seleka. Tuttora almeno tre quarti del territorio nazionale sono infestati da bande in lotta tra loro e con le forze governative che infieriscono sulla popolazione: quella cristiana i Seleka, quella islamica gli Anti-Balaka. Il cessate il fuoco firmato nel giugno del 2017 a Roma grazie alla mediazione della Comunità di sant’Egidio non è mai entrato in vigore e anzi i combattimenti si sono intensificati proprio nei giorni successivi.

A proposito di quegli accordi “senza futuro”, falliti il giorno stesso della loro stipulazione, padre Aurelio Gazzera, da decenni missionario a Bozoum, 400 chilometri a nord ovest di Bangui, aveva commentato: “per discutere le parti devono essere a un livello di forza simile. Qui abbiamo i potenti, che sono i gruppi armati, e dall’altra parte delle nullità come il governo e l’Onu. Per questo la grande soddisfazione espressa dal Consiglio di sicurezza per l’accordo di Roma è fuori luogo”. I vescovi centrafricani avevano criticato sia la scelta degli interlocutori che l’atteggiamento dei mediatori, “troppo remissivo nei confronti dei gruppi ribelli che si sono macchiati di crimini indicibili”. “Lo stato ha cessato di esistere – aveva detto il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo della capitale – i signori della guerra regnano con il terrore, hanno diritto di vita e di morte sulle persone” e, poiché detengono il controllo di gran parte del territorio nazionale, prosperano sul commercio di armi, diamanti, legno, oro e altre risorse minerarie.
Il giorno successivo alla strage del 1° maggio Sua Eminenza in un messaggio alle autorità e alla popolazione ha invocato per il paese degli “eroi” disposti a dire no alla violenza, alla barbarie e all’autodistruzione. 

Alle autorità politiche e religiose ha chiesto una condanna unanime dell’accaduto, “poiché è lo stesso corpo centrafricano a essere minacciato dall’interno”. Ai credenti ha chiesto “padronanza di sé per evitare la rabbia, l’odio, la vendetta, le rappresaglie. Abbiamo contato i nostri morti e continueremo a contarli –  ha scritto – per carità, alziamoci in piedi per evitare di autodistruggerci”.

Padre Aurelio Gazzera proprio in questi giorni è in Italia per presentare Coraggio (sottotitolo, Bisogna dare battaglia perché Dio conceda vittoria), il libro edito da Salinzucca che raccoglie i post del suo blog iniziato nel 2008, testimonianza di una comunità che ha imparato, messa alla prova, a confidare nella Provvidenza e farsene strumento.

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