Fonte: Il Foglio
Merry è la figlia
dello svedese che in Pastorale americana diventa giainista e gira con
la mascherina per non violare manco i moscerini, però mette una
bomba all’ufficio postale contro la guerra in Vietnam. Cose di
quarant’anni fa in un libro di vent’anni fa, ma Philip Roth aveva
colto un (il?) nocciolo della questione: c’è una relazione etica
tra amare gli animali e odiare gli umani? Forse no, ma aiuta. Merry
era giainista, oggi il veganismo e l’anti-specismo sono una
nebulosa complessa, ha a che fare più col postmodernismo che con la
religione. Ma forse perché i diritti di (trans)genere degli umani
hanno già annoiato, sono un dato acquisito anche dalla pubblicità,
il risalto mediatico che va assumendo l’onda montante dei “diritti
degli animali” è notevole. Animalismo è una dizione vecchia,
“vegan” puzza di futura edizione dedicata di “Masterchef”. Il
vero nucleo filosofico attorno a cui si gioca l’inedita partita dei
nostri diritti da subordinare a quelli degli animali si chiama
specismo, o antispecismo. Non è solo questione di mangiare o meno il
culatello, è una decostruzione della natura applicata alle specie
animali.
La cosa ha ovviamente
ricadute pop e social e anche molto trash, sotto il profilo
filosofico. Giusto ieri, Claudio Baglioni piangeva su Fb il suo cane:
“Se c’è un paradiso o roba del genere io voglio che lui sia già
lì… sennò comincio a pensare sul serio che mi importa assai poco
di andarci. E allora io prego che sia proprio così e intanto consumo
il senso di colpa di essere sopravvissuto”. Strada perdendo. Poi ci
sono gli assaltatori di macelleria, i denunciatori di avicolture
ungheresi, quelli che litigano con Cruciani, oppure gli attivisti
impavidi di Essere animali. Questi li abbiamo conosciuti domenica,
nello “Speciale Tg1” dal titolo adorante “Sono solo animali?”
di Roberta Badaloni, giornalista e animalista. Il loro non è un
ritorno millenarista a un pensiero antico, o lontano dalle nostre
coordinate antropologiche (macellare per mangiare). E’ un pensiero
contemporaneo. Ad esempio lo “Speciale Tg1” ci ha permesso di
fare la conoscenza di Leonardo Caffo (ci scuseremo con Sergio Leone:
“Cosa hai fatto tutti questi anni? Ho mangiato fiorentine al
sangue”).
Caffo è un giovane
filosofo, classe 1988. Molto elogiato all’estero, e in Italia da
Maurizio Ferraris, con cui lavora. Intervistato come fosse il Roland
Barthes di Il crudo e il cotto, diceva cose impegnative e un tantino
eccessive: “I vegani sono quelli che oggi aprono un varco verso il
futuro”, nel senso che un giorno il rispetto delle altre specie
animali sarà totale e il carnivoro – questo è il sottinteso etico
– sarà guardato e punito come oggi il cannibale. Una volta c’era
la schiavitù, discettava Caffo, e c’è voluto qualcuno che
iniziasse a cambiare il mondo. Mescolava anche più banali
“distruggiamo un pianeta per garantirci un panino”. Ma Caffo non
è Red Ronnie, lavora al laboratorio di Ontologia dell’Università
di Torino, insegna, scrive su un mucchio di giornali e si fa
intervistare. Ritiene che allevare animali allo scopo di mangiarli
non è che faccia ingrassare (quello è veganismo da casalinghe), ma
è proprio contro l’etica: contro natura, dunque.
Ha scritto nel 2013 un
libro che si intitola Il maiale non fa la rivoluzione – Manifesto
per un antispecismo debole. E’ vegano ma non è un mistico, è un
utilitarista. Ha studiato il pensiero dell’australiano Peter
Singer, tra i primi a sostenere il dovere “etico” di rispettare
gli animali in quanto senzienti. Singer parla di “altruismo etico”
come la miglior formula del rispetto di tutti. Caffo nega che Singer
sia favorevole all’eutanasia neonatale e dei disabili, speriamo
abbia ragione lui, ma Singer approva “argomenti in favore
dell’aborto in casi specifici”. Il che si chiama eugenetica. Un
altro maestro è Tom Regan, teorico dei “diritti fondamentali”
degli animali.
Sono i trascendentali
filosofici su cui poi crescono gli attivisti, la massa critica della
rivoluzione. Su siti come eticanimalista.org si leggono proclami
come: “Vogliamo contribuire alla diffusione della cultura
animalista e antispecista contrastando lo specismo e cioè quel
comportamento della specie umana che prevarica i diritti esistenziali
delle altre specie animali e della natura in generale, distruggendo
il pianeta… No Signori, nessuna speranza può essere riposta in un
felice futuro della specie umana fino a quando l’etica nei
confronti degli animali non sarà assunta a etica sociale”.
Nei militanti c’è
più il coté religioso: “Molto meglio allontanarsi da quelle
religioni che predicano l’antropocentrismo come discendenza divina,
giustificando qualsiasi scempio”. Per cogliere le differenze con un
maître à penser come il millennial Caffo basta dare un’occhiata
alla sua pagina web, in cui si presenta come “philosopher, activist
and writer” – figura temibile e da noi sconosciuta: da noi
l’attivista è quasi mai filosofo, e il writer quasi mai è attivo.
La partita che un giovane ideologo molto coccolato dai media e
dall’accademia come Caffo sta giocando non è banale brambillismo.
Sono le basi di un “movimento totalmente altruista, di sacrificio e
rinuncia in favore dell’altro da sé” in cui c’entra una
concezione radicalmente negativa dell’uomo. Il futuro sarà
sentirsi uguali, cioè inferiori, agli animali. Obiettare che ci sono
animali carnivori e predatori, e i lupi dello specismo se ne fregano,
forse è inutile.
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