Fonte: L’Officina
Il Movimento
Cinque Stelle sta
collezionando una serie di pasticci che ci induce a sperare che
questi miracolati della politica siano esclusi da ogni prossimo
governo. Concepiti
dal nulla rabbioso di
elettori stanchi di una partitocrazia arrogante ed incapace, privi
nella quasi totalità di curricula degni di nota e di esperienze
lavorative, i seguaci di Beppe Grillo stanno ampiamente dimostrando
di non possedere nessun
programma che
non siano i soliti triti e ritriti slogan
elettorali: non
hanno nessuna certezza né sul rapporto da tessere con l’Europa
dei banchieri, che un giorno esaltano e l’altro crocefiggono; non
hanno capito che non c’è alcuna possibilità nel nostro disastrato
paese di concedere redditi di cittadinanza, neppure facendo i tripli
salti mortali. E, restando nell’attualità partitica, non hanno
ancora deciso se imbastire un governo con la Lega (come vuole
Toninelli) o con le sinistre (come vuole il clan Di Maio), essendo
solo interessati ad accalappiare più posti di potere possibile.
In compenso vogliono a tutti i
costi tagliare i
vitalizi degli
ex parlamentari: lo vanno urlando in maniera ossessiva e demagogica
perché è l’unica certezza del loro programma. La furia
giacobina di
questi Robespierre d’accatto non consente loro di considerare che i
vitalizi dei parlamentari sono
già stati aboliti da anni
e le cosiddette pensioni d’oro degli ex parlamentari di cui
blaterano si riducono mediamente a meno di due mila euro mensili che
equivalgono a poco più della pensione di un insegnante e che, per
gli ex deputati della Camera, sono già gravati da un consistente
contributo di solidarietà. Questi signori, e i loro sodali
giustizialisti, fingono di ignorare che non tutti i
parlamentari che
si sono succeduti dal 1945 a Palazzo Madama o a Montecitorio hanno
pensato a tessere intrallazzi o a rubare. La
stragrande maggioranza di
loro, oltre a dei percorsi
professionali qualificati,
aveva alle spalle un
passato di idealismo e di attività politica gratuita;
molti avevano abbandonato
le loro attività civili rimettendoci in
termini economici e interrompendo brillanti carriere per spirito di
servizio e la pensione che percepiscono attualmente non li ripaga che
minimamente dell’impegno devoluto e dei sacrifici sostenuti.
L’onorevole Meloni, che
pare condividere la furia grillina, dovrebbe sapere che nella storia
del suo partito ci sono sì stati rari personaggi che hanno preso
casa a Montecarlo, ma vi sono stati anche galantuomini come Araldo
di Crollalanza che,
dopo una vita al servizio delle sue idee come ministro di Mussolini e
come parlamentare missino, ha lasciato ai suoi familiari solo
il mutuo di una
casa da pagare. L’onorevole Salvini,
anch’egli costretto a schierarsi a favore dei tagli, dovrebbe
ricordare che chi lo ha preceduto su quegli stessi scranni leghisti
che oggi lui occupa, devolveva al partito più del 70 % dei loro introiti parlamentari e
rinunciava a qualsiasi privilegio di casta, dormendo a Roma in due
per camera in alberghi di periferia, senza far uso dei taxi del
Presidente Fico o delle auto blu alle quali aveva rinunciato.
Allora, primi anni novanta,
quando i pentastellati non esistevano ancora se non nell’immaginazione di Beppe Grillo e i futuri onorevoli bighellonavano
trastullandosi sul computer e facendosi magari mantenere da papà, vi
era già in Parlamento chi, come lo scrivente e i senatori Donato
Manfroi (Lega Nord) e Luigi Biscardi (PD-Ulivo, con un emendamento
bipartisan, provvedevano a far abolire il doppio stipendio per i
parlamentari (finanziaria Amato 1993). Un elettorato arrabbiato
e distratto non ha ancora percepito che i
nuovi giacobini di Di Maio,
oltre a veicolare messaggi demagogici e sgrammaticati sul web,
danno segnali
sempre più evidenti di incompetenza e contraddittorietà.
L’onorevole Roberto
Fico, eletto
presidente della Camera, nel giorno dell’insediamento si è
presentato a Montecitorio a bordo di un autobus pubblico. Social e
fans sono impazziti, dimentichi che nei cinque anni di legislatura
(2013 – dicembre 2017), il buon Fico aveva speso oltre 15mila euro
di taxi per spostamenti vari, mentre i soldi spesi per il bus sono
stati 677 euro e trenta centesimi: un po’ pochi per uno abituato a
spostarsi con questo mezzo pubblico. Evidentemente, o si è scordato
di farsi rimborsare qualche biglietto, oppure non è salito così
spesso su un pullman. Del resto, di Fico i giornali si
occuparono fin dal 2016 ai tempi del suo “telefono d’oro” e
delle bollette da 12mila euro, poi nel 2017, quando rivestiva la
carica di portavoce del partito: dei 7.582,50 euro dichiarati allora,
1.400 euro se ne erano andati per il canone di affitto e altri
1.182,59 euro per “utenze, pulizie, manutenzione e
altro”.
