Fonte: Giustizia News 24
Latifah (il nome è di fantasia) è ancora una bambina quando viene prelevata dal suo villaggio nella periferia di Benin City e portata al cospetto di un baba-loa. Il suo corpo è quello di una donna, è formata ed è bellissima. Ma anche se in Africa si cresce prima, Latifah resta sempre una ragazzina. E’ ancora troppo ingenua e terribilmente innocente quando si presenta davanti al santone. Lo guarda, ci parla pochi istanti e spera che le possa dare una mano a cambiare in meglio la sua vita. Che la possa proteggere dalle difficoltà che si presenteranno. Sì, perché il baba-loa, nello stato nigeriano di Edo, dove l’Islam è meno presente che altrove, per i locali è un riferimento e soprattutto ha poteri magici.
E allora Latifah si procura un sacchetto – così vuole la tradizione – si inginocchia davanti allo ‘stregone’ e gli consegna una ciocca di capelli, dei peli pubici, una fotografia, un lembo del vestito, unghie dei piedi e un assorbente usato: oggetti che vengono mescolati con polveri magiche mentre lo stregone invoca strani spiriti e antenati. Poi giura, Latifah. Ripete più volte che obbedirà per sempre alla maman: la signora che la deve condurre in Italia. E giura ancora. Ripete che accetterà ogni mestiere pur di ripagare il suo debito economico e di gratitudine. Latifah è ingenua e non sa che è solo l’inizio di un incubo: quel giuramento recitato davanti al baba-loa non la proteggerà. La terrà solo legata per molto tempo ad un’organizzazione che la ridurrà alle condizioni di una schiava; spaventandola con riti wodoo e minacciandola di ritorsioni nei confronti dei familiari. Si chiama terrore. Ma questo, Latifah ancora non può saperlo.
Così la ragazza lascia Benin City e parte per l’Italia, stipata in un bus come una bestia assieme a duecento persone. Con lei tante altre ragazze giovanissime che hanno pronunciato lo stesso giuramento e che sperano di cambiare vita. L’arrivo in Libia, punto di snodo per i migranti, e poi l’approdo a Lampedusa dopo la traversata della disperazione. C’è un’organizzazione transnazionale che ha preparato tutto ciò: una rete ben strutturata con contatti in diversi stati africani capace di fare affari d’oro con la tratta di esseri umani. Ai ‘reclutatori’ che passano al setaccio Benin City e il suo hinterland e che organizzano i trasferimenti nel deserto magrebino, corrisponde in Italia una struttura preposta all’«accoglienza» e all’istradamento alla prostituzione.
Allora Latifah, la ragazzina innocente di Benin City, viene prelevata da un uomo e portata a Giugliano nella zona di Varcaturo: un angolo d’Italia che assomiglia moltissimo all’Africa. E’ questo il punto d’arrivo per molte ragazze come lei. Ed è qui che conosce la sua madame di nome Glory. La sua protettrice. All’inizio sembra andar bene. E’ sempre così: il miraggio di una vita migliore sembra diventare concreto. La donna le procura vestiti succinti, trucchi per farsi bella, un letto in cui dormire e un piatto caldo ogni giorno. Poi, però, la situazione cambia e l’organizzazione presenta il conto: 30mila euro da restituire all’organizzazione che l’ha portata in Italia e un canone (pizzo) che settimanalmente la ragazza deve versare per continuare a lavorare.
Ora Latifah non è più innocente, per pagare deve prostituirsi per pochi euro lungo le strade del Giuglianese: dieci, venti euro al massimo per una prestazione. E lo deve fare sempre: se piove o se il caldo è insopportabile. Lo deve fare per sette giorni a settimana e deve raccontare sempre tutto alla sua madame. E se si rifiuta c’è chi le ricorda del suo giuramento al baba-loa, dei riti wodoo e dei familiari tenuti sotto scacco. Latifah, però, non è una ragazza qualsiasi. La sua storia, uguale a quella di chissà quante connazionali, ha preso una piega diversa.
La ragazza di Benin City ha avuto il coraggio di denunciare e di raccontare tutto alla polizia: il suo viaggio, il giuramento, la madame che la costringeva a prostituirsi. E ancora ha raccontato delle minacce, dello stato di estremo degrado in cui era costretta a vivere, della paura. L’indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli e condotta dalla polizia, è scattata nel 2016 e all’alba di ieri è culminata con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 5 persone «gravemente indiziate di associazione a delinquere avente carattere di transnazionalità, tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione», si legge negli atti. Se la minorenne nigeriana non avesse denunciato avrebbe dovuto continuare a lavorare per 3 o 4 anni in strada prima di poter saldare il debito. Ma le ragazze che giungono al termine del ‘percorso’, senza essere rimpatriate o senza innescare i meccanismi di fuoriuscita dal circuito previsti dalle leggi italiane, molto spesso continuano a lavorare nel settore del sesso a pagamento. In questo caso o lo fanno autonomamente o entrano a far parte dell’organizzazione per diventare maman. Ed è così che la sfruttata può diventare sfruttatrice e decidere di perpetuare il sistema. Ma Latifah non è una qualsiasi, lei ha denunciato.
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