Fonte: Il Giornale
Sì, dai, facciamoli
sbarcare, sia dai canotti che dagli aerei. Accogliamoli, infine,
nelle nostre case e, anzi, consegniamo loro devotamente una copia
delle chiavi. Volessero uscire a mangiare un kebab… Tanto,
prima o poi, ce le fotteranno comunque, le case nostre costruite col
sudore dei nostri Padri. E cerchiamo, mi raccomando, di individuare
quelli fra loro che vogliamo ospitare; facciamolo intelligentemente
prima che partano dai loro Paesi, e preghiamoli di inviarci, magari
con lo smartphone di cui sono dotati anche i loro neonati, la foto
delle pietanze che vogliono trovare a tavola all’arrivo e il
disegno del tappeto per la preghiera che meglio si intona col colore
degli occhi o delle djellaba. Non sia mai ci dovessimo sbagliare di
gusto o tonalità. Potrebbero incazzarsi o, peggio, restare delusi
dell’accoglienza italiana. Informiamoci su che
marca di shampoo per chioma turbantata, smalto per unghie
nascoste e crema per le rughe sottovelate usino le signore e quale
sia il calibro di pistola o la lunghezza di lama del coltello più
gradita al marito, al nonno, allo zio e al nipotino kamikaze
salterello.
Non facciamoci
riconoscere per quello che siamo: disattenti e superficiali.
Confusionari e disorganizzati. Anzi, cominciamo a studiare tutte le
loro lingue, anche quelle più sgrammaticate; leggiamo il loro codice
e memorizziamolo, soprattutto i capitoli che riguardano gli infedeli
(noi) e la giusta fine che devono fare (boom! o anche zac!).
Mettiamoli a loro agio, insomma. Come ci ordinano i nostri governanti
imposti dalla massoneria e dalle banche. Come ci impone, sputandoci
schizzi di coscienza favelera, il papa venuto dalla fine del mondo
(cristiano). Come ci consigliano le bavose associazioni
(dis)umanitarie, sempre pronte a salvare il culo e la pelle dei
migranti for money, mentre se ne strafottono dei CRISTIANI MASSACRATI
IN TUTTO IL MONDO IN QUANTO CRISTIANI!
Dai, ragazzi, andiamo
a prenderceli, questi milioni di “pacifici fraterni invasori” e
porgiamo, durante il comodo viaggio, l’altra guancia per qualche
caracca
(o papagno).
Carichiamo per primi i bambini, così facciamo contenti un po’ di
monsignori col vizietto; a seguire, i giovani, quelli che serviranno
a far detonare le cariche necessarie per ricostruire stazioni,
aeroporti, piazze, scuole, chiese… Non dimentichiamo le stivate di
donne, di colore è meglio, per il mercato del piacere da siepe. E,
infine, gli imam! Quelli, per favore, non manchino! Anzi, abbondiamo
con gli imam. I più ortodossi. Quelli che ci spiegano come si
picchiano le mogli, ci si immola per il profeta, si mutilino le
bambine, si pieghino a suon di frusta le schiene dei giovani
refrattari.
Poi, infine
dell’infine, carichiamo i vecchi. Anche gli sdentati di cent’anni.
Quelli depositari della saggezza popolare. Quelli che stanno
accovacciati per intere giornate, come per un’eterna cagata,
davanti alla porta di casa o ai giardinetti e ti guardano come se tu
fossi l’incarnazione di ogni male, e ti sputano sui piedi appena
gli passi vicino. Su, su, diamo retta al
popolarmisericordioso papa Francesco, da ieri anche nocchiere di
lusso per famiglie non già cattoliche, cristiane, ma, si dice,
autenticamente maomettane. Di quelle che ci mancavano nella
collezione. I migranti pontifici.
Accogliamoli in questa
nostra casa loro, sapendo che, male che vada, entro dieci vent’anni,
faranno saltare definitivamente chiese e monsignori, governi e
palazzi, sventreranno banche e luoghi del potere. Ma a noi, detto
“papale papale”, non faranno un cacchio: perché non valiamo e non
varremo niente. Al limite, ci daranno un pugno di couscous da
mangiare per farsi servire. Una croce. Quella di
Cristo fu più pesante e insanguinata. Fra me e me. Verso il
Golgota, grazie al papa traghettatore (per chi fabbrica chiodi
per le croci).
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