Spulciando a caso sulla vita di questi ragazzotti,
appare che sono ingenui e spontanei solo apparentemente. Nessuno dei
senatori del Movimento Cinque Stelle, sempre attenti agli sprechi, ha
ad esempio fatto presente al presidente Grasso nella passata
legislatura che, mentre gli ex deputati pagano da più di un anno un
“contributo straordinario” che per i più anziani supera i 500
euro, senatori ed ex senatori continuano a tutt’oggi a non pagare
una lira di contributo di solidarietà. Una caratteristica della
vecchia politica era quella di assicurare una poltrona sicura ai
raccomandati candidandoli in più collegi. Grasso, Franceschini,
Bersani, Minniti e la Boldrini, ad esempio, trombati nei collegi
uninominali, sono stati ripescati col paracadute del proporzionale.
Credevamo che queste agevolazioni fossero una caratteristica
dell’ancien régime; abbiamo invece appurato che i grillini fanno
le stesse cose.
Riccardo
Fraccaro, ad
esempio, ministro dei Rapporti con il Parlamento nel governo-ombra
proposto prima delle elezioni da Di Maio, è tra i molti
pentastellati ad essere stato pluricandidato nelle
ultime politiche: nel collegio uninominale per la Camera di Pergine
Valsugana, dove è stato superato sia dal candidato del centrodestra
che da quello del centrosinistra e nel collegio plurinominale del
Trentino-Alto Adige da dove è stato ripescato. Doppia candidatura
voluta dai big del partito forse per premiare la sua assidua
partecipazione alle votazioni della Camera (58.5%) o per l’impegno
profuso nelle proposte di legge presentate nella precedente
legislatura (3).
Tornando sull’adeguamento
dei vitalizi al
sistema contributivo che comporterà un risparmio
di meno di un’ottantina di milioni,
va sottolineato che la prima bozza del progetto prevedeva anche un
taglio per i parlamentari in carica: poi qualcuno deve aver loro
detto che anch’essi sono in carica e hanno deciso di penalizzare
solo i vitalizi degli ex entrando però in una spirale
pericolosa.
Chiunque può infatti capire che questo provvedimento, oltre a
prestarsi ad una valanga di ricorsi, mette
a rischio le certezze di milioni di lavoratori, baby pensionati in
testa (il cui costo non è di 200 milioni come per gli ex
parlamentari, ma di circa 9 miliardi annui) dal momento che in Italia
il 90% delle pensioni non sono agganciate al sistema
contributivo.
Sono,
queste, considerazioni che una popolazione con un quarto di “analfabeti funzionali” (cifre fornite dall’OCSE che ci pone al
secondo posto dopo la Turchia) non è forse in grado di fare e su
questi numeri i grillini fondano le loro attuali fortune politiche.
Tanto, anche se questa odiosa legge retroattiva dovesse venir
bocciata, i cinquestelle potranno sempre dire di averci provato. Del
resto, questa è la carta vincente per riunire il partito di governo
di Di Maio e Casaleggio che amoreggia con le lobby finanziarie, il
Vaticano e le cancellerie europee e il movimento di Grillo che da
fuori potrà ancora inveire contro i parlamentari «abbarbicati come
cozze ai loro privilegi».
Che altro possono fare di diverso?
Non certo il reddito
di cittadinanza che
potrà al massimo contemplare per il 2019 un ampliamento del reddito
di inclusione targato Pd. Il superamento della legge Fornero sulle
pensioni? Si comincerà con qualche segnale minimo: al massimo si
potrà arrivare alla proroga di “opzione donna” e all’estensione
dei lavori usuranti. La riforma Irpef da 13 miliardi? Pia illusione.
La spending review da 30 miliardi annui? Nessuno si illude che
l’aggressione alla spesa pubblica improduttiva possa portare,
almeno nei tempi brevi richiesti, a risultati simili. L’Italia
dovrà confrontarsi con Bruxelles per sventare l’imposizione di una
manovra correttiva di 3,5 miliardi. Altro che i vitalizi dei
parlamentari e il risparmio di un’ottantina di milioni! Il
fatto è che, anche per i “giacobini di pezza”, prima o poi le
campagne elettorali finiranno e anche i loro elettori dovranno
destarsi dai loro sonni.
Da far leggere a tutti i grillini. Dovrebbe essere pubblicato su.....il fatto quotidiano!
RispondiEliminaSono andato a leggere l'articolo sul blog L'officina ma non ci sono le figure. Chi le mette allora e da dove vengono riprese?
RispondiEliminaLe metto io e le prendo da internet, ovviamente.
